A salvo

La risposta del movimento artistico e intellettuale è stata, quest’anno, decisiva nel costante rinnovamento del consenso, come nel contributo di idee, iniziative e proposte volte a colmare vuoti, sradicare distorsioni e trovare nuove luci al progetto sociale e culturale della Rivoluzione.

Pedro de la Hoz www.granma.cu

Nel momento più critico degli anni ’90 del secolo scorso, Fidel definì un concetto capitale: “La cultura è la prima cosa da salvare”. Il paese si trovava immerso nella precarietà di un’economia in cui il Prodotto Interno Lordo era sceso a livelli infimi, con chiusure di fabbriche, lavoratori cassaintegrati, perdite di forniture esterne, gravi carenze energetiche e il nemico scommetteva sulla prossima caduta della Rivoluzione.

Ma il dirigente illuminato aveva coscienza che, senza la cultura, il senso di appartenenza, la difesa dei principi e la spiritualità innanzitutto, sarebbe stato impossibile prendere slancio per uscire vittoriosi. Poco dopo, in risposta a un invito del fratello Hugo Chávez, completò, davanti a un uditorio universitaria a Caracas, il concetto espresso al Congresso dell’UNEAC nel 1993: “Una rivoluzione solo può essere figlia della cultura e delle idee”.

La vita ha dato, ancora una volta, ragione a Fidel in questo burrascoso 2021. Se siamo arrivati ​​fin qui, se resistiamo e, a maggior ragione, ci proponiamo, come direbbe il poeta, di continuare sospingendo il paese, è perché la cultura salva ed è salvata.

Non si tratta di una frase detta al volo in un impeto di ottimismo. È necessario premere i tasti di una realtà in cui le convinzioni radicate nelle avanguardie politiche ed intellettuali, intimamente integrate; la certezza condivisa, per lo più, dalla popolazione da un confine all’altro della nazione, che la Patria non si consegna, come neppure le conquiste rivoluzionarie; e la percezione che il cambiamento culturale (mentalità, modi di pensare e di agire, e ragioni etiche) sia imprescindibile, determinano, in larga misura, non solo la capacità e la volontà di superare i peggiori momenti  bensì raggiungere, il prima possibile, i livelli di prosperità che ci meritiamo.

La cultura, lo sappiamo bene, è stata, negli ultimi mesi, un territorio conteso; simboli, aspettative, progetti di vita. La cultura, nel suo più ampio spettro, come produzione di significato e conoscenza, incluse le sfide mediatiche, e anche negli ambiti più stretti dell’arte e della letteratura.

Il nemico -non è un’astrazione bensì forze, circoli di potere e meccanismi politici, economici, finanziari e mediatici con entità definita negli USA, e la sua sfera di influenza che comprende elementi domestici- anche lo sa ed è per questo che dispiega piani di seduzione, sovversione e sottomissione, che vanno dalla formazione dei cosiddetti agenti di cambiamento sino alla stimolazione dell’esplosione sociale, passando per i tentativi di erodere l’istituzionalità, favorire la disperazione e soppiantare un modello culturale emancipatore con un altro che favorisca resa e annessione.

La risposta del movimento artistico e intellettuale -lasciamo, per una volta, alle spalle i compartimenti stagni e non dimentichiamo che all’intellettualità appartengono i nostri scienziati, accademici, comunicatori…- è stata decisiva, quest’anno, nel rinnovamento costante del consenso come nel contributo di idee, iniziative e proposte volte a colmare vuoti, a sradicare distorsioni e trovare nuove luci per il progetto sociale e culturale della Rivoluzione.

Non c’è mai stato, neppure lontanamente, qualcosa di simile ad un blackout culturale, nonostante il doppio assedio della pandemia e dell’asfissiante ostilità imperiale. La creatività si è mantenuta come un tonico moltiplicato nel pensiero e nel sostegno della vita spirituale. Nuovi spazi sono sorti in radio e televisione per il dibattito delle idee e lo smantellamento delle avverse matrici di opinione; la stampa ha coniugato il tenore informativo con l’opinione e l’indagine dei problemi più urgenti; le sale da concerto sono state installate nelle case e nelle piattaforme digitali. A differenza di altri paesi, non si è lasciato né un musicista né un artista scenico abbandonato durante la prolungata chiusura della pandemia.

Artisti, scrittori, promotori e attivisti hanno risposto all’appello a contribuire alla trasformazione delle condizioni di vita nelle comunità, a seguito dei programmi avviati da metà anno nella capitale e in altre città del paese, ognuno di loro intrisi del fatto che non può affrontarsi la missione come una campagna episodica, poiché solo frutterà dalla permanenza e sistematicità.

Nell’anno in cui è stato commemorato il 60° anniversario delle Parole agli intellettuali pronunciate da Fidel, pietra miliare della politica culturale della Rivoluzione, i sei decenni di esistenza dell’UNEAC e il 35° anniversario dell’Associazione Hermanos Saíz, il dialogo e contrappunto fecondo con il sistema istituzionale della cultura attesta la fiducia degli artisti e intellettuali e di una vocazione partecipativa in cui l’esercizio critico risulta consustanziale alla sua natura. Il coinvolgimento di creatori e scienziati nel Programma Nazionale per il Progresso delle Donne e nel Programma Nazionale contro il Razzismo e la Discriminazione Razziale, per citare solo due esempi, lo dimostrano.

Un noto e popolare giornalista cubano ha aperto la sua rubrica settimanale con una frase che calza a pennello guardando l’anno che sta finendo e ponendo lo sguardo su quello che inizia: “Ogni traguardo è un punto di partenza”. Che si faccia il possibile e persino l’impossibile per salvare la cultura, non manca lucidità né prospettiva davanti al molto che resta da fare, trasformare e rinnovare. Un concetto espresso, di recente, dal Primo Segretario del Partito e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel, deve servirci da monito e da sprone: “Non basta avere un arsenale di idee e verità come templi da difendere. È imprescindibile muoverle con intelligenza, efficienza e rigore”. Non è questa, forse, una sfida culturale improrogabile?


A salvo

La respuesta del movimiento artístico e intelectual ha sido decisiva este año en la renovación constante del consenso como en la aportación de ideas, iniciativas y propuestas encaminadas a llenar vacíos, erradicar distorsiones, y hallar nuevas luces al proyecto social y cultural de la Revolución

Autor: Pedro de la Hoz

En el momento más crítico de los años 90 del siglo pasado, Fidel definió un concepto capital: «La cultura es lo primero que hay que salvar». El país se hallaba sumido en la precariedad de una economía en la que había descendido a niveles ínfimos el Producto Interno Bruto, con cierres de fábricas, trabajadores interruptos, pérdidas de suministros externos, graves carencias energéticas y el enemigo apostando a la pronta caída de la Revolución.

Pero el líder iluminado tenía conciencia de que, sin la cultura, el sentido de pertenencia, la defensa de los principios y la espiritualidad por delante, sería imposible tomar impulso para salir victoriosos. Poco después, al corresponder a una invitación del hermano Hugo Chávez, redondeó, ante un auditorio universitario en Caracas, el concepto expresado en el Congreso de la Uneac en 1993: «Una revolución solo puede ser hija de la cultura y las ideas».

La vida le ha dado una vez más la razón a Fidel en este proceloso 2021. Si hemos llegado hasta aquí, si resistimos y, más aún, nos proponemos, como diría el poeta, seguir empujando el país, es porque la cultura salva y está salvada.

No se trata de una frase dicha al vuelo en un arranque de optimismo. Hay que pulsar las claves de una realidad en la que las convicciones enraizadas en las vanguardias política e intelectual, íntimamente complementadas; la certeza compartida, mayoritariamente, por la población de uno a otro confín de la nación, de que la Patria no se entrega, como tampoco las conquistas revolucionarias; y la percepción de que el cambio cultural (mentalidades, modos de pensar y actuar, y razones éticas) es imprescindible, determinan en buena medida no solo la capacidad y la voluntad para superar los peores momentos sino para alcanzar, más temprano que tarde, los niveles de prosperidad que nos merecemos.

La cultura, bien lo sabemos, ha sido un territorio en disputa durante estos últimos meses; símbolos, expectativas, proyectos de vida. La cultura, en su más amplio espectro, como producción de sentido y conocimiento, desafíos mediáticos incluidos, y también en los ámbitos más estrictos del arte y la literatura.

El enemigo –no es una abstracción sino fuerzas, círculos de poder y mecanismos políticos, económicos, financieros y mediáticos con entidad definida en Estados Unidos, y su esfera de influencia que abarca a elementos domésticos– también lo sabe y es por ello que despliega planes de seducción, subversión y sumisión, que van desde el entrenamiento a los llamados agentes de cambio hasta el estímulo al estallido social, pasando por los intentos de erosionar la institucionalidad, alentar la desesperanza y suplantar un modelo cultural emancipador por otro que favorezca la rendición y la anexión.

La respuesta del movimiento artístico e intelectual –dejemos de una vez atrás los compartimentos estancos y no olvidemos que a la intelectualidad pertenecen nuestros científicos, académicos, comunicadores…– ha sido decisiva este año en la renovación constante del consenso como en la aportación de ideas, iniciativas y propuestas encaminadas a llenar vacíos, erradicar distorsiones, y hallar nuevas luces al proyecto social y cultural de la Revolución.

Nunca hubo, ni de lejos, algo parecido a un apagón cultural, pese al doble cerco de la pandemia y la asfixiante hostilidad imperial. La creatividad se mantuvo como tónica multiplicada en el pensamiento y el sostén de la vida espiritual. Surgieron en la radio y la televisión nuevos espacios para el debate de ideas y el desmontaje de adversas matrices de opinión; la prensa conjugó el tenor informativo con la opinión y la investigación de los más acuciantes problemas; las salas de concierto se instalaron en las casas y las plataformas digitales. A diferencia de otros países, no se dejó ni a un músico ni a un artista escénico desamparado durante la prolongada cerrazón de la pandemia.

Artistas, escritores, promotores y activistas acudieron al llamado de contribuir a la transformación de las condiciones de vida en las comunidades, a raíz de los programas puestos en marcha desde mediados de año en la capital y otras ciudades del país, cada uno de ellos imbuidos en que no puede abordarse la misión como una campaña episódica, en tanto solo fructificará desde la permanencia y la sistematicidad.

En el año en que se conmemoró el aniversario 60 de las Palabras a los intelectuales pronunciadas por Fidel, piedra sillar de la política cultural de la Revolución, las seis décadas de existencia de la Uneac y el aniversario 35 de la Asociación Hermanos Saíz, el diálogo y contrapunto fecundo con el sistema institucional de la cultura da fe de la confianza de los a rtistas e intelectuales y de una vocación participativa en la que el ejercicio crítico resulta consustancial a su naturaleza. La implicación de creadores y científicos en el Programa Nacional para el Adelanto de las Mujeres y el Programa Nacional contra el Racismo y la Discriminación Racial, por citar tan solo dos ejemplos, lo prueban.

Un reconocido y popular periodista cubano encabezó su columna semanal con una frase que encaja al mirar el año que se va y colocar los ojos en el que comienza: «Cada meta es un punto de partida». Que se haga lo posible y hasta lo imposible por salvar la cultura, no resta lucidez ni perspectiva ante lo mucho que falta por hacer, transformar y renovar. Un concepto expresado recientemente por el Primer Secretario del Partido y Presidente de la República, Miguel Díaz-Canel, debe servirnos de alerta y acicate: «No basta con tener un arsenal de ideas y verdades como templos para defender. Es imprescindible moverlas con inteligencia, eficacia y rigor». ¿Acaso este no es un desafío cultural impostergable

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