Le variabili reali intorno al dilemma salariale

Franco Vielma

Il salario del settore pubblico e le pensioni sono stati componenti chiave dell’economia venezuelana, soprattutto per la sua espressione macroeconomica nell’incidere sul funzionamento dello Stato e anche sulla vita quotidiana di ampi strati sociali. Questo gli conferisce una denominazione che è anche politico-sociale.

Come sappiamo, questa voce – chiamiamola “Busta Paga Pubblica (salari del settore pubblico e pensioni ndt)” – è ora al centro di una discussione che va oltre l’economia, perché scende a livelli minimi, come avvenuto tra il 2019 e il 2020.

All’inizio del 2022, il salario minimo (senza altri benefici) e le pensioni erano calcolati sopra i 30 $ statunitensi (USD) al cambio medio ufficiale pubblicato dalla Banca Centrale del Venezuela (BCV), ma nel corso del 2022 hanno perso il loro valore raggiungendo livelli minimi a causa della svalutazione.

Tuttavia, la questione della BBP è molto più ampia della sua matematica elementare. Ha sfumature.

QUESTIONI SULLA BPP

 

Nel Venezuela bolivariano si è accumulata un precedente storico economico-politica sul salario pubblico e pensioni, soprattutto perché lo Stato ha assunto una politica espansiva nelle sue buste paga dei lavoratori ed è stato molto inclusivo nell’incorporazione massiccia della popolazione nel sistema previdenziale.

Questo spiega perché la BPP nazionale sia, ad oggi, vicino ai 7 milioni di persone, incrementandosi sulla base di un sistema pensionistico che è costituzionalmente regolato da un importo equivalente al salario minimo ufficiale e che, in Venezuela, può beneficiare di una pensione, nel caso delle donne di età superiore ai 55 anni, e nel caso degli uomini, di età superiore ai 60 anni. Il Venezuela manda in pensione la sua popolazione in tenera età e questo è stato un risultato del chavismo.

Ma la questione BPP ha avuto anche altre pietre miliari. Ad esempio, come quella che nel 2008 il presidente Hugo Chávez annunciava che il salario minimo (e quindi le pensioni) raggiungevano i 372 $, e che addizionalmente la classe lavoratrice avrebbe contato su un Bonus Alimentare che portava i suoi ingressi ad un minimo di 557 $, il più alto in America Latina, fino a quasi triplicare il salario medio regionale (che all’epoca era di 212 $).

Qual era la dimensione politica di questi referenti? In primo luogo, che il Paese godeva di un importante boom petrolifero che per un intero ciclo (dal 2005 al 2013) è stato fatto leva su un prezzo internazionale del greggio a valori superiori ai 75 $ al barile, superando anche i 100 $ al barile per anni.

Ma, oltre a questo, il significato della politica distributiva della rendita petrolifera si era consolidata come referente essenzialmente chavista, estendendosi al di là della presidenza Chávez. All’epoca, nel 2013, il presidente Nicolás Maduro ha apportato adeguamenti salariali che hanno portato lo stipendio base (e le pensioni) a 380 $ e, insieme a benefici aggiuntivi, lo stipendio superava i 510 $ al mese.

Nel 2015 sono state prese le prime misure coercitive USA e nel 2017 è stato formalizzato il blocco, evolvendo in categorie sempre peggiori, soffocando l’economia a livelli mai visti prima, restringendo completamente le esportazioni dallo Stato venezuelano, che è stato storicamente il principale apportatore di valuta estera al tessuto economico.

Per l’anno 2020 il Paese ha registrato una perdita del 99% dei propri introiti in valute estere comparate con quelle che entravano nel 2014. In numeri, se nel 2014 entravano 56 miliardi di $, nel 2020 entravano solo 400 milioni di $.

La sincerità politica del 2008, e anche del 2013 (con Maduro alla presidenza), era quella di una politica distributiva sostenuta nelle esportazioni petrolifere. Non era una questione “tabù”, in entrambi i cicli il governo venezuelano difendeva orgogliosamente che gli introiti dello Stato fossero la base del salario. Quella stessa sincerità politica spiega il calo registrato nel 2020 e, quindi, il bassissimo livello dei salari pubblici e pensioni. Per questo, non invano, Maduro insiste tanto sui danni del blocco al Paese.

Non si può parlare degli stipendi pubblici in Venezuela senza parlare della sua base fondamentale, della sua fonte storica di risorse: le esportazioni dello Stato. Qualsiasi analisi del primo, senza includere la seconda, è nel campo della demagogia e della stupidità.

Pertanto, il blocco delle esportazioni dello Stato è la condizione oggettiva, insindacabile e ineludibile della questione salariale allo stato attuale.

La BPP è oggi l’input principale di tutto un fondamento politico, in molti casi irresponsabile e tendenzioso.

Per dirla più semplicemente, proprio le opposizioni politiche che hanno chiesto il blocco del Paese, i cosiddetti “critici” e altri fattori pescatori in fiumi agitati, cercano di capitalizzare politicamente il tema attraverso esercizi di demagogia che raggiungono livelli eccezionali. Ne fanno un pettegolezzo politico.

Ma, oltre a ciò, di fronte alle legittime richieste di settori che esigono un adeguamento salariale per motivi più che giustificati, agitano il tema irresponsabilmente, disconoscendo, ignorando, banalizzando e nascondendo l’enorme perdita della base di risorse e delle sue cause.

Il tema della BPP è stato usato, strumentalizzato, come fattore centrale dell’attuale momento dell’economia venezuelana. Ciò per la sua molteplice funzionalità, poiché non solo alimenta lo scontento utile per agende al di là del corporativo; propone anche tentativi di paralizzare lo Stato e inoltre seppellire la pietra miliare dell’aumento del PIL che è stato registrato -oltre il 22% tra gennaio e settembre 2022- nonostante la continuità del blocco come condizione oggettiva.

L’economia, allora, ridiventa il luogo degli animi esasperati, della frustrazione e anche delle demagogie. I numeri diventano irrilevanti nonostante la loro forza e prende posto la tensione, poiché è su quel terreno che si intende trasferire la discussione.

UN SALARIO NON DIPENDENTE DALLA RENDITA?

 

Poiché il tema della BPP è oggetto di molteplici contestazioni, il presidente Maduro è stato proprio l’unico ad aver affrontato responsabilmente la questione. Non solo per gli obblighi della sua posizione, bensì per il suo stile, in molti casi, apertamente.

Il primo presidente nazionale ha ammesso il basso livello di stipendi e pensioni. Ha detto che sta lavorando a una formula per il suo aumento e, soprattutto, parla di creare una base per renderlo sostenibile.

Lo ha incorporato come parte delle sette linee di lavoro politico per il chavismo quest’anno. Le righe uno e due implicano l’uso della restituzione del salario come uno strumento per fermare la disuguaglianza creata dall’attuale crescita economica, di cui solo i privati ne stanno beneficiando. È ovvio che nella dirigenza economica c’è una conoscenza cruda e piena del metabolismo che ha acquisito l’economia nazionale.

Ma, ancora una volta, come ha detto più volte il Presidente parlando della questione economica, riappare la questione del superamento del modello della rendita, poiché il suo stesso significato è il nodo gordiano dell’economia venezuelana. Ecco perché il blocco puntava lì, ecco perché la base materiale era in declino, ecco perché i salari sono quelli che sono.

Passare a una revisione del sistema salariale e pensionistico presuppone un esame onesto dell’economia nazionale e un disegno delle politiche su una base distanziata dalla rendita tradizionale da esportazioni. Come la conoscevamo, è stata sfigurata, non esiste, il blocco l’ha uccisa. Pertanto, non è possibile considerarla come base materiale, non è possibile finanziare con essa la BPP; ha perso significato come referente politico-sociale.

L’anno 2022 ha lasciato alcune cifre che sono state presentate dal presidente venezuelano nella sua Memoria e Resoconto lo scorso gennaio.

L’attività petrolifera furtiva al blocco, che rimane a livelli minimi, ha portato alla Banca Centrale del Venezuela (BCV) circa 4mila 758 milioni di $. Consideriamo questo come ciò che resta della rendita petrolifera, che è appena l’8% dei livelli storici precedenti il ​​blocco.

Inoltre, è stata presentata la buona notizia che la riscossione delle tasse nel Paese è aumentata del 97% nel 2022. Attraverso nuove tasse e un aumento nel rigore della riscossione, lo Stato ha portato nelle sue casse l’equivalente di circa 4mila 744 milioni di $.

Queste cifre si riferiscono alla base principale del bilancio nazionale. Sono nettamente migliori di quelli del 2020, ma equivalgono appena a un 17% degli ingressi netti in valuta che il Paese percepiva nel 2014.

Stime non ufficiali affermano che portare la BPP a una cifra modesta di 50 $ al mese equivale a 7 miliardi di $ per il bilancio di un anno. Un’altra stima pubblica, come quella di Luis Bárcenas dell’impresa privata Ecoanalítica, indica che se lo stipendio base e le pensioni fossero portati a 100 $ al mese, ciò costerebbe allo Stato più di 13 miliardi di $.

Da dove può sorgere la base di finanziamento per le nuove tabelle di salari e pensioni? Se riconosciamo che il blocco contro il Paese continuerà come condizione oggettiva e soffocante, allora la composizione della fonte delle risorse per la BPP dovrà essere diametralmente diversa.

Ci sono due ulteriori considerazioni:

#Lo Stato venezuelano non rinuncerà ai suoi obbligo di bilancio e di gestione per destinare la quasi totalità delle proprie risorse solo al sostentamento di stipendi e pensioni. Non avrebbe senso sostenere gli stipendi dei dipendenti pubblici se questi non hanno alcun volume di lavoro o attività da realizzare, poiché porterebbe ad una paralisi dello Stato che non può in alcun modo contribuire alla ripresa economica.

#L’Esecutivo si è mostrato determinato a non applicare misure di finanziarizzazione del bilancio pubblico mediante emissione monetaria o un aumento esasperato della liquidità. Questa voce -che tristemente include il gruppo dei “critici antimonetaristi”- implica il superamento di un dibattito pseudo-ideologico. Per il governo venezuelano, ci sono forti dimostrazioni che nell’attuale contesto dell’economia venezuelana, l’emissione sproporzionata di liquidità ha effetti diretti sul deprezzamento del bolivar, aumentando il tasso di cambio.

Essendo queste le condizioni dichiarate nella forza delle cifre e nella politica, quindi, la riscossione fiscale, il riorientamento del bilancio pubblico, la moderatissima emissione di liquidità, i nuovi regimi concessionari, lo sviluppo dell’attività di riscossione dello Stato in materia di servizi e l’aumento della sua attività produttiva nelle proprie aziende devono essere la nuova fonte del bilancio pubblico e, quindi, della BPP di lavoratori e pensionati.

Il governo nazionale dovrà ancora una volta applicare azioni eccezionali, questa volta per aumentare la base di bilancio dello Stato. La grande sfida sarà rendere sostenibile la BPP.

Il tema fiscale sarà sicuramente di attenzione. Probabilmente ci sarà una nuova matrice di tasse e regole fiscali che devono essere applicate su scala molto ampia e dettagliata.

In questo modo la questione economica della BPP statale potrà contare su una base di finanziamento invulnerabile alla causa della sua caduta: il blocco. Ma non implica la fine della diatriba. Le dichiarazioni contro le misure fiscali saranno comuni e vedremo alcuni che attualmente si strappano i capelli per i salari tagliarsi le vene in difesa del capitale privato. Le demagogie non scarseggeranno.

Tuttavia, a medio termine, l’economia venezuelana dovrà adattare ulteriormente i propri sistemi normativi per poter superare al momento.

Da un lato, l’Esecutivo venezuelano comprende perfettamente che è necessario contenere la continuità di un’economia emiplegica, in parte paralizzata. Un’economia dove coloro che stanno nella sfera dei salari privati e delle rimesse possono consumare, e un’economia dove i dipendenti dello Stato non possono farlo a causa del loro basso reddito.

D’altra parte, il superamento del quadro attuale implica che l’economia possa trarne pieno vantaggio se questo segmento di quasi 7 milioni di persone recupera almeno una parte significativa del proprio potere d’acquisto, il che implica un aumento dei consumi, della crescita e del feedback delle attività.

Su questi aspetti stiamo parlando di economia. Ma, nel contesto attuale, ciò che è politicamente corretto è situarsi nelle condizioni reali e trattare questo tema con la serietà e la responsabilità che merita.


LAS VARIABLES REALES EN TORNO AL DILEMA SALARIAL

Franco Vielma

El salario público y las pensiones han sido componentes claves de la economía venezolana, especialmente por su expresión macroeconómica al incidir en el funcionamiento del Estado y también en la cotidianidad de amplias capas sociales. Ello le da una denominación que es también político-social.

Como sabemos, este ítem -llamémoslo el de la “nómina pública”-, están en el centro ahora de una discusión que va más allá de la economía, por recaer a niveles mínimos, tal como ocurrió entre los años 2019 y 2020.

A inicios del año 2022, el salario mínimo (sin contar con otros beneficios) y las pensiones se calculaban por sobre los 30 dólares estadounidenses (USD) al cambio del promedio oficial publicado por el Banco Central de Venezuela (BCV), pero durante 2022 estos perdieron su valor llegando a cotas mínimas por causa de la devaluación.

Sin embargo, la cuestión de la nómina pública es mucho más extensa que su matemática elemental. Tiene matices.

CUESTIONES SOBRE LA NÓMINA PÚBLICA

En la Venezuela bolivariana se acumuló un historial económico-político sobre el salario público y las pensiones, especialmente porque el Estado asumió una política expansiva en su nómina de trabajadores y fue muy inclusiva en la incorporación masiva de la población al sistema de seguridad social.

Ello explica que la nómina nacional sea, al día de hoy, cercana a las 7 millones de personas, incrementándose sobre la base de un sistema de pensiones que está constitucionalmente regido por un valor equivalente al salario mínimo oficial y que, en Venezuela, se puede optar a la pensión, en el caso de las mujeres superando los 55 años de edad, y en el caso de los hombres, superando los 60. Venezuela pensiona a su población en edad muy temprana y ello ha sido un logro del chavismo.

Pero la nómina pública también ha tenido otros hitos. Por ejemplo, como que en 2008 el presidente Hugo Chávez anunciaba que el salario mínimo (y por ende, pensiones) alcanzaban los 372 USD, y que adicionalmente la clase trabajadora contaría con un Bono de Alimentación que llevaba sus ingresos a un mínimo de 557 USD, el más alto de América Latina, al punto de casi triplicar el promedio del salario regional (que para el momento era de 212 USD).

¿Cuál era la dimensión política de estos referentes? Primeramente, que el país gozaba de una importante bonanza petrolera que durante un ciclo entero (desde 2005 hasta 2013) se apalancó en un precio internacional del crudo en valores superiores a los 75 USD por barril, superando incluso los 100 USD por barril durante años.

Pero, además de ello, el significado de la política distributiva de la renta petrolera se había consolidado como un referente esencialmente chavista, extendiéndose más allá de la presidencia de Chávez. En su momento, en el año 2013, el presidente Nicolás Maduro hizo ajustes salariales que colocaron el sueldo base (y pensiones) en los 380 USD y, conjuntamente con bonificaciones adicionales, el salario superaba los 510 USD mensuales.

En 2015, se produjeron las primeras medidas coercitivas estadounidenses, y en el año 2017 el bloqueo se formalizó, evolucionando en categorías cada vez peores, asfixiando la economía a niveles jamás vistos, restringiendo integralmente las exportaciones del Estado venezolano, quien ha sido históricamente el principal aportador de divisas al tejido económico.

Para el año 2020, el país registró una pérdida de 99% de sus ingresos en divisas comparadas con las que ingresaban en 2014. En números, si en 2014 ingresaban 56 mil millones de USD, en 2020 ingresaron solo 400 millones.

La sinceridad política de 2008, e incluso de 2013 (con Maduro en la presidencia), era la de una política distributiva sostenida en las exportaciones petroleras. No era un asunto “tabú”, en ambos ciclos el gobierno venezolano defendía orgullosamente que los ingresos del Estado eran la base del salario. Sobre esa misma sinceridad política se explica el declive registrado en 2020 y, por ende, el bajísimo nivel de los salarios públicos y pensiones. Por ello, no en vano, Maduro insiste tanto en el daño del bloqueo al país.

No se puede hablar de la nómina pública en Venezuela sin hablar de su base fundamental, su fuente histórica de recursos: las exportaciones del Estado. Cualquier análisis de lo primero, sin incluir lo segundo, está en el terreno de la demagogia y lo majadero.

Por ello, el bloqueo a las exportaciones del Estado es la condición objetiva, inobjetable e ineludible sobre la cuestión salarial en el presente.

La nómina pública es hoy el principal insumo para toda una fundamentación política, que es en muchos casos irresponsable y tendenciosa.

Para ponerlo más simple, justamente las oposiciones políticas que han pedido el bloqueo al país, los llamados “críticos” y otros factores pescadores en río revuelto, intentan capitalizar políticamente el tema mediante ejercicios de demagogia que alcanzan niveles excepcionales. Lo hacen una comidilla política.

Pero, además de ello, frente a las demandas legítimas de sectores que exigen un ajuste salarial por razones más que justificadas, azuzan el tema irresponsablemente, desconociendo, obviando, banalizando y ocultando, la pérdida enorme en la base de recursos y sus causas.

El tema de la nómina pública ha sido entonces intervenido, instrumentalizado, como el factor central del momento actual de la economía venezolana. Esto por su funcionabilidad múltiple, pues no solo atiza el descontento útil para agendas más allá de lo gremial; además propone intentos de paralizar al Estado y adicionalmente sepultar el hito del levantamiento del PIB que se ha registrado -sobre 22% entre enero y septiembre de 2022- pese a la continuidad del bloqueo como condición objetiva.

La economía, entonces, se vuelve el lugar de los ánimos exasperados, de la frustración y también de las demagogias. Los números se vuelven irrelevantes pese a su contundencia y adquiere lugar la crispación, pues es en ese terreno hacia donde se pretende trasladar la discusión.

¿UN SALARIO NO DEPENDIENTE DE LA RENTA?

Siendo el tema de la nómina pública un tema de disputa múltiple, precisamente ha sido el presidente Maduro el único que ha mencionado el tema de manera responsable. No solo por las obligaciones de su cargo, sino por su propio estilo, en muchos casos, sin tapujos.

El primer mandatario nacional ha admitido el bajo nivel salarial y de pensiones. Ha dicho que está trabajando en una fórmula para su aumento y, sobre todo, habla de crear una base para hacerlo sostenible.

Ha incorporado eso como parte de las siete líneas de trabajo político para el chavismo este año. Las líneas uno y dos implican emplear la restitución del salario como un instrumento para detener la desigualdad que se está gestando por el crecimiento económico actual, donde solo los privados se están beneficiando. Es obvio que en el directorio económico hay un conocimiento crudo y pleno del metabolismo que ha adquirido la economía nacional.

Pero, nuevamente, tal como el Presidente lo ha dicho múltiples veces al hablar de la cuestión económica, reaparece la cuestión de la superación del rentismo como modelo, pues su propio significado es el nudo gordiano de la economía venezolana. Por eso el bloqueo apuntó ahí, por eso la base material fue en declive, por eso los salarios están como están.

Ir a una revisión del sistema de base salarial y de pensiones supone el examen honesta de la economía nacional y diseñar políticas sobre una base distanciada de la renta tradicional por exportaciones. Tal como la conocimos fue desfigurada, no existe, el bloqueo la mató. Por lo tanto, no es posible considerarla como base material, no es posible financiar la nómina pública desde ella, perdió significado como referente político-social.

El año 2022 dejó algunas cifras que fueron presentadas por el presidente venezolano en su Memoria y Cuenta el pasado enero.

La actividad petrolera furtiva al bloqueo, la cual se mantiene a niveles mínimos, reportó al Banco Central de Venezuela (BCV) unos 4 mil 758 millones de USD. Consideremos ello como lo que queda de la renta petrolera, que es apenas un 8% de los niveles históricos anteriores al bloqueo.

Adicionalmente, se presentó la buena noticia de que la recaudación fiscal en el país aumentó un 97% en 2022. Mediante nuevos impuestos y un aumento en el rigor de la recaudación, el Estado llevó a sus arcas el equivalente a unos 4 mil 744 millones de USD.

Estas cifras refieren la principal base del presupuesto nacional. Son claramente mejores que las del año 2020, pero equivalen a apenas un 17% de los ingresos netos en divisas que el país recibía en 2014.

Estimaciones no oficiales refieren que llevar la nómina pública a una modesta cifra de 50 USD mensuales equivale a 7 mil millones de USD para el presupuesto de un año. Otra estimación pública, como la de Luis Bárcenas de la firma privada Ecoanalítica, indica que si el salario base y pensiones se llevan a 100 USD mensuales, ello costaría al Estado más de 13 mil millones de USD.

¿De dónde puede surgir la base de financiamiento para las nuevas tablas de salarios y pensiones? Si reconocemos que el bloqueo contra el país continuará como condición objetiva y asfixiante, entonces la composición de la fuente de recursos para la nómina pública debe ser diametralmente distinta.

Hay dos consideraciones adicionales:

El Estado venezolano no renunciará a sus obligaciones de presupuesto y en materia de gestión para destinar casi absolutamente todos sus recursos solo para sostener salarios y pensiones. Carecería de sentido sostener los salarios de trabajadores públicos si estos no tienen ningún volumen de trabajo o gestión que realizar, pues se concretaría una paralización del Estado que en nada puede contribuir a la recuperación económica.

El Ejecutivo se ha mostrado determinado en no aplicar medidas de financiarización del presupuesto público mediante emisión monetaria o aumento exacerbado de la liquidez. Este ítem -que cuenta tristemente con el grupo de “críticos anti-monetaristas”- implica la superación de un debate pseudo-ideológico. Para el gobierno venezolano sí hay demostraciones contundentes de que en el contexto actual de la economía venezolana la emisión desproporcionada de liquidez tiene efectos directos en la depreciación del bolívar, incrementando el tipo de cambio.

Siendo esas las condiciones dichas en la contundencia de las cifras y en la política, entonces, la recaudación fiscal, la reconducción del presupuesto público, la emisión muy moderada de liquidez, nuevos regímenes concesionarios, el desarrollo de las actividades de recaudación del Estado en materia de servicios y el aumento de su actividad productiva en sus empresas deben ser la nueva fuente del presupuesto público y, por ende, de la nómina de trabajadores y pensionados.

El gobierno nacional nuevamente tendrá que aplicar acciones excepcionales, esta vez para poder aumentar la base de presupuesto del Estado. El gran desafío será hacer sostenible a la nómina.

El tema fiscal seguramente será de atención. Probablemente habrá una nueva matriz de impuestos y reglas fiscales que deben ser aplicadas en amplísima escala y detalle.

De esa manera, la cuestión económica de la nómina estatal podrá contar con una base de financiamiento invulnerable a la causa de su caída: el bloqueo. Pero no implica el fin de la diatriba. Serán comunes los pronunciamientos en contra de medidas tributarias y veremos a algunos que actualmente se rasgan las vestiduras por los salarios cortándose las venas en defensa del capital privado. Las demagogias no van a escasear.

Sin embargo, al mediano plazo, la economía venezolana tendrá que adaptar más aún sus sistemas de reglas para poder sortear el momento.

Por una parte, el Ejecutivo venezolano entiende perfectamente que es necesario contener la continuidad de una economía hemipléjica, paralizada en parte. Una economía donde quienes están dentro de la esfera de los salarios privados y las remesas pueden consumir, y una economía donde los dependientes del Estado no pueden hacerlo por sus bajos ingresos.

Por otro lado, la superación del cuadro actual implica que la economía puede verse beneficiada integralmente si ese segmento de casi 7 millones de personas recupera al menos una parte significativa de sus capacidades adquisitivas, lo cual implica un aumento del consumo, del crecimiento y la retroalimentación de las actividades.

Sobre esos aspectos, estamos hablando de economía. Pero, en el contexto actual, lo políticamente correcto es situarnos en las condiciones reales y tratar este tema con la seriedad y responsabilidad que merece.

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