Una storia attuale: La CIA e la Guerra Fredda Culturale (I p)

F. Stonor Saunders  https://lapupilainsomne.wordpress.com

coverL’autrice della ricerca più completa sul tema fu a Cuba e, nel 2003, presentò il suo libro ‘La CIA e la Guerra Fredda Culturale’. Ora che stanno tornando le fondazioni, le pubblicazioni e gli eventi “con lo scopo di favorire quelle persone” che si fanno chiamare “come la Sinistra non comunista” e ritorna anche la “forma di propaganda più efficace”, quella in cui “l’individuo agiva nella direzione prevista, per ragioni che credeva fossero le proprie” è bene rileggerla.

Chi pagò l’idraulico: La CIA e la Guerra Fredda Culturale

Frances Stonor Saunders

cia top secretEra il maggio 1967. Nei corridoi della nuova sede della Central Intelligence Agency, a Langley, in Virginia, si respirava un’atmosfera di emergenza. La CIA, che praticamente per 20 anni, era riuscita a svolgere la sua attività in modo del tutto segreto, ora affrontava una profonda crisi nelle sue relazioni pubbliche. La storia di come la CIA avesse tentato colpi di stato, assassinii e rovesciamenti di governi eletti democraticamente, era circolata in tutto il mondo sulle prime pagine dei giornali, nonostante i grandi sforzi per evitarlo.

Con l’antecedente della guerra del Vietnam, ed in un clima di crescente insoddisfazione nazionale, la CIA, che fino ad allora era stata un’istituzione rispettata, cominciò ad essere vista come un feroce elefante nella cristalleria della politica internazionale. Vennero allo scoperto gli sporchi dettagli della deposizione del premier Mossadeq, in Iran nel 1953; dell’espulsione del governo Arbenz in Guatemala nel 1954; della disastrosa operazione della Baia dei Porci; e di come la CIA avesse spiato decine di migliaia di statunitensi e negato tali attività al Congresso, elevando così a nuovi livelli l’arte del mentire. Il dopoguerra si era aperto al suono della musica delle promesse storiche degli USA, ma queste ora sembravano, più che altro, un discorso cinico di una monarchia borbonica.

Molto è stato scritto da allora circa gli aspetti più drammatici delle attività della CIA e, tuttavia, poco è stato detto del suo gioiello più prezioso: il suo programma di guerra psicologica e culturale.

Dal collasso dell’Unione Sovietica si sono rivelate numerose prove della lotta del Cremlino per la supremazia ideologica. Sappiamo come il Cominform organizzò un’ampia offensiva culturale non solo nel blocco sovietico ma, anche, nel resto del mondo, al fine di guadagnare adepti alle proposte del comunismo. Tuttavia, si conoscono meno prove di come, al culmine della Guerra Fredda, il governo USA destinava ingenti risorse al proprio programma di guerra culturale.

Un elemento fondamentale all’interno di questo programma consisteva nel far credere che non esistesse. Come affermava uno degli strateghi della Guerra Fredda: “Il modo per ottenere un efficiente lavoro di propaganda, è che sembri che non ci sia alcun lavoro di propaganda”. Di conseguenza, l’apparato di intelligence USA, la CIA, operava con il massimo di discrezione. Quali fini perseguivano? Spegnere l’interesse verso il comunismo, dissipare l’idea che quella posizione neutrale fosse una valida opzione nel contesto della Guerra Fredda, stimolare la visione degli USA come custode della libertà, e aumentare le possibilità di espansione di questa nazione.

Questa campagna, che al suo apice disponeva di immense risorse, non era rivolta alle masse, ma all’intellighenzia; doveva funzionare dal vertice alla base. Al dirigersi alle élite culturali cercava di effettuare un permanente cambio rispetto alla politica estera degli USA, in un modo politicamente corretto. Sarebbe l’intellighenzia di Europa, Africa, Asia e America Latina, che direttamente o indirettamente avrebbe influito negli atteggiamenti di coloro che avevano nelle mani il potere. Come mi ha spiegato un ufficiale della CIA “ciò che l’Agenzia si proponeva era di formare persone che, a partire dal proprio ragionamento, fosse convinta che tutto ciò che faceva il governo USA fosse corretto”.

Dalla sua stessa comparsa, nel 1947, la CIA stabilì basi di un “consorzio” per creare una estesa ed influente rete di personale di intelligence e strateghi politici e utilizzare l’apparato corporativo, così come le vecchie relazioni delle università della Ivy League. Il suo scopo era quello di prevenire, il mondo, dal contagio del comunismo e favorire gli interessi della politica estera USA. Il risultato fu una fitta rete di persone che lavoravano alla promozione di un ideale: il mondo aveva bisogno di una nuova era di rappresentazione, e quel periodo avrebbe ricevuto il nome di “Il Secolo Americano”.

Questo consorzio fu l’arma segreta della Guerra Fredda degli USA; arma che nella sfera culturale aveva grandi influenze. Coscientemente o meno, contenti o meno nell’Europa del dopoguerra (e di fatto in America del sud, Asia, e nei paesi africani in via di sviluppo) rimasero pochi scrittori, giornalisti, poeti, artisti, storici, scienziati o critici i cui nomi non fossero, in un modo o nell’altro, legati a questa attività segreta. In nome della libertà di espressione, l’apparato di intelligence USA -per più di 20 anni indiscutibile e segreto- condusse, in tutto il mondo, una una serie di operazioni culturali, con ingenti finanziamenti .

Così la Guerra Fredda era definita come una “battaglia per le menti degli uomini” e riunì un vasto arsenale di armi culturali, come riviste, libri, eventi, seminari, mostre, concerti e premi.

Questa campagna segreta cercava la diserzione dei numerosi intellettuali che, negli anni trenta, avevano aderito alla sinistra. Ai tempi della Guerra Civile Spagnola e della Grande Depressione, questi intellettuali avevano visto nel marxismo e nel comunismo la promessa di un brillante futuro; tuttavia, già negli anni quaranta, quando iniziavano i primi processi stalinisti, si resero conto che avevano costruito false aspettative. In totale confusione, passarono il resto del decennio chiedendosi dove era stato l’errore; cosicché già negli anni cinquanta molti di questi intellettuali si convertirono in liberali (e non tanti liberali) anticomunisti e non erano lontani da una nuova e congeniale relazione con la Guerra Fredda degli USA.

Arthur-KoestlerIndividui come Arthur Koestler personificano questa drammatica ri – orientazione ideologica. Koestler, che fu un attivista al servizio del comunismo, aveva dimostrato la sua disillusione con una critica devastante, Darkness at Noon (Buio a mezzogiorno), la cui descrizione della crudeltà sovietica significò la sua presentazione di credenziali come anticomunista. Alla fine degli anni quaranta, Koestler serviva come consigliere del Foreign Office britannico, del Dipartimento di Stato USA, e anche lavorava per la CIA. Koestler fece sì che queste istituzioni comprendessero l’utilità di favorire coloro che, a quel tempo, già si definivano come Sinistra non comunista, che rispondeva ad un duplice obiettivo: raggiungere una certa vicinanza a gruppi “progressisti” al fine di controllare le loro attività e ammorbidire il loro stesso impatto attraverso l’influenza dall’interno dei gruppi stessi, che portava i loro membri a posizioni parallele e, sottilmente, meno radicali.

Presto lo stesso Koestler beneficiò delle campagne propagandistiche anti-comuniste, da parte della Gran Bretagna e USA. Nel 1948, l’Ufficio Affari Esteri finanziò e distribuì, segretamente, 50000 copie di Darkness at Noon. Ironia della sorte, il Partito Comunista Francese aveva l’ordine di acquistare, immediatamente, ogni esemplare che apparisse, ciò che fece sì che il libro fosse continuamente ripubblicato e, chiara ironia della Guerra Fredda, Koestler beneficiò, indefinitamente, dei fondi del Partito Comunista.

Il pezzo chiave delle reti di azioni della CIA, fu il Congresso per la Libertà Culturale, istituito nel 1950, con sede a Parigi e diretto da un ufficiale della CIA di notevoli capacità linguistiche ed intellettuali. Al suo massimo splendore, il Congresso giunse ad avere uffici in 35 Paesi, pubblicava più di 20 riviste di alta qualità, ed organizzava seminari, concerti, premi letterari e mostre. In questo periodo, non c’era una sola organizzazione, tranne che in Unione Sovietica, che disponesse di tali grandi risorse o influenzasse, in modo simile, la carriera di tante personalità di punta della cultura. Fu il Congresso per la Libertà Culturale che, nel 1963, su ordine della CIA organizzò una campagna segreta contro Pablo Neruda, quando l’Accademia di Svezia lo valutava come Premio Nobel della Letteratura, e Neruda non ricevette il premio (anche se fu finalmente concesso nel 1971). Fu il Congresso per la Libertà Culturale che, nel 1954, organizzò una campagna contro lo scrittore italiano Alberto Moravia dopo che questi suggerisse, pubblicamente, che nelle arti il realismo socialista aveva un qualche valore.

Tuttavia, più importanti di questi tentativi di censura, furono i risultati del Congresso nella diffusione della cultura USA. Mentre le sinistre anti-USA vedevano gli USA come un deserto culturale, la CIA, sotto la facciata del Congresso per la Libertà Culturale e di altre organizzazioni “libere” ed indipendenti, inondò l’Europa di libri, cantanti, orchestre e arti in generale degli USA; inoltre aiutarono a finanziare il successo dell’Espressionismo Astratto -le stravaganti e anarchiche tele Jackson Pollock e la Scuola di New York- con presentazioni nelle gallerie di tutto il mondo, alla maniera di un gruppo di agitatori che si scontra con l’arte vecchia e tradizionale, perfetta promozione per una nazione che tollerava la libertà di espressione nello stesso modo in cui l’Unione Sovietica la odiava. Inoltre la CIA pagò i costi di produzione degli adattamenti di Animal Farm di George Orwell (La fattoria degli animali) e 1984 e assicurò i suoi investimenti, in questo senso, nell’inserire agenti in entrambi i progetti. La presenza della CIA condizionò la direzione ideologica dei film ispirati in entrambe le opere, in modo che dopo la sua morte, George Orwell, il grande nemico della propaganda, fu esposto alle evasioni ed inganni della stessa.

Nel 1977, in un articolo per Rolling Stone, Carl Bernstein -il reporter investigativo che con Bob Woodward rese pubblico quello che fu il Watergate- scrisse circa l’influenza della CIA nei media. Dopo 25 anni, sembra davvero conservatrice la sua dichiarazione che più di 400 giornalisti USA collaborarono, segretamente, con la CIA. Alcune di queste relazioni si mantenevano nell’anonimato, altre erano esplicite; aveva cooperazione, adeguamento e sovrapposizione. I giornalisti offrivano una gran varietà di servizi clandestini, dalla semplice localizzazione di informazioni sino al lavoro come collegamento con spie in paesi comunisti. I giornalisti condividevano le loro note con la CIA; gli editori condividevano il loro personale. Alcuni di questi giornalisti erano premi Pulitzer, illustri giornalisti che si consideravano “ambasciatori senza portafoglio” dei loro paesi. La maggior parte erano meno noti: corrispondenti stranieri che pensavano che i loro legami con l’Agenzia gli agevolasse il lavoro.

Durante gli anni cinquanta e sessanta, molti giornalisti furono utilizzati come intermediari per localizzare, pagare e passare istruzioni ai democristiani in Italia e ai socialdemocratici in Germania; in entrambi i casi ricevettero dall’Agenzia milioni di dollari. Ad un livello più basso rimanevano i dipendenti, a tempo pieno, della CIA che si mascheravano come reporter all’estero.

In molti casi questi giornalisti erano impiegati dalla CIA con l’approvazione delle amministrazioni delle principali organizzazioni di stampa. Gli editori USA, come molti altri dirigenti aziendali ed istituzionali, erano più che disposti a stanziare le risorse delle loro aziende alla guerra contro il “comunismo globale”. Di conseguenza la barriera che, tradizionalmente, separa gli organi di stampa USA ed il governo USA si fece impercettibile. Un ricercatore che, nel 1976, conduceva un’inchiesta del Congresso circa le attività della CIA espresse il suo stupore davanti all’ “incredibilmente estensione di quanto fossero quei rapporti” e disse: “Non c’è bisogno di manipolare la rivista Times, perché ci sono membri dell’Agenzia nella stessa direzione”.

Agenti a pagamento che lavoravano nella Associated Press e United Press International, intervallavano, tra le notizie, dispacci preparati dalla CIA. Un obiettivo comune per le attività di propaganda erano i club della stampa che esistevano in quasi tutte le capitali straniere. A volte, i presidenti di questi club erano agenti CIA. La propaganda adottò molte apparenze ed affiorò in molti luoghi. Andava dall’innocuo; per esempio le lettere agli editori dei principali quotidiani, che non identificavano il mittente come impiegato della CIA, ad azioni con conseguenze ben più gravi, quali i rapporti sui test nucleari sovietici che mai si effettuarono.

link II parte

Una historia actual: La CIA y la Guerra Fría Cultural

Por Frances Stonor Saunders

La autora de la investigación más completa sobre el tema estuvo en Cuba y 2003 presentó su libro La CIA y la Guerra Fría Cultural. Ahora que regresan las fundaciones, las publicaciones y los eventos “con la utilidad de favorecer a aquellas personas” que se autodefinen “como la Izquierda no comunista” y también retorna la “forma de propaganda más efectiva”, aquella en que “el individuo actuaba en la dirección en que se esperaba, por razones que creía eran las suyas propias” es bueno releerla.

¿Quién pagó el plomero?: La CIA y la Guerra Fría Cultural

Por Frances Stonor Saunders

Corría Mayo de 1967. En los pasillos de la nueva sede de la Agencia Central de Inteligencia, en Langley, Virginia, se respiraba una atmósfera de emergencia. La CIA, que durante 20 años prácticamente había logrado desempeñarse de una manera totalmente secreta, enfrentaba ahora una profunda crisis en sus relaciones públicas. La historia de cómo la CIA había intentado golpes de estado, asesinatos y derrocamientos de gobiernos elegidos democráticamente, había circulado por todo el mundo en las primeras planas de periódicos, a pesar de los grandes esfuerzos por evitarlo.

Con el antecedente de la guerra de Vietnam, y en medio de un clima de creciente disconformidad nacional, la CIA, que hasta entonces había sido una institución respetada, comenzó a ser vista como un elefante feroz en la cristalería de la política internacional. Quedaron al descubierto los detalles sucios de la deposición del Premier Mossadegh, en Irán en 1953; de la expulsión del gobierno de Árbenz en Guatemala, en 1954; de la desastrosa operación de Bahía de Cochinos; y de cómo la CIA había espiado a decenas de miles de estadounidenses y negado dichas actividades ante el Congreso, elevando así a nuevos niveles el arte de mentir. La postguerra se había abierto al son de la música proveniente de promesas históricas de los Estados Unidos, pero estas ahora parecían más que nada el cínico discurso de una monarquía borbónica.

Mucho se ha escrito desde entonces acerca de los aspectos más dramáticos de las actividades de la CIA y, sin embargo, poco se ha hablado de su joya más preciada: su programa de guerra psicológica y cultural.

Desde el colapso de la Unión Soviética se han revelado numerosas pruebas de la lucha del Kremlin por la supremacía ideológica. Sabemos cómo el Cominform organizó una amplia ofensiva cultural no solo en el bloque soviético sino, además, en el resto del mundo, con el fin de ganar adeptos a las proposiciones del comunismo. Sin embargo, se conocen menos evidencias acerca de cómo, en lo más intenso de la Guerra Fría, el gobierno de los Estados Unidos destinaba vastos recursos a su propio programa de guerra cultural.

Un elemento fundamental dentro de este programa consistía en hacer creer que no existía tal. Como dijera uno de los estrategas de la Guerra Fría: “La manera de lograr una eficiente labor de propaganda, es que parezca que no hay labor de propaganda alguna”. En consecuencia, el aparato de espionaje de los Estados Unidos, la Agencia Central de Inteligencia, operaba con un máximo de discreción. ¿Qué fines perseguían? Apagar el interés hacia el comunismo, disipar la idea de que la posición neutral era una opción viable en el contexto de la Guerra Fría, estimular la visión de los Estados Unidos como guardián de la libertad, y aumentar las posibilidades de expansión de dicha nación.

Esta campaña, que en su momento cumbre disponía de inmensos recursos, no estaba dirigida a las masas, sino a la inteligentsia; debía funcionar desde arriba hasta la base. Al dirigirse a las elites culturales buscaba efectuar un cambio permanente con respecto a la política exterior de los Estados Unidos, de un modo políticamente correcto. Sería la intelectualidad de Europa, África, Asia, y América Latina, quien directa o indirectamente influiría en las actitudes de quienes tenían el poder en las manos. Tal como me explicara un oficial de la CIA, “lo que la Agencia se proponía era formar personas que, a partir de sus propios razonamientos, estuvieran convencidas de que todo lo que hacía el gobierno de los Estados Unidos era correcto”.

Desde su propio surgimiento en 1947, la CIA sentó las bases de un “consorcio” al crear una extensa e influyente red de personal de inteligencia y estrategas políticos y utilizar el aparato corporativo, así como las antiguas relaciones de las universidades de la Ivy League. Su objetivo era prevenir al mundo del contagio del comunismo, y favorecer los intereses de la política exterior de los Estados Unidos. El resultado fue una apretada red de personas que trabajaban en la promoción de un ideal: el mundo necesitaba una nueva era de ilustración, y tal período recibiría el nombre de “El Siglo Americano”.

Este consorcio fue el arma secreta de la Guerra Fría de los Estados Unidos; arma que en la esfera cultural tenía grandes influencias. A conciencia o no, a gusto o a disgusto, en la Europa de la postguerra (y de hecho en América del Sur, Asia, y en los países africanos en desarrollo) quedaron pocos escritores, periodistas, poetas, artistas, historiadores, científicos o críticos cuyos nombres no estuvieran, de una manera u otra, vinculados a esta empresa encubierta. En nombre de la libertad de expresión, el aparato de espionaje de los Estados Unidos —por más de 20 años incuestionable y secreto— llevó a cabo en todo el mundo una serie de operaciones culturales sustanciosamente costeadas.

De este modo la Guerra Fría era definida como una “batalla por las mentes humanas”, y reunió un vasto arsenal de armas culturales como revistas, libros, eventos, seminarios, exposiciones, conciertos y premios.

Esta campaña secreta buscaba la deserción de los numerosos intelectuales que, por la década del treinta, se habían afiliado a la izquierda. En tiempos de la Guerra Civil Española y de la Gran Depresión, estos intelectuales habían visto en el marxismo y el comunismo la promesa de un futuro brillante; sin embargo, ya en los años cuarenta, cuando comenzaban los primeros juicios stalinistas, se dieron cuenta de que se habían construido falsas expectativas. En la total confusión, pasaron el resto de la década preguntándose dónde había estado el error; así que ya en los años cincuenta muchos de estos intelectuales se convirtieron en liberales (y no tan liberales) anticomunistas y no estaban lejos de una nueva y congenial relación con la Guerra Fría de los Estados Unidos.

Individuos como Arthur Koestler personifican esta dramática reorientación ideológica. Koestler, quien fuera un activista al servicio del comunismo, había demostrado su desencanto con una crítica devastadora, Darkness at Noon (Oscuridad al mediodía), cuya descripción de la crueldad soviética significó su presentación de credenciales como anticomunista. A fines de la década del cuarenta, Koestler fungía como asesor de la Oficina Británica de Asuntos Exteriores, del Departamento de Estado de los Estados Unidos e, inclusive, trabajaba para la CIA. Koestler hizo que estas instituciones comprendieran la utilidad de favorecer a aquellas personas que en ese momento ya se autodefinían como la Izquierda no comunista, lo que respondía a un doble objetivo: lograr una cierta proximidad a grupos “progresistas” a fin de poder controlar sus actividades, y suavizar su impacto lo mismo por medio de la influencia desde el interior de los propios grupos, que conducía a sus miembros a posiciones paralelas y, sutilmente, menos radicales.

Pronto el propio Koestler se benefició de las campañas propagandísticas anticomunistas por parte de Gran Bretaña y Estados Unidos. En 1948, la Oficina de Asuntos Exteriores financió y distribuyó secretamente 50 000 ejemplares de Darkness at Noon. Irónicamente, el Partido Comunista Francés tenía órdenes de comprar de inmediato cada ejemplar que apareciera, lo que hizo que el libro fuese reeditado continuamente y, clara ironía de la Guerra Fría, Koestler se benefició indefinidamente de los fondos del Partido Comunista.

La pieza clave de la red de acciones de la CIA, fue el Congreso por la Libertad Cultural, establecido en 1950, con sede en París, y dirigido por un oficial de la CIA de considerables habilidades lingüísticas e intelectuales. En su máximo esplendor, el Congreso llegó a tener oficinas en 35 países, publicaba más de 20 revistas de alta calidad, y organizaba seminarios, conciertos, premios literarios y exposiciones. En este período, no hubo una sola organización, salvo en la Unión Soviética, que dispusiera de tan grandes recursos, o que influyera de manera similar en las carreras de tantas personalidades cimeras de la cultura. Fue el Congreso por la Libertad Cultural quien en 1963, por órdenes de la CIA, organizó una encubierta campaña contra Pablo Neruda cuando la Academia Sueca lo valoraba para el Premio Nobel de Literatura, y Neruda no recibió el premio (aunque le fue otorgado finalmente en 1971). Fue el Congreso por la Libertad Cultural quien en 1954, organizó una campaña contra el escritor italiano Alberto Moravia luego de que este sugiriera públicamente que el realismo socialista en las artes tenía algún valor.

Sin embargo, más relevantes que estos intentos de censura, fueron los logros del Congreso en la difusión de la cultura de los Estados Unidos. Mientras los izquierdistas antinorteamericanos veían a los Estados Unidos como un desierto cultural, la CIA, bajo la fachada del Congreso por la Libertad Cultural y otras organizaciones “libres” e independientes, inundó Europa de libros, cantantes, orquestas y arte en general procedente de los Estados Unidos; incluso, ayudaron a financiar el éxito del Expresionismo Abstracto –los extravagantes y anárquicos lienzos de Jackson Pollock y la Escuela de Nueva York— con presentaciones en las galerías del mundo, a la manera de un grupo de agitadores enfrentados al arte viejo y convencional, perfecta promoción para una nación que toleraba la libertad de expresión en la misma medida en que la Unión Soviética la odiaba. También la CIA pagó los costos de producción de las adaptaciones de los clásicos de George Orwell Animal Farm (La granja animal) y 1984, y aseguró sus inversiones en este sentido al insertar agentes en ambos proyectos. La presencia de la CIA condicionó la dirección ideológica de las películas inspiradas en ambas obras, de manera que después de su muerte, George Orwell, el gran enemigo de la propaganda, fue expuesto a las evasiones y decepciones de la misma.

En 1977, en un artículo para Rolling Stone, Carl Bernstein —el reportero investigador que junto a Bob Woodward, hizo público lo que fuera el Watergate— escribió sobre la influencia de la CIA en los medios de comunicación. Luego de 25 años, parece realmente conservadora su declaración de que más de 400 periodistas estadounidenses colaboraban secretamente con la CIA. Algunas de estas relaciones se mantenían en el anonimato, otras eran explícitas; había cooperación, acomodación y solapamiento. Los periodistas brindaban una gran variedad de servicios clandestinos, desde la simple localización de información hasta el trabajo como enlace con espías en países comunistas. Los reporteros compartían sus apuntes con la CIA; los editores compartían su personal. Algunos de estos periodistas eran premios Pulitzer, distinguidos reporteros que se consideraban “embajadores sin cartera” de sus países. La mayoría eran menos reconocidos: corresponsales extranjeros que pensaban que sus nexos con la Agencia les facilitaba el trabajo.

Durante las décadas del cincuenta y del sesenta, muchos periodistas fueron utilizados como intermediarios para localizar, pagar y pasar instrucciones a los demócrata-cristianos en Italia y a los social-demócratas en Alemania; en ambos casos recibieron de la Agencia millones de dólares. En una categoría inferior quedaban los empleados, a tiempo completo, de la CIA que se enmascaraban como reporteros en el extranjero.

En muchos casos estos periodistas eran empleados por la CIA con la aprobación de las administraciones de las principales organizaciones de prensa. Los editores estadounidenses, lo mismo que muchos otros directivos corporativos e institucionales del momento, estaban más que dispuestos a destinar los recursos de sus compañías a la guerra contra el “comunismo global”. Consecuentemente, la barrera que tradicionalmente separa los órganos de prensa norteamericanos y el gobierno se hizo imperceptible. Un investigador que en 1976 conducía una encuesta del Congreso acerca de las actividades de la CIA expresó su asombro ante lo “increíblemente extendidas que estaban esas relaciones” y dijo: “No es necesario manipular a la revista Times, porque hay miembros de la Agencia en la propia dirección”.

Agentes pagados que laboraban en la Associated Press (Prensa Asociada) y en la United Press International (Prensa Unida Internacional), intercalaban entre las noticias despachos preparados por la CIA. Un foco común para las actividades de propaganda eran los clubes de prensa que existían en casi todas las capitales extranjeras. En ocasiones, los presidentes de estos clubes eran agentes de la CIA. La propaganda adoptó muchas apariencias y afloró en muchos lugares. Iba desde lo inocuo; por ejemplo, cartas a los editores de los principales periódicos, que no identificaban al remitente como empleado de la CIA, hasta acciones de consecuencias mucho más serias, como reportes sobre pruebas nucleares soviéticas que nunca se efectuaron.

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