A proposito di sfilate e di marce

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not_864652_03_225906_g001La relatività è una cosa curiosa. Gli Stati Uniti spendono in armi più di qualsiasi altro paese al mondo. Cuba spende in istruzione più di qualsiasi altro paese del continente. Eppure, quando noi facciamo una sfilata militare da là c’è chi ci accusa di spese indiscriminate. Come se non fossimo un paese sotto aggressione, l’ultimo sopravvissuto della Guerra Fredda. L’unico nemico rimasto al capitalismo nel mondo.

Il diritto di ricordare a noi stessi che siamo eredi di insorti e di guerriglieri è legittimo. Detto questo, non sarebbe male sapere quanto si spende in una sfilata o in un’esercitazione militare, quante lampadine da 50 watts rappresentano. Non sarebbe male essere razionali nelle spese, soprattutto in un momento di recessione economica e anche se possiamo ben supporre che i responsabili siano assolutamente razionali, vedere per credere.

Oggi sfileremo nella Plaza de la Revolución, come i nostri padri e i nostri nonni prima di noi. Lo faremo per sentirci parte di qualcosa, non per una fede cieca ma per una decisione cosciente, di appoggio alla Rivoluzione e ai suoi dirigenti. Una relazione che è come tutte le altre, che quando una delle parti comincia a dare per scontato l’affetto dell’altra, tutto è in pericolo. Per questo le marce sono utili.

In una marcia del popolo combattente potrai vedere un milione di cubani marciare davanti a un palco di dirigenti, se è questo che vuoi vedere. Noi ci vediamo il popolo che dà una dimostrazione di forza, ricordando che lui è sovrano (come direbbe Chávez) e che le persone sul palco sono servitori pubblici, e non importa che siedano a uno o due metri di altezza. Una cosa importante da tenere a mente adesso che la generazione storica della rivoluzione comincia ad essere sostituita dalla generazione seguente, i livelli di legittimità dei primi devono essere conquistati dai secondi mediante una buona pratica politica ed economica.

Le marce di oggi sono molto superiori a quelle del passato. Ormai abbiamo lasciato alle spalle quelle piene di bambini che ripetevano discorsi che non potevano capire o dove restavamo innecessariamente per interminabili ore, oggi sono rapide e pratiche, come richiedono richiedono i tempi.

Insomma, domai staremo in piazza. Chi non c’era o ha visto alla televisione la nottata di omaggio a Fidel, non ha sentito il ruggito di un milione di cubani che dicevano “gloria eterna”. Chi crede che noi cubani stavamo lì per forza, che c’era un milione di commissari che controllavano il volume della loro voce quando gridavamo “Fidel”, chi crede a sciocchezze di questo genere non sa nulla di Cuba, o non vuole sapere.

Su sfilate e marce si potrebbe scrivere molto, ma la cosa migliore è starci dentro, per cui nel momento in cui questo questo scritto verrà pubblicato, noi saremo scesi in piazza come facevano i nostri padri e come faranno i nostri figli, ciascuno a modo suo.

(La joven Cuba, 2 gennaio 2017)

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