Un anno senza Fidel

FIDEL, IL PRIMO IN TUTTO
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La Storia di Cuba nella seconda metà del XX secolo e nei primi decenni del XXI, ha in Fidel Castro la sua personalità più rilevante…

Dagli assalti alle caserme Moncada e Carlos Manuel de Céspedes, il 26 Luglio 1953, non c’è stato a Cuba un evento politico rilevante che non sia stato segnato dall’impronta indelebile di Fidel Castro Ruz.

L’uomo diventato leggenda che dal 25 di novembre scorso, segue i destini della Rivoluzione Cubana vigile, accanto a José Martí, nel sacro Olimpo degli eroi della Patria.

Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika ha affermato che Fidel Castro aveva la rara qualità di viaggiare nel futuro, per poi ritornare a raccontarlo; forse il maggior riconoscimento alla genialità preveggente del leader della Rivoluzione Cubana, messo alla prova in un’infinità di occasioni, come quella del 26 luglio 1989, a Camagüey, quando predisse la sparizione del socialismo nell’URSS: “Dobbiamo essere più realistici che mai. Ma dobbiamo parlare, dobbiamo avvertire l’imperialismo che non si faccia tante illusioni riguardo alla nostra Rivoluzione e riguardo all’idea che la nostra Rivoluzione non potrebbe resistere se c’è una debacle nella comunità socialista; perché se domani o in qualunque giorno ci svegliassimo con la notizia che si è creata una grande guerra civile nell’URSS o, addirittura, ci svegliassimo con la notizia che l’URSS si è disintegrata (…) anche in quelle circostanze Cuba e la Rivoluzione Cubana continueranno a combattere e continueranno a resistere!”.

Ma è stato il Che Guevara, il suo amico e compagno dai giorni del Granma – che Fidel si rifiutò di lasciare prigioniero a Città del Messico, mettendo a rischio anche la futura spedizione -, quello che meglio ha espresso le ragioni esatte della leadership di Fidel e il perché della sua rilevanza come statista rivoluzionario e uomo di dimensioni straordinarie: “…se noi siamo qui oggi e la Rivoluzione Cubana è qui, è semplicemente perché Fidel è entrato per primo nel Moncada, perché è sceso per primo dal Granma, perché è stato per primo nella Sierra, perché è andato a Playa Girón in un carro armato, perché quando c’era un’inondazione era là e c’è stato persino una discussione perché non lo lasciavano entrare […], perché ha, come nessuno a Cuba, la qualità di avere tutte le autorità morali possibili per chiedere qualunque sacrificio in nome della Rivoluzione”.

Fidel è Fidel. Unico e irripetibile, come ha affermato in innumerevoli occasioni suo fratello, il generale dell’esercito e attuale presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri, Raúl Castro, che lo ha accompagnato dai giorni del Moncada fino a quelli di oggi.

Realmente Fidel, e l’esempio che rappresenta, possono essere imitati solo nel loro simbolismo, ma mai ricalcati, perché la sua genialità di pensiero, quella che coniugava con l’azione audace e coraggiosa, lo erigono a paradigma, un vertice morale paragonabile solo con la statura di José Martí. Lo stesso Fidel lo ha definito “il più geniale e universale dei politici cubani”, una concettualizzazione che si addice a lui, come un anello al dito, perché risulta, poiché è indubbiamente il più geniale e universale dei politici cubani del XX secolo e degli inizi del XXI.

Gabriel García Márquez, lo scrittore colombiano Premio Nobel per la Letteratura, suo intimo amico, evidenziava il suo potere di seduzione, il suo culto per la parola. In un eccellente articolo dedicato al leader della Rivoluzione Cubana, e intitolato: “Il Fidel che io conosco”, il Gabo, affermava: “Stanco di conversare, riposa conversando. Scrive bene e gli piace farlo. Il maggiore stimolo della sua vita è l’emozione del rischio. (…). È l’antidogmatico per eccellenza”.

“José Martí è il suo autore principale e ha avuto il talento di incorporare la sua ideologia nel flusso di una rivoluzione marxista. L’essenza del suo pensiero potrebbe essere nella certezza che fare lavoro di massa è fondamentalmente occuparsi degli individui.

“Una cosa si sa con sicurezza: sia dove sia, come stia e con chiunque stia, Fidel Castro è lì per vincere. Il suo atteggiamento di fronte alla sconfitta, anche negli atti minimi della vita quotidiana, sembra ubbidire a una logica privata: non l’ammette neanche, e non ha un minuto di pace finché non riesce a invertirne i termini e a trasformarla in vittoria. Nessuno può essere più ossessivo di lui quando si è proposto di arrivare in fondo

La “forza tellurica” della sua personalità ha catturato allo stesso modo amici e avversari, così come personalità di diversa indole e ideologie. Per il calciatore argentino Diego Armando Maradona, Fidel “…è un seduttore ed usa tutto per coinvolgerti. Dicono che ha iniziato con dodici uomini e tre fucili nella Sierra Maestro e ora mi rendo conto perché ha vinto: ha una convinzione ferrea. (…) una personalità impossibile da dimenticare”.

Il presidente nordamericano assassinato, John F. Kennedy, con segno di pentimento e convinzione dell’impossibilità di porre fine al rivoluzionario cubano, disse: “Fidel Castro fa parte del lascito di Bolivar. Avremmo dovuto dare al giovane ardente e ribelle un benvenuto più caloroso nel’ora del suo trionfo”.

Mentre uno dei buoni amici e ammiratori che ha avuto Fidel, il brasiliano Frei Betto, scrittore del libro “Fidel e la religione”, in cui per la prima volta un leader di una rivoluzione comunista si addentrava in tali argomenti, affermò: “Fidel Castro è un uomo privilegiato per la sua formazione cristiana, la sua opzione marxista e l’assimilazione della predica martiana. (…) Nonostante tutta la sua genialità, tutta la storia che incarna, riesce a farci sentire suo fratello. (…) è un uomo che mette la sua vita in funzione dell’utopia, è un uomo che non troverà mai la sua pienezza in questa vita perché Fidel crede che sia possibile il cielo sulla terra”.

La sua frase prediletta era una di José Martí che affermava che “tutta la gloria del mondo stava in un grano di mais”, e ispirandosi a essa, fece della sua vita un culto della semplicità, dell’evitare la superbia e a sentire su sé il peso della mortalità, ignorando, forse, che le persone come lui oltrepassano i limiti biologici del tempo e si incarnano per sempre nel cuore dei popolo, il che li rende immortali.
È trascorso un anno dalla sua sparizione fisica. È successo un 25 di novembre, lo stesso giorno e mese che esattamente 60 anni prima era partito dal porto di Tuxpan a capo della spedizione dello yacht Granma.

Allora aveva detto che in quel 1956 ”saremo liberi o martiri”, e aveva anche profetizzato che se partiva, arrivava, e che se arrivava, trionfava, cosa che ottenne in poco più di due anni, con la sua entrata trionfale a La Habana, l’8 gennaio 1959.

Quando se n’è andato fisicamente, sessant’anni dopo, lo ha fatto trionfalmente e nella nuova Carovana della Libertà, questa volta da La Habana fino a Santiago de Cuba, e ha ricevuto le più grandi manifestazioni di dolore e di ammirazione che qualunque cubano abbia ricevuto durante la storia della patria.

Ora tutti siamo Fidel, e il suo concetto di Rivoluzione si incarna in più di undici milioni di cubani. Se su Camilo, il Che affermava che nel suo rinnovamento eterno e immortale era l’immagine del popolo, su Fidel e sul suo lascito storico si può affermare la stessa cosa, a non finire.

Non ha voluto onori di nessun tipo, solo riposare accanto a Martí a Santa Ifigenia. Non c’è bisogno di fanfare per ricordarlo. Fidel vive in milioni e milioni di esseri umani di ogni parte del mondo. Per tutti, come disse Hugo Chávez, “… è un padre, un compagno, un maestro di strategia perfetta”.

Autore Narciso Amador Fernández Ramírez

Traduzione: Redazione di El Moncada

http://www.cubahora.cu

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