La solidarietà contro la barbarie: la storia di Cuba in Africa

La barbarie de Cassinga rappresenta il maggior attacco perpetrato con l’aviazione dalle forze razziste contro i militanti della SWAPO, la forza politica che si opponeva all’occupazione e al dominio del territorio della Namibia da parte del Governo sudafricano.

Circa de 600 rifugiati namibiani, in maggioranza donne, bambini e anziani, persero la vita per mano dei razzisti del apartheid.


L’attuazione  delle forze militari cubane che continuarono ad avanzare a Cassinga nonostante i rischi dei bombardamenti, forzò la ritirata degli attaccanti e salvò la vita al resto degli altri rifugiati, circa 3000, che si trovavano nell’accampamento.

Il contributo di Cuba non fu solamente militare, ma consistette anche nell’assistenza umanitaria alle vittime di quel massacro, molte delle quali vennero curate e poi andarono a studiare nella Maggiore della Antille.

L’aggressione, che per le forze sudafricane realizzò l’obiettivo da un punto di vista militare, fu una sconfitta politica, perchè stimolò l’adozione nelle Nazioni Unite della Risoluzione 435 che esigeva l’indipendenza della Namibia.

L’Africa è un continente con importanti radici storiche in Cuba, partendo dalla partecipazione alla conformazione della nostra nazionalità.

L’attuazione cubana in questo continente, dopo il trionfo della Rivoluzione, è anche un omaggio all’apporto degli schiavi africani che nutrirono con il loro sudore e il loro sangue lo spirito di resistenza e vittoria del nostro paese.

Cuba è sempre stata guidata da principi di solidarietà e cooperazione con l’Africa, come insegna il legato storico e internazionalista del Comandante in Capo.

La nostra cooperazione con l’Africa è stata storica.

Oggi migliaia di collaboratori cubani aiutano nello sviluppo socio -economico di questo continente.

Cosa accadde a Cassinga?

 

A 250 chilometri dalla frontiera internazionale, a sud dell’Angola, nella località di Cassinga si stabilì un accampamento di rifugiati della vicina Namibia, occupata militarmente dal Sudafrica.

La mattina del 4 maggio de 1978, le attività quotidiane de circa 3000 rifugiati furono interrotte da una valanga a sorpresa di bombe di frammentazione, fuoco e mitragliamenti.

I testimoni raccontano che gli aerei sudafricani bombardarono e spararono senza pietà sui civili, preparando lo scenario in cui poco dopo 500 paracadutisti furono lanciati dagli Hércules C-130, di fabbricazione statunitense.

I primi comandi bloccarono le entrate e le uscite da Cassinga, mentre il resto della  truppa dava la caccia ai sopravvissuti, includendo le madri con neonati tra le braccia, donne incinte, anziani e bambini.

Gli aggressori razzisti ridussero in cenere la piccola scuola, le baracche, il magazzino degli alimenti e il policlinico, dove morì quasi tutto il personale medico, come i pazienti ricoverati.

Durante l’azione le truppe del regime di Pretoria utilizzarono gas tossici che paralizzano il sistema nervoso, violando le proibizioni internazionali stabilite  al rispetto.

Avvisate dell’aggressione, le forze cubane che si trovavano a  Tchamutete, a 15 chilometri a sud di Cassinga, si mossero verso la zona dell’attacco.

Nell’avanzata soffersero duri colpi da parte dell’aviazione che, con le mine, provocò la morte di diversi militari, ma a forza di volontà e tenacia la truppa riuscì ad avvicinarsi all’accampamento forzando la ritirata dei razzisti.

Il Sudafrica razzista cercò di giustificare l’abominevole crimine con la presunta esistenza di un accampamento guerrigliero a Cassinga, ma questa affermazione fu smentita da una delegazione delle Nazioni Unite che  viaggiò nel luogo e parlò con i sopravvissuti.

Una missione del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, era stata nell’accampamento pochi giorni prima dell’attacco e aveva confermato il carattere civile del luogo d’accoglienza.

L’attuazione cubana a Cassinga, che si somma alle pagine di eroismo e solidarietà della Maggiore delle Antille in Africa, ha contribuito a salvare la vita dei rifugiati feriti e dei sopravvissuti nascosti nei boschi circostanti.

La maggioranza dei bambini che sfuggirono al massacro e altre centinaia di ragazzini che vivevano nel sud dell’Angola, furono portati a Cuba dove si fondò la prima scuola della SWAPO – Organizzazione del popolo dell’Africa sudoccidentale, nell’Isola della Gioventú.

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