Ecco spiegato perché in Bolivia è un colpo di Stato

Diego Molea – Pagina|12

L’interruzione forzata dell’ordine democratico nello Stato Plurinazionale della Bolivia domenica scorsa, 10 novembre, è il prodotto di una serie di atti costituiti come colpo di Stato contro il governo di Evo Morales.

La richiesta di un urgente ripristino della democrazia e la cessazione della violenza fanno parte della pretesa della comunità internazionale, in particolare di un’America Latina che avverte i sintomi delle pagine più oscure del suo passato.

Che cos’è un colpo di Stato

Rafael Martínez – Professore all’Università di Barcellona – indica che un colpo di Stato sono “le azioni concatenate e realizzate in un breve lasso di tempo, attraverso la minaccia, per rimuovere il potere esecutivo, da un piccolo gruppo con capacità elevata di deterrenza che utilizzerà canali illegali, che tenteranno successivamente di giustificare, mentre si tratta in realtà della difesa dei propri interessi che presentano come collettivi”.

Questo concetto si adatta perfettamente alla situazione boliviana: l’opposizione, accompagnata da movimenti sociali, polizia e forze armate, ha compiuto una serie di atti di violenza e incitamento durante le ultime settimane che hanno portato alle dimissioni forzate di Evo Morales.

La dottrina accetta di definire come un colpo di Stato un atto di violenza organizzata compiuto per deporre un presidente o un governo e sostituirlo con un altro. Nello stesso senso, Figueroa Ibarra lo indica come una rottura del quadro istituzionale.

Il 20 ottobre 2019, lo Stato Plurinazionale della Bolivia ha tenuto le sue elezioni generali. Quando furono annunciati i risultati che indicavano una clamorosa vittoria di Evo Morales, l’opposizione denunciò brogli e scoppiarono conflitti in diverse città: mobilitazioni sociali e incendi nel quartier generale del Tribunal Superior Electoral. I giorni seguenti, l’opposizione ha convocato scioperi generali, intensificando la violenza (specialmente contro la popolazione indigena).

Luis Fernando Camacho, un imprenditore schierato all’opposizione del governo Morales, ha invitato l’esercito e la polizia a “schierarsi con il popolo”, minacciando l’uso della violenza e chiedendo le dimissioni del presidente.

Venerdì 8 novembre, la polizia si è ammutinata in tre unità e le manifestazioni si sono diffuse in tutto il paese.

La domenica, l’OSA, convocata dal governo boliviano per sovrintendere al conteggio, ha suggerito di tenere le elezioni attraverso un nuovo tribunale elettorale. Evo Morales ha annunciato la convocazione di elezioni generali e la rimozione di tutti i membri del Tribunal Superior Electoral, al fine di pacificare la Bolivia. Ore dopo, le forze armate e la polizia boliviana hanno “raccomandato” al presidente di rinunciare.

Tra le pressioni delle forze di sicurezza e le proteste incoraggiate dall’opposizione, Morales si è dimesso chiedendo di fermare la violenza, “in modo che Mesa e Camacho non continuino a perseguitare, rapire e maltrattare i miei ministri, i leader sindacali e le loro famiglie e in modo che non continuino a danneggiare commercianti, professionisti indipendenti e trasportatori che hanno il diritto di lavorare”, così come il vicepresidente e i presidenti di entrambe le Camere. A seguito della denuncia di un mandato di arresto illegale, gruppi violenti hanno saccheggiato la residenza di Morales e di sua sorella. Il Messico gli ha offerto asilo “per motivi umanitari e in virtù della situazione di urgenza che vive la Bolivia”. Pertanto, il mandato costituzionale è stato interrotto senza l’intervento del parlamento.

Il politologo Andrés Malamud spiega che sono necessari tre elementi per generare ciò che sta accadendo oggi in Bolivia: l’interruzione del mandato presidenziale, una procedura non costituzionale (in questo caso attraverso le dimissioni forzate) e definita dalle forze armate.

Siamo di fronte a un colpo di Stato eccezionale e vertiginoso, un atto rapido e violento: una brusca interruzione di un governo costituzionale.

Le presidenze di Evo Morales, accompagnate alla vicepresidenza da Álvaro García Linera, hanno lasciato al popolo boliviano una riduzione della povertà di 23 punti percentuali rispetto al livello del 38,2% registrato nel 2005; aumento dell’aspettativa di vita; nazionalizzazione di idrocarburi; crescita del PIL sostenuta del 5% annuo; espulsione delle agenzie di controllo dagli Stati Uniti; e la più grande riserva di litio al mondo scoperta nella salina di Uyuni.

Diego Molea è rettore dell’Università Nazionale di Lomas de Zamora

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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