America Latina: il macchinario della sovversione dell’impero funziona a pieno regime

Gli USA perdono terreno nel loro sogno di dominio nel XXI secolo e credono che sia più che mai necessario controllare i popoli latinoamericani, per evitare che le vele di Bolivar riappaiano all’orizzonte della Patria grande

            Raúl Antonio Capote

Gli USA perdono terreno. Il loro proiettato sogno di un XXI secolo USA svanisce e la corazzata yankee fa acqua. Per i suoi esperti non è un segreto che la Repubblica Popolare Cinese, con la sua fiorente economia, sta per diventare la potenza mondiale numero uno, al più tardi entro il 2030, e la Russia non rimane indietro. La confluenza di interessi internazionali di queste due potenti nazioni e dei loro alleati, li convertono in un influente fronte alternativo al potere USA.

In queste circostanze, gli USA ritengono che sia più che mai necessario controllare il suo “cortile di casa”, per sottomettere completamente le inquiete nazioni del continente. Persino i suoi più vicini satelliti non possono prescindere dal commercio e dagli affari con Cina e Russia. D’altra parte, il seme integrazionista ravvivato da Fidel, Chávez, Kirchner, Evo e Correa, per quanto provino a infangarlo, rinverdisce sempre più.

Il piano di salvataggio -elaborato con cura negli anni ’80, dopo che le sanguinose dittature militari iniziarono a dar segnali di esaurimento, e rinascesse il pericolo che i processi rivoluzionari radicali ponessero fine al potere dell’oligarchia servile agli yankee, nonostante il sistematico sterminio dei dirigenti di sinistra- anche fallì clamorosamente ed i suoi progetti di “transizione democratica”, o quello che era lo stesso, mantenere le dittature con un manto democratico, non diedero i risultati sperati.

Il continente a sud del Rio Grande iniziò processi progressisti, alcune autentiche rivoluzioni, come in Venezuela, ed i popoli iniziarono a costruire un’integrazione storicamente molto temuta dall’impero: America Latina e Caraibi uniti in un progetto bolivariano. Le vele di Bolivar tornavano ad apparire all’orizzonte.

Lo yankee tremò, tremarono i loro servi e cipayos. Il compito dei servizi speciali imperiali ed in particolare della sua guardia pretoriana, dei suoi carri armati del pensiero e dei “cavalieri straussiani” scelti, fu quindi quello di fermare e poi distruggere i movimenti rivoluzionari integrazionisti che erano in gestazione, abbattere i governi scomodi fu il compito della CIA, organizzazione con grande esperienza in materia. Avviò il diabolico ed oliato macchinario nella lotta contro il socialismo dell’est Europa, in particolare l’URSS.

L’offensiva della destra non si è fatta aspettare in America Latina, uno dopo l’altro i governi del “decennio progressista” iniziarono a cadere, prodotto di una strategia multifattoriale, ben ponderata, senza scrupoli, che contava su tutte le risorse logistiche e finanziarie, le poche risorse e la poca importanza che i governi progressisti diedero alla preparazione politica delle masse, tra altri fattori, influenzarono il successo iniziale del piano di restaurazione del neoliberalismo.

Tutte le varianti della guerra non convenzionale, create nei laboratori USA, alcune delle quali testate con variabile successo in Medio Oriente ed Europa, sono state applicate nel continente, golpe morbidi, golpe giudiziari, golpe parlamentari, con maggiore o minore presenza dei militari e delle forze di polizia, sempre fedeli agli stati neocoloniali, semina di cavalli di Troia, il cui maggior esempio è Lenín Moreno in Ecuador, ecc.

C’è sempre un “ma”, si potrebbe dire con certezza. La destra non ha molto da offrire, il suo piano è semplice: restaurare il neoliberalismo neocoloniale -che è la peggiore variante del neoliberalismo- e quel piano è destinato al fallimento. L’America si ribella, si alza, abbatte i governi neoliberali nelle urne, la percezione di pericolo per il potere USA diventa maggiore.

Ora l’impero è una bestia accovacciata che lancia artigliate a destra e sinistra, il suo macchinario di distruzione e sovversione funziona a tutto regime, la cosa peggiore è che questo macchinario è diretto da una banda di trogloditi, dinosauri ancorati all’epoca delle cannoniere, di cui hanno imparato solo nei fumetti, nelle serie televisive e non nei libri di storia. Questo gruppo di cavernicoli al potere è profondamente ignorante, la loro visione del mondo è stata costruita in spazi molto chiusi di opinione fondamentalista, non conoscono bene neppure il proprio paese.

Da loro ci si può aspettare qualunque cosa, i meno cattivi all’interno della nazione settentrionale cercano di fermare quel gruppo, non per profonde contraddizioni con i loro obiettivi generali, ma perché li vedono come un reale pericolo per gli stessi interessi USA, per il futuro dell’impero.

Raggruppati in un fronte che non ha raggiunto la necessaria unità, cercano di togliere dal potere la cricca trumpista ed hanno scommesso sul processo politico contro il magnate presidente come un modo per salvarsi. È una misura disperata, perché sanno che il paese ha fratture interne, nell’economia e nella sua struttura come nazione, e una crisi potrebbe portarli al disastro.

Sono come nella classica vignetta della barca che fa acqua da tutte le parti, chiudono un buco e se ne apre un altro, tappano un buco con menzogne, con calunnia, con sangue e se ne apre uno nuovo.

Stanno affrontando la vergogna dei popoli, quella storia che hanno cercato cancellare con denaro ed armi. Sono gli immortali spiriti dei nostri soldati liberatori che ritornano, dei guerrieri dei popoli originari, degli “indios” dell’altopiano, delle truppe di Sandino, degli uomini del Che, che sellano i loro cavalli e oliano i fucili, sono le vele di Bolivar pronte per superare a tempesta e vincere, ora sì.


América Latina: la maquinaria de subversión del imperio trabaja a todo vapor

Estados Unidos pierde terreno en su sueño de dominación en el siglo XXI y cree necesario más que nunca controlar a los pueblos latinoamericanos, para evitar que las velas de Bolívar vuelvan a aparecer en el horizonte de la Patria grande

Autor: Raúl Antonio Capote

Estados Unidos pierde terreno. Su proyectado sueño de un siglo xxi estadounidense se desvanece y el acorazado yanqui hace aguas. Para sus expertos no es un secreto que la República Popular China, con su pujante economía, va en camino de ser la potencia mundial número uno a más tardar en 2030, y Rusia no se queda atrás. La confluencia de intereses internacionales de estas dos poderosas naciones y sus aliados, los convierten en un influyente frente alternativo al poder estadounidense.

En estas circunstancias Estados Unidos cree más necesario que nunca controlar a su «patio trasero», someter por completo a las inquietas naciones del continente. Incluso sus más cercanos satélites, no pueden prescindir del comercio y los negocios con China y Rusia. Por otra parte, la semilla integracionista revivida por Fidel, Chávez, Kirchner, Evo y Correa, por más que intenten mancillarla reverdece una y otra vez.

El plan de salvamento –cuidadosamente elaborado en los 80, luego de que las dictaduras militares sangrientas comenzaran a dar señales de agotamiento, y renaciera el peligro de que los procesos revolucionarios radicales acabaran con el poder de la oligarquía servil a los yanquis, a pesar del exterminio sistemático de líderes de izquierda– también fracasó estrepitosamente, y sus proyectos de «transición democrática», o lo que era lo mismo, mantener las dictaduras con un manto democrático, no dieron los resultados esperados.

El continente al sur del río Bravo inició procesos progresistas, algunas auténticas revoluciones, como en Venezuela, y los pueblos comenzaron a construir una integración históricamente muy temida por el imperio: América Latina y el Caribe unidos en un proyecto bolivariano. Las velas de Bolívar volvían a aparecer en el horizonte.

Tembló el yanqui, temblaron sus servidores y cipayos. La tarea de los servicios especiales imperiales y en particular de su guardia pretoriana, de sus tanques de pensamiento y escogidos «caballeros straussianos», fue entonces frenar y luego destruir los movimientos revolucionarios integracionistas que se gestaban, derribar gobiernos incómodos fue la tarea de la cia, organización con gran experiencia en el tema. Echó a andar la maquinaria diabólica engrasada en la lucha contra el socialismo del este europeo, en especial la urss.

La ofensiva de la derecha no se hizo esperar en América Latina, uno tras otros los gobiernos de la «década progresista» comenzaron a caer, producto de una estrategia multifactorial, bien pensada, inescrupulosa, que contaba con todos los recursos logísticos y financieros, los pocos recursos y la poca importancia que los gobiernos progresistas dieron a la preparación política de las masas, entre otros factores, influyeron en el éxito inicial del plan restaurador del neoliberalismo.

Todas las variantes de guerra no convencional, creadas en los laboratorios estadounidenses, algunas de ellas ensayadas con éxito variable en el Oriente Medio y Europa, han sido aplicadas en el continente, golpes suaves, golpes judiciales, golpes parlamentarios, con mayor o menor presencia de los militares y las fuerzas policiales, siempre fieles a los estados neocoloniales, siembra de caballos de Troya, cuyo ejemplo mayor es Lenín Moreno en Ecuador, etc.

Siempre hay un «pero», se podría decir con certeza. La derecha no tiene mucho que ofrecer, su plan es simple: restaurar el neoliberalismo neocolonial –que es la peor variante de neoliberalismo–, y ese plan está condenado al fracaso. América se revira, se alza, derriba en las urnas a los gobiernos neoliberales, la percepción de peligro para el poder estadounidense se torna mayor.

Ahora el imperio es una fiera agazapada que lanza zarpazos a diestra y siniestra, su maquinaria de destrucción y subversión trabaja a todo vapor, lo peor es que esta maquinaria está dirigida por un bando de trogloditas, de dinosaurios anclados en la época de las cañoneras, de la que solo aprendieron en los comics, en las series de televisión y no en los libros de historia. Este grupo cavernícola gobernante es profundamente ignorante, su visión del mundo ha sido construida en espacios muy cerrados de opinión fundamentalista, no conocen bien ni a su propio país.

De ellos puede esperarse cualquier cosa, los menos malos dentro de la nación norteña intentan parar a ese grupo, no por contradicciones profundas con sus objetivos generales, sino porque los ven como un peligro real para los propios intereses estadounidenses, para el futuro del imperio.

Agrupados en un frente que no ha alcanzado la unidad necesaria, intentan sacar a la camarilla trumpista y han apostado al juicio político contra el magnate presidente como vía para salvarse. Es una medida desesperada, porque saben que el país tiene fracturas internas, en la economía y en su estructura como nación, y una crisis podría llevarlos al desastre.

Están como en la clásica caricatura del bote que hace aguas por todas partes, taponean un agujero y se abre otro, tapan un hueco con mentiras, con calumnias, con sangre y se abre uno nuevo.

Están enfrentando a la vergüenza de los pueblos, a esa historia que han pretendido borrar con el dinero y las armas. Son los espíritus inmortales de nuestros soldados libertadores que regresan, de los guerreros de los pueblos originarios, de los «indios» del altiplano, de las tropas de Sandino, de los hombres del Che, que ensillan sus andaduras y engrasan los fusiles, son las velas de Bolívar que se alistan para capear la tempestad y vencer, ahora sí.

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