Dalla Repubblica Dominicana, Norvegia e Barbados al Tavolo di Dialogo Nazionale: un ripasso
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Sarebbe un errore pensare di essere arrivati a questa fase di ricomposizione e riordinamento politico in modo spontaneo e repentino, come se negli anni precedenti non si fosse posto, sui vari tavoli di dialogo, le misure che possiamo, oggi, verificare come azioni che sbloccano il pasticcio istituzionale di cui soffre, al momento, il Venezuela.
Quei cicli di negoziati sono stati, per la maggior parte, direttamente sabotati dal governo USA, che è solito trattare l’opposizione venezuelana come un portaborse senza autonomia. Ma, sappiamo, è solo una parte della dirigenza anti-chavista che è disposta a seguire i disegni della politica estera della Casa Bianca, chiunque sia l’ “inquilino” di turno.
Facendo un succinto ripasso delle diverse opportunità che il governo chavista ed i dirigenti dell’opposizione venezuelana hanno intrapreso sulla via del dialogo per cercare di risolvere antagonismi che sembravano inconciliabili, possiamo scoprire che l’indulto presidenziale, a più di 100 politici prigionieri e latitanti dalla giustizia che si trovano all’estero, oltre all’attuazione di alcune garanzie elettorali negoziate tra i due settori, erano già nell’agenda dello sblocco concepita in precedenti istanze.
Il dialogo nella Repubblica Dominicana
Quella volta è bastata una telefonata del Dipartimento di Stato, allora responsabile Rex Tillerson, perché l’opposizione si alzasse dal tavolo dei negoziati nella Repubblica Dominicana, all’inizio del 2018, in cui si è raggiunto un principio di accordo sui temi che si sarebbero tracciati in seguito.
Ciò includeva il rilascio di un numero significativo di politici che erano stati arrestati per aver partecipato ad azioni dirompenti della stabilità repubblicana nelle rivoluzioni colorate del 2014 e 2017, fatto che era stato annunciato a dicembre 2017 e che aveva costituito un gesto di buona fede da parte del governo di Nicolás Maduro per la consecuzione del dialogo.
Tuttavia, gli USA avevano altri piani che nulla avevano a che fare con la stabilità del Venezuela.
Piuttosto, le azioni dell’amministrazione Trump non hanno fatto che peggiorare la situazione non solo politica ed istituzionale della Repubblica Bolivariana, ma anche quella economica, sociale e della mobilità della popolazione.
Va notato che questo ciclo di dialoghi nella Repubblica Dominicana, durante la gestione patrocinata dal presidente Danilo Medina, e con l’ex presidente spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero come agevolatore, si realizzò dopo che fu soffocato il periodo di guarimbas (rivolte), nel 2017. Detto tavolo di negoziati mirava ad incamminare i fattori belligeranti attraverso la politica.
Il frutto di quanto accaduto nella Repubblica Dominicana sarebbe stato raccolto posteriormente, come vedremo più avanti.
Oslo e Barbados come scenari
L’autoproclamazione di Juan Guaidó come “presidente ad interim” del Venezuela, nel gennaio 2019, riconosciuto dagli USA e da alcune dozzine di paesi i cui governi orbitano attorno agli interessi geopolitici ed economici di Washington, ha significato l’accelerazione del conflitto tra le parti, una reclamando il diritto legittimo al governo legittimato attraverso il voto popolare, l’altra che cerca di effettuare un “cambio di regime” che, fino ad oggi, ha significato un clamoroso fallimento.
Con Guaidó (e Leopoldo López come principale mentore), la guerra economico-finanziaria-commerciale al paese, attraverso misure coercitive unilaterali, è stata rafforzata da parte del governo di Donald Trump. Inoltre, la sua figura altamente mediatizzata, e quindi suscettibile di sbiancature e giustificazioni della politica USA nei confronti della Repubblica Bolivariana, è servita da cortina fumogena per i piani di destabilizzazione, tentativi di colpo di stato ed incursioni armate (fallite) con il motivo di soppiantare il governo chavista da parte del ad interim fake (falso).
Il caos istituzionale causato dalla prerogativa anti-chavista di minare il governo di Nicolás Maduro ha dato luogo che, ancora una volta, entrambi i poli si sedessero allo stesso tavolo a dialogare per lo sblocco politico.
In questo contesto è stato creato il Gruppo di Contatto Internazionale, erede del cosiddetto Meccanismo di Montevideo, con il quale vari governi, in America Latina ed Europa, avrebbero facilitato un riavvicinamento tra governo ed opposizione. Ma non è riuscito realmente a partire anche se, soprattutto il governo del Messico, presieduto da Andrés Manuel López Obrador, promuovesse, a gran voce, il dialogo intra-venezuelano.
Alla fine si sono seduti a Oslo, capitale della Norvegia, il cui governo ha promosso il riavvicinamento, tra gennaio e maggio 2019, senza rivelare i dettagli degli incontri su richiesta di entrambe le parti.
I cicli sono proseguiti sull’isola caraibica di Barbados, tra luglio e settembre, fino a quando Juan Guaidó ha deciso (o meglio, è stato costretto a decidere) di alzarsi dal tavolo, nel settembre 2019, sostenendo che tale meccanismo si era “esaurito”.
Poco prima, e come conseguenza del fatto che l’amministrazione Trump avesse approfondito la guerra economica totale contro il Venezuela attraverso l’embargo totale all’economia nazionale e le cosiddette “sanzioni secondarie”, con cui sono state minacciate le società straniere che facessero affari con il governo venezuelano i negoziatori chavisti non si sono presentati alle Barbados, nell’agosto 2019.
In assenza di “buona fede” da parte dell’opposizione, non avendo alcuna intenzione di fare pressioni per la rimozione delle misure coercitive unilaterali, il governo di Maduro ha, in questo modo, espresso il proprio malcontento.
Ancora una volta, sia l’ala estremista dell’anti-chavismo che il governo USA, la pressione su Guaidó è stata più forte dei tentativi di stabilizzazione politica ed istituzionale in Venezuela.
Tutto ciò ha dato origine a che il chavismo cercasse, quindi, di mediare con altri attori e fattori che erano stati esclusi o si erano apertamentesmarcati dalla strategia USA. Lì è dove è entrato il Tavolo di Dialogo Nazionale. Le conseguenze le vediamo oggi.
Firma di accordi e conseguenze del dialogo
Mentre l’agenda anti-chavista si concentrava sulla retorica e sulle azioni di Guaidó e del suo gruppo, oltre alle mosse USA contro il governo bolivariano, quest’ultimo firmava accordi per sbrogliare il contesto problematico all’interno dello stato venezuelano.
Così, è stato pubblicamente installato il Tavolo di Dialogo Nazionale per la Pace, ancora in vigore.
Il 16 settembre 2019, in una seduta televisiva, i rappresentanti del chavismo Delcy e Jorge Rodríguez, Aristóbulo Istúriz e Jorge Arreaza e quelli dell’opposizione, Timoteo Zambrano, Claudio Fermín, Luis Augusto Romero, Felipe Mujica e Leopoldo Puchi, hanno firmato, congiuntamente, un documento in cui sono stati concordati sei punti:
Liberazione di politici prigionieri attraverso raccomandazioni della Commissione per la Verità
Elezione di nuovi rettori del Consiglio Nazionale Elettorale
Difesa dell’Essequibo come territorio venezuelano
Reincorporazione dei deputati del Grande Polo Patriottico all’Assemblea Nazionale
Denuncia e revoca delle misure coercitive unilaterali
Applicazione del programma per lo scambio di petrolio con alimenti e medicine secondo i meccanismi stabiliti dalle Nazioni Unite
Il presidente Maduro ha spiegato che il dialogo tra le due parti è stato raggiunto attraverso gli uffici del governo norvegese, essendo Oslo un attore internazionale chiave nel raggiungimento del presente contesto.
Tra altri attori internazionali chiave c’è, anche, il Vaticano, che storicamente è servito da mediatore ed agevolatore di dialoghi, ed, internamente, un importante articolatore, soprattutto da quando sono stati sviluppati i meccanismi di Norvegia e Barbados, è stato Stalin González, che si è appena dimesso dal partito Un Nuevo Tiempo, ed anche l’ex candidato alla presidenza Henrique Capriles Radosnki.
I sei punti concordati, quasi un anno fa, si stanno realizzando, dando slancio al calendario elettorale rispetto alle prossime elezioni parlamentari che sono state annunciate nel marzo di quest’anno.
Da qui viene la decisione del massiccio indulto presidenziale e l’attivazione dei meccanismi che assicurano le garanzie elettorali negoziate da mesi, persino da anni, per arrivare a questo contesto in cui si comincia finalmente ad intravedere una rapida regolarizzazione. dell’istituzionalità e della politica come strumento per dirimere il conflitto venezuelano.
Nel frattempo, gli USA ed il suo delfino, Juan Guaidó, pretendono sabotare le elezioni parlamentari del 6 dicembre, sostenendo che “non esistono le condizioni” per portarle a termine, anche quando l’agenda del dialogo afferma che sì si sta costruendo uno scenario in cui sia possibile eleggere una nuova Assemblea Nazionale che rappresenti i veri interessi della popolazione venezuelana e non le prerogative del Nord globale.
De República Dominicana, Noruega y Barbados a la Mesa de Diálogo Nacional: un repaso
Sería un error pensar que hemos llegado a esta etapa de recomposición y reordenamiento político de manera espontánea y de repente, como si en años anteriores no se hubiese puesto sobre las distintas mesas de diálogo las medidas que podemos hoy verificar como acciones que destrancan el embrollo institucional del que adolece Venezuela por los momentos.
Aquellas rondas de negociaciones fueron, en su mayoría, directamente saboteadas por el gobierno estadounidense, que suele tratar a la oposición venezolana como un mandadero sin autonomía. Pero, sabemos, se trata sólo de una parte de la dirigencia antichavista la que está dispuesta a seguir los designios de la política exterior de la Casa Blanca, sea quien sea el “inquilino” de turno.
Haciendo un repaso sucinto de las diferentes oportunidades que el gobierno chavista y los líderes de la oposición venezolana tomaron la ruta del diálogo para intentar dirimir antagonismos que parecían irreconciliables, podemos encontrar que el indulto presidencial a más de 100 políticos presos y prófugos de la justicia que se encuentran en el exterior, además del implemento de ciertas garantías electorales negociadas entre ambos sectores, ya se encontraban en la carta de navegación del destrabamiento concebida en otras instancias anteriores.
El diálogo en República Dominicana
Aquella vez bastó un telefonazo del Departamento de Estado, en ese entonces a cargo de Rex Tillerson, para que la oposición se levantara de la mesa de negociaciones en República Dominicana, a principios de 2018, en el que se llegó a un principio de acuerdo en los temas que se trazarían posteriormente.
Eso incluyó la liberación de una cantidad importante de políticos que habían sido arrestados por haber participado en acciones disruptivas de la estabilidad republicana en las revoluciones de color de 2014 y 2017, hecho que fue anunciado en diciembre de 2017 y que constituyó un gesto de buena fe por parte del gobierno de Nicolás Maduro para la consecución del diálogo.
Sin embargo, Estados Unidos tenía otros planes que nada tenían que ver con la estabilidad de Venezuela.
Más bien, las acciones de la Administración Trump no han hecho sino empeorar la situación no sólo política e institucional de la República Bolivariana, también la económica, social y de movilidad poblacional.
Se debe resaltar que esta ronda de diálogos en República Dominicana, durante la gestión auspiciante del presidente Danilo Medina, y con el ex presidente español José Luis Rodríguez Zapatero como facilitador, fue luego de que se sofocara el periodo de guarimbas en 2017. Dicha mesa de negociaciones tenía como objetivo encaminar a los factores beligerantes a través de la política.
El fruto de lo sucedido en República Dominicana se vería cosechado posteriormente, como veremos a continuación.
Oslo y Barbados como escenarios
La autoproclamación de Juan Guaidó como “presidente interino” de Venezuela en enero de 2019, reconocido por Estados Unidos y unas decenas de países cuyos gobiernos orbitan en torno a los intereses geopolíticos y económicos de Washington, significó la aceleración del conflicto entre partes, uno reclamando el derecho legítimo a la gobernanza legitimada a través del voto popular, el otro buscando efectuar un “cambio de régimen” que, a día de hoy, ha significado un rotundo fracaso.
Con Guaidó (y Leopoldo López como principal mentor) se afianzó la guerra económica-financiera-comercial sobre el país vía medidas coercitivas unilaterales por parte del gobierno de Donald Trump. Además, su figura altamente mediatizada, y por ende susceptible de blanqueos y justificaciones de la política estadounidenses hacia la República Bolivariana, ha servido como cortina de humo para los planes de desestabilización, intentos de golpe de estado e incursiones armadas (fallidas) bajo razón de suplantar el gobierno chavista por el interinato fake.
El lío institucional causado por la prerrogativa antichavista de minar al gobierno de Nicolás Maduro dio pie para que, una vez más, ambos polos se sentaran en una misma mesa a dialogar por el destrabamiento político.
En ese contexto, se generó el Grupo de Contacto Internacional, heredero del llamado Mecanismo de Montevideo, con el que varios gobiernos de América Latina y Europa facilitarían un acercamiento entre gobierno y oposición. Pero no logró tomar fuelle real aunque, sobre todo el gobierno de México, presidido por Andrés Manuel López Obrador, promocionara a viva voz el diálogo intravenezolano.
Por fin se sentaron en Oslo, capital de Noruega, cuyo gobierno propició el acercamiento entre enero y mayo de 2019, sin develarse detalles de las reuniones a solicitud de ambas partes.
Las rondas prosiguieron en la isla caribeña de Barbados, entre julio y septiembre, hasta que Juan Guaidó decidió (o, más bien, fue obligado a decidir) levantarse de la mesa en septiembre de 2019 alegando que tal mecanismo se había “agotado”.
Poco antes, y como consecuencia de que la Administración Trump profundizara la guerra económica total contra Venezuela a través del embargo total a la economía nacional y las llamadas “sanciones secundarias”, con las que se amenazaron a compañías extranjeras que hicieran negocios con el gobierno venezolano, los negociadores chavistas no se presentaron en Barbados en agosto de 2019.
Al no existir “buena fe” por parte de la oposición, no teniendo intención alguna de cabildear por la remoción de las medidas coercitivas unilaterales, el gobierno de Maduro manifestó su descontento de esta manera.
Una vez más, tanto el ala extremista del antichavismo como el gobierno estadounidense, la presión sobre Guaidó pudo más que los intentos de estabilización política e institucional en Venezuela.
Todo esto dio pie a que el chavismo buscara, entonces, mediar con otros actores y factores que fueron apartados o se deslindaron abiertamente de la estrategia estadounidense. Fue ahí donde entró la Mesa de Diálogo Nacional. Las consecuencias las vemos hoy.
Firma de acuerdos y consecuencias del diálogo
Mientras la agenda antichavista se enfocaba en la retórica y las acciones de Guaidó y su equipo, además de las movidas estadounidenses contra el Gobierno Bolivariano, éste último concretaba una firma de acuerdos para desenredar el contexto problemático en el seno del estado venezolano.
Así, se instaló de manera pública la Mesa Nacional de Diálogo por la Paz, aún vigente.
El 16 de septiembre de 2019, en una sesión televisada, los representantes del chavismo Delcy y Jorge Rodríguez, Aristóbulo Istúriz y Jorge Arreaza y los de la oposición, Timoteo Zambrano, Claudio Fermín, Luis Augusto Romero, Felipe Mujica y Leopoldo Puchi, firmaron conjuntamente un documento en el que se acordaron seis puntos:
Liberación de políticos presos mediante recomendaciones de la Comisión de la Verdad
Elección de nuevos rectores del Consejo Nacional Electoral
Defensa del Esequibo como territorio venezolano
Reincorporación de los diputados del Gran Polo Patriótico a la Asamblea Nacional
Denuncia y levantamiento de las medidas coercitivas unilaterales
Aplicación del programa canje de petróleo por alimentos y medicinas bajo los mecanismos establecidos por las Naciones Unidas
El presidente Maduro explicó que el diálogo entre ambas partes se logró mediante los oficios del gobierno noruego, siendo Oslo un actor internacional clave para la consecución del presente contexto.
Entre otros actores internacionales clave se encuentra, asimismo, el Vaticano, que históricamente ha fungido de mediador y facilitador de diálogos, y a lo interno un articulador importante, sobre todo desde que se desarrollaran los mecanismos de Noruega y Barbados, ha sido Stalin González, quien acaba de renunciar al partido Un Nuevo Tiempo e incluso el ex candidato presidencial Henrique Capriles Radosnki.
Los seis puntos acordados hace casi un año están siendo cumplidos, dándole impulso al calendario electoral respecto a los próximos comicios parlamentarios que se anunciaron en marzo de este año.
De ahí proviene la decisión del masivo indulto presidencial y la activación de los mecanismos que aseguran las garantías electorales que se han negociado durante meses, e incluso años, para llegar a este contexto en el que se comienza a vislumbrar, por fin, una pronta regularización de la institucionalidad y la política como herramienta para dirimir el conflicto venezolano.
Mientras tanto, Estados Unidos y su delfín, Juan Guaidó, pretenden sabotear las elecciones parlamentarias del 6 de diciembre, alegando que “no existen las condiciones” para llevarlas a cabo, aun cuando la carta de navegación del diálogo expresa que sí se está construyendo un escenario donde sea posible elegir una nueva Asamblea Nacional que represente los verdaderos intereses de la población venezolano y no las prerrogativas del Norte global.