L’arte delle sanzioni

“L’arte delle sanzioni”: il suo impatto sulle industrie petrolifere di Iran e Venezuela

 

Molte delle luci mediatiche e geopolitiche degli ultimi tempi si sono concentrate, principalmente, sul sostegno dell’Iran al Venezuela nel settore petrolifero, in un momento di grande tensione e minacce tutelate dagli USA con tutti coloro che non siano d’accordo con la sua agenda ed interessi.

Dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, gli USA hanno iniziato la loro disperata corsa di misure coercitive unilaterali contro l’Iran. E’ stato per un lungo periodo ma il fulcro delle sanzioni si è mantenuto nel tempo; la coercizione colpisce direttamente la sfera finanziaria-economica-commerciale ed i programmi di sviluppo nucleare iraniani.

Infatti, Elliott Abrams, il rappresentante speciale USA per Venezuela ed Iran, in una sessione informativa, ricordava, pochi giorni fa, che il presidente USA, Donald Trump, ha in programma di imporre l’embargo sulle armi all’Iran ed altre restrizioni.

Si è detto abbastanza sull’applicazione e sugli effetti delle “sanzioni”, tuttavia riprendere la revisione degli impatti di questo logoro meccanismo sul settore petrolifero iraniano rafforza l’argomentazione sull’attacco all’industria, che incide, prima di tutto, nel calo della produzione di greggio.

Quello che dice Richard Nephew, creatore delle sanzioni contro l’Iran

 

Per i creatori delle politiche di pressione e coercizione USA, è consuetudine ed accettabile applicare misure coercitive unilaterali in un dato paese se non è in consonanza con l’agenda USA. Questa è la tesi dell’eccezionalismo USA.

In essa si iscrive Richard Nephew, esperto ed architetto delle “sanzioni” contro l’Iran durante l’amministrazione Obama. Nel suo libro ‘The Art of Sanctions’, spiega i macabri obiettivi e l’efficacia delle “sanzioni”, usando il termine “dolore” in cui spiega che questo sottolinea lo scopo delle stesse.

Inoltre, sottolinea che, solo perché i danni causati dalle sanzioni sono meno visibili agli occhi della comunità internazionale, non è che siano meno distruttivi.

Il giornalista ed analista USA Max Blumenthal su Twitter smonta un altro cinico frammento del suddetto libro, in cui Nephew rivela che le sanzioni contro l’Iran sono state un enorme successo per l’amministrazione USA, poiché il Rial iraniano è stato deprezzato, provocando un’emorragia nelle riserve valutarie. Inoltre, c’è stata una contrazione economica e sia la disoccupazione che l’inflazione sono aumentate. Senza dubbio, sono frustate per la popolazione iraniana.

Inoltre, la Sures Organization segnala che, nel libro, Nephew descrive francamente che, riducendo la capacità di esportazione di un paese, si ottiene una certa pressione sull’importazione di cibo e medicine, sottolineando che le “sanzioni” sono dolorose per i cittadini comuni.

Allo stesso modo in cui il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, aggiunge altre definizioni negli obiettivi delle misure coercitive unilaterali: per Nephew il dolore deve essere opprimente affinché l’obiettivo “cambi il suo comportamento”.

Gli USA hanno applicato “sanzioni” al settore petrolifero iraniano, dal 2018, per interrompere le esportazioni ed ostacolare l’accesso al sistema finanziario internazionale.

Lo conferma il segretario di Stato Mike Pompeo, che dopo l’assassinio di Qasem Soleimani all’inizio di quest’anno, ha sottolineato in un discorso che la strategia dell’amministrazione di “massima pressione” mira a tagliare l’80% delle entrate petrolifere dell’Iran.

Ha anche detto che “lo stesso presidente Rouhani ha detto che abbiamo negato al regime iraniano circa 200 miliardi di dollari in entrate straniere perse ed investimenti come risultato delle nostre attività”.

Già ad aprile 2019, la Casa Bianca comunicava che Trump stava lavorando per ridurre a zero le esportazioni di petrolio dell’Iran.

La produzione di petrolio, colpita

 

L’impatto sulle esportazioni di greggio, ovviamente, incide direttamente sulla produzione. Tuttavia, le “sanzioni” su questo settore contro la Repubblica Islamica sono state gestite in modo pendolare, cioè s’impongono o si cancellano temporaneamente.

Nel grafico 1 si osservano i picchi senza “sanzioni” ed i forti cali quando applicate. In particolare, in termini di produzione all’inizio del 2018, si registrava intorno ai 3,8 milioni di b/g (barili/giorno); dopo l’imposizione delle “sanzioni”, la produzione è scesa a poco più di 1 milione di b/g.

In linea con ciò, il grafico 2 avverte del calo della produzione al momento dell’uscita degli USA dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).

Le esportazioni di greggio sono una delle principali fonti di ingresso per il governo iraniano, nonché un importante motore che contribuisce allo sviluppo delle infrastrutture e dell’economia del paese.

A livello comparativo, come l’industria petrolifera iraniana, il Venezuela, essendo anche un paese “sanzionato”, soffre gli attacchi delle stesse, vivendo gravi complicazioni nella sua industria petrolifera.

Dall’agosto 2017 sono state imposte, per la prima volta, misure di ritorsione finanziaria contro il Venezuela, bloccando le forme di commercio con il paese ed il mantenimento del parco industriale.

Con ciò, vengono chiusi i principali afflussi di valuta estera nel paese e, quindi, si tenta di intensificare il dolore di cui parla così tanto Nephew. Nel 2016 il Venezuela ha registrato una produzione di 2373 milioni di b/g nel 2016, rispetto ai 2072 milioni di b/g nel 2017, con un calo di quasi 300mila b/g.

Ora, con l’imposizione delle “sanzioni” a destra ed a sinistra, l’obiettivo viene semplicemente raggiunto minando la vita quotidiana ed il futuro immediato delle popolazioni che soffrono questi attacchi. Anche tenendo conto che, come mostra uno degli studi più completi in materia, fino ad oggi, sono stati esaminati più di 100 casi e si è concluso che le misure coercitive unilaterali erano un parziale successo, nell’ottenere l’obiettivo politico USA, solo il 34% delle volte.

Le azioni delle amministrazioni USA non sono altro che veri e propri crimini contro l’umanità, in conformità con le disposizioni dell’articolo 7 dello Statuto di Roma, che si inquadrano nelle sue caratteristiche strutturali di espansione e di ingerenza da quando quella nazione si è ritenuta “eccezionale”.


“El arte de las sanciones”: su impacto en las industrias petroleras de Irán y de Venezuela

 

Muchas de las luces mediáticas y geopolíticas de los últimos tiempos han estado centrados, principalmente, en el apoyo de Irán a Venezuela en el sector petrolero, en un momento de suma tensión y amenazas tuteladas por Estados Unidos con todo aquel que no comulgue con su agenda e intereses.

Desde finales de los años 70 del siglo pasado, Estados Unidos inició su desesperada carrera de medidas coercitivas unilaterales contra Irán. La data ha sido larga pero el enfoque de las sanciones se ha mantenido en el tiempo, la coerción golpea directo a la esfera financiera-económica-comercial y a los programas iraníes de desarrollo nuclear.

De hecho, Elliott Abrams, el representante especial estadounidense para Venezuela e Irán, en una sesión informativa, recordaba hace unos días que el magnate presidente estadounidense Donald Trump tiene previsto imponer el embargo de armas a Irán y otras restricciones.

Bastante se ha hablado de la aplicación y efectos de las “sanciones”, no obstante retomar la revisión de los impactos de ese gastado mecanismo en el sector petrolero iraní refuerza el argumento sobre la acometida a la industria, que incide, en primer lugar, en la caída de la producción de crudo.

Lo que dice Richard Nephew, creador de las sanciones contra Irán

Para los formadores de las políticas de presión y coerción estadounidenses, es habitual y aceptable aplicar medidas coercitivas unilaterales a un determinado país si no está en consonancia con la agenda de Estados Unidos. Esta es la tesis del excepcionalismo estadounidense.

En ella se inscribe Richard Nephew, experto y arquitecto de las “sanciones” contra Irán durante la Administración Obama. En su libro El arte de las sanciones explica los macabros objetivos y efectividad de las “sanciones”, empleando el término “dolor” en el que explica que éste subraya el propósito de las mismas.

Además, resalta que, sólo porque el daño causado por las sanciones es menos visible a los ojos de la comunidad internacional, no tienen por qué ser menos destructivas.

El periodista y analista estadounidense Max Blumenthal en Twitter desmonta otro cínico fragmento del mencionado libro, en el que Nephew revela que las sanciones contra Irán eran un éxito tremendo para la administración estadounidense, pues se despreció el Rial iraní provocando una hemorragia en las reservas de divisas. Además, hubo una contracción económica, y tanto el desempleo como la inflación aumentaron. Sin duda, son latigazos para la población iraní.

También, la Organización Sures señala que, en el libro, Nephew describe con franqueza que, al reducir la capacidad de exportación de un país, se logra alguna presión en la importación de alimentos y medicinas, puntualizando que las “sanciones” son dolorosas para los ciudadanos de a pie.

Del mismo modo que el canciller Jorge Arreaza añade otras definiciones en los objetivos de las medidas coercitivas unilaterales: para Nephew el dolor debe ser agobiante para que el objetivo “cambie su conducta”.

Estados Unidos ha aplicado “sanciones” en el sector petrolero iraní desde 2018 para quebrar la exportación y obstaculizar el acceso al sistema financiero internacional.

Esto lo confirma el secretario de Estado Mike Pompeo, que luego del asesinato de Qasem Soleimani a principios de este año, apuntó en un discurso que la estrategia de la administración de “máxima presión” tiene como objetivo cortar el 80% de los ingresos petroleros de Irán.

Asimismo, dijo que “el propio presidente Rouhani dijo que le hemos negado al régimen iraní unos 200 mil millones de dólares en ingresos extranjeros perdidos e inversión como resultado de nuestras actividades”.

Ya para abril de 2019 la Casa Blanca comunicaba que Trump estaba trabajando para reducir las exportaciones de petróleo de Irán a cero.

La producción de petróleo, golpeada

El impacto en la exportación de crudo, por supuesto, afecta directamente a la producción. Sin embargo, las “sanciones” sobre este sector contra la República Islámica se ha manejado de forma pendular, es decir, se imponen o se cancelan temporalmente.

En el gráfico 1 se observan los picos sin “sanciones” y las caídas contundentes al aplicarlas. En específico, en cuanto a la producción a inicios de 2018 se registraba alrededor de 3.8 millones de b/d; luego de la imposición de “sanciones” la producción cayó a un poco más del millón de b/d.

En consonancia, el gráfico 2 advierte la caída de la producción al momento de la salida de Estados Unidos del Plan de Acción Integral Conjunto (JCPOA, sus siglas en inglés).

Las exportaciones de petróleo crudo son una de las principales fuentes de ingresos del gobierno iraní, así como un motor importante que contribuye al desarrollo de la infraestructura y la economía del país.

A nivel comparativo, al igual que la industria petrolera iraní, Venezuela, siendo un país “sancionado” también, sufre los embates de las mismas, experimentando serias complicaciones en su industria petrolera.

Desde agosto de 2017 se imponen, por primera vez, medidas retaliatorias financieras contra Venezuela, trabando las formas de comercio con el país y mantenimiento del parque industrial.

Con esto se cierran las principales entradas de divisas al país y, así, hacer el intento de recrudecer el dolor del que tanto habla Nephew. En 2016, Venezuela registró una producción de 2,373 millones b/d en 2016, frente a los 2,072 millones b/d de 2017, representando una caída de casi 300 mil b/d.

Ahora, con la imposición de “sanciones” a diestra y siniestra, el objetivo simplemente se cumple al socavar la cotidianidad y futuro inmediato de las poblaciones que sufren estos embates. Aun tomando en cuenta que, como muestra uno de los estudios más completos sobre la materia hasta la fecha, se examinaron más de 100 casos y se concluyó que las medidas coercitivas unilaterales eran parcialmente exitosas en lograr el objetivo político de Estados Unidos sólo el 34% de las veces.

Las acciones de las administraciones estadounidenses no son más que verdaderos crímenes de lesa humanidad, de acuerdo a lo estipulado en el artículo 7 del Estatuto de Roma, que van enmarcados en sus rasgos estructurales de expansión e injerencia desde que esa nación se asumió “excepcional”.

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