Perù: l’America Latina progressista non vacilla

Mikhail Gamandij-Egorov, Observateur Continental

L’elezione di Pedro Castillo a capo dello Stato peruviano dimostra la popolarità ancora significativa delle idee progressiste e sovraniste nelle nazioni latinoamericane. Rafforzando nel contempo l’asse pro-multipolare, resta il fatto che le sfide persistono, anche per l’ostilità di molti elementi interni ed esteri. Secondo i risultati ufficiali, Pedro Castillo, candidato del partito socialista e antimperialista Peru Libre, vinse il secondo turno delle elezioni presidenziali col 50,12% dei voti.

Questo insegnante e sindacalista che molti analisti non videro come potenziale vincitore delle elezioni dovrà entrare in carica il 28 luglio. Tuttavia, deve affrontare l’opposizione della rivale perdente Keiko Fujimori, di obbedienza liberal-conservatrice, figlia dell’ex-presidente Alberto Fujimori, anch’essa accusata di corruzione. Così come certi ex-componenti dell’esercito, ostili alle idee progressiste del presidente eletto.

Va detto che durante la campagna presidenziale, Fujimori non cessò mai di esibire lo “spaventapasseri venezuelano” agli elettori peruviani, stabilendo che i problemi del Venezuela saranno quelli del Perù in caso di vittoria di Pedro Castillo. Una tattica che probabilmente non convinse più della metà degli elettori. Forse anche chi votò il candidato socialista, il Venezuela era lungi dal rappresentare un esempio negativo, tanto più che la candidata liberale non menzionava le ragioni principali dei problemi sorti nella repubblica bolivariana. Come ad esempio le sanzioni economiche USA, l’ingerenza di Washington negli affari interni di Caracas, senza dimenticare i numerosi tentativi di destabilizzazione e colpi di Stato.

Se internamente ci sono molti sostenitori del vincitore delle elezioni nel Perù cosiddetto “profondo”, così come tra la popolazione indigena, all’estero Pedro Castillo può senza dubbio contare sull’appoggio dei leader progressisti in America Latina: da Cuba, Bolivia, Venezuela, Argentina in particolare. Un fatto che ovviamente non può che dispiacere a Washington, che vede in questo ampliamento dell’alleanza progressista latinoamericana ostile alla politica statunitense. Se il programma di Pedro Castillo sembra promettente, in questo Paese ricco di risorse minerarie, i suoi sostenitori devono comunque stare in guardia contro i rischi di destabilizzazione, anche di colpo di Stato. Pertanto, il presidente peruviano ad interim, Francisco Sagasti, criticava fortemente la richiesta di alcuni soldati in pensione d’intervento dell’esercito per impedire a Pedro Castillo di assumere la carica presidenziale. Questo senza dimenticare il rifiuto di Keiko Fujimori di ammettere la sconfitta, sapendo che la sua partecipazione alle elezioni presidenziali era anche un tentativo per sfuggire al processo che deve affrontare. Tuttavia e finora, la mobilitazione popolare sembra rimanere, ancora una volta, la migliore risposta ai tentativi di ostacolare l’assunzione della presidenza di Castillo.

Se l’America Latina ha davvero una lunga tradizione di colpi di Stato, spesso attuati dalla CIA accanto ad elementi reazionari contro i leader progressisti, negli ultimi anni, al di là di doversi confrontare coll’opposizione dei sostenitori del multipolarismo a tali prassi, in particolare il duo sino-russo al Consiglio di sicurezza dell’ONU, la massiccia mobilitazione popolare, in questo caso anche della vera società civile, non quella in salsa Soros, dimostrerà la sua efficacia.

La Bolivia ne è un esempio perfetto. In questo senso, il risveglio della coscienza popolare, la sovranità nazionale, la solidarietà regionale e continentale, nonché l’ordine internazionale multipolare, rimangono per il momento ovvi enigmi per gli unipolaristi, nonché per i loro sostenitori , siano essi della CIA o della rete di Soros. Per il resto bisognerà seguire la situazione.

Le prossime settimane saranno decisive per la scelta democratica peruviana e la sua attuazione.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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