Un “italianito” che è morto a Girón

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cariniIl discorso di Fidel lo ascoltarono per radio, andando all’Unità: “Quello che gli imperialisti non ci possono perdonare è che siamo qui… quel che non ci possono perdonare gli imperialisti è la dignità, l’onestà, il valore, la fermezza ideologica, lo spirito di sacrificio e lo spirito rivoluzionario del popolo di Cuba… che abbiamo fatto una Rivoluzione socialista proprio sotto il naso degli Stati Uniti… che questa Rivoluzione socialista la difendiamo con questi fucili… e che questa Rivoluzione socialista la difendiamo con il valore con cui ieri i nostri artiglieri antiaerei hanno abbattuto gli aerei aggressori… e questa Rivoluzione non la difendiamo con mercenari, la difendiamo con uomini e donne del popolo!

Il Battaglione parte da Esperón per la Motorizada, attuale Unità Provinciale di Pattuglia. Carini, che dal 15 era di rinforzo nella caserma, in attesa dell’imminente invasione, corre a perdifiato verso la Motorizada. Giunge nel momento esatto in cui uno dei camion si dispone a partire.

Lui, nonostante il suo notevole dossier, non fa parte dell’elenco dei compagni selezionati per formare il battaglione di combattimento.

La maggioranza di questi ha l’esperienza accumulata nelle fila dell’Esercito Ribelle nella Sierra Maestra, o sono stati membri del Battaglione nelle azioni dell’Escambray.

Carini salta nel camion mentre i combattenti si accomodano per il lungo viaggio. Il capo del veicolo gli dice di scendere, ma il giovane soldato è irriverente, non accetta l’ordine, e dato che non c’è tempo per discutere, lo lasciano lì. Il suo nome completo era Rafael Ángel Carini Millán, ma tutti lo conoscevano come l’Italianito o Garibaldi.

Era nato il 14 dicembre del 1940 e aveva frequentato prima la scuola “San Agustín”, e poi la “Hermanos Maristas”, nella Víbora. Dopo due anni di studi superiori dovette abbandonare le aule per via delle attività clandestine che realizzava come membro del movimento “26 de julio”, contro la dittatura batistiana.

Il 20 settembre del 1957, alle ventuno circa, 18 poliziotti armati con mitragliatrici erano entrati in casa sua per arrestarlo e perquisire la casa Non incontrandolo, gli sbirri distrussero tutto quello riuscirono a rompere e minacciarono e insultarono i suoi genitori, Rolando e Liliam, che si mantennero fermi e sereni, nonostante il timore per il pericolo che stava correndo loro figlio. I poliziotti di Batista non incontrarono nulla di sospetto, nemmeno un revolver che Carini teneva nascosto in un armadio.

Prima d’andarsene, in un’azione da impotenti e vigliacchi, torturarono e uccisero il giovane Ramón Valdivia, per le scale che conducevano al domicilio di Carini. Dopo quei fatti, un gruppo di agenti del Burò di Repressione delle Attività Comuniste (BRAC), mantenne la casa di Carini sotto una costante vigilanza, che lo obbligò a restare nella clandestinità per diverso tempo.

Nelle prime ore del 1º gennaio del 1959, Carini faceva parte del gruppo dei combattenti che occupò la Prima Stazione di Polizia in Zulueta y Dragones, nell’Avana vecchia e che, con la armi conquistate, attaccò gli Uffici del Burò delle Investigazioni all’angolo tra le strade 23 e 30, del Vedado. Dopo il trionfo della Rivoluzione si vincolò al settore bancario, entrando nelle Milizie Operaie dalla loro fondazione. Fece parte anche della Croce Rosa cubana nella Brigata N.º 18 di Guanabacoa.

Dopo un certo tempo lavorò nel DTI, sino all’aprile del 1961. Chi lo vide partire per l’Unità di Pattuglia assicura che diceva in tono accalorato: “Vado a combattere come fanno i mie compagni!” La mattina del 19 aprile una pallottola calibro 50 ruppe la fibbia della sua cintura e gli distrusse lo stomaco. Al suo fianco Perucho cercò di soccorrerlo, ma la morte arrivò in fretta. “Non ti preoccupare… mi sento male, levami questa catena e portala a mia mamma e l’orologio a papà…”

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