Perù’: epicentro dell’instabilità politica latinoamericana

di Andrea Vento 

In meno di 5 anni si sono alternati ben 6 presidenti: l’ultimo, Pedro Castillo esponente di sinistra, è stato deposto il 7 dicembre 2022 scatenando una massiccia sollevazione dei popoli originari, brutalmente repressa dal governo illegittimo dell’ex vicepresidente Dina Boluarte. Un breve excursus delle travagliate vicende politiche peruviane dalla dittatura di Fujimori alle proteste contro la repressione in atto e a favore di imminenti elezioni presidenziali e una nuovo iter costituente.

Fra i principali “mali endemici” latinoamericani, l’instabilità politica ha raggiunto negli ultimi anni in Perù un livello che probabilmente ha pochi precedenti storici. Dopo il decennio dittatoriale di Alberto Fujimori che ha attraversato tutti gli anni ’90 del secolo scorso, con l’inizio del nuovo millennio e la fuga di quest’ultimo in Giappone per sottrarsi alla giustizia peruviana, la presidenza viene assunta ad interim dal Presidente del Congresso, Valentin Paniagua, dal novembre 2000 al luglio 2001, quando si insedia l’economista liberista Alejandro Toledo fuoriuscito vincitore dalle nuove elezioni che rimane in carica fino al termine del mandato nel 2006. Nello stesso anno viene eletto il candidato di centro-sinistra, Alan Garcia, già presidente prima dell’era Fujimori, dal 1985 al 1990, a cui succede nel 2011 Ollanta Humala, anch’egli di centro-sinistra ma ben presto protagonista di una decisa virata a destra che lo porta ad allontanarsi dalla sua base elettorale. Come dichiarato dall’accademico e politologo peruviano Wilfredo Ardito “Humala paga l’isolamento in cui si è venuto a trovare al termine del suo mandato. Eletto con l’obiettivo di portare un messaggio di sinistra e innovazione, durante la sua presidenza si è invece avvicinato ai grandi gruppi estrattivi, da molti è stato visto come un traditore”.

Dopo il decennio di dittatura fujimorista e il cambio di linea politica di Humala, a partire dal 2016, allor che viene eletto l’economista anch’egli liberista Pedro Pablo Kuczynsky, il Paese si appresta al picco del destabilizzante tourbillon presidenziale. Dopo aver concesso la grazia a fine 2017 a Fujimori, finito in carcere dal 2007 per corruzione, nel marzo dell’anno successivo, Kuczynsky, dopo esser stato incriminato per voto di scambio proprio per la liberazione dell’ex dittatore, si dimette e gli subentra il suo vicepresidente Martin Vizcarra. Quest’ultimo, dopo un lungo braccio di ferro istituzionale con il parlamento controllato dall’opposizione, previa apertura del procedimento di empeachment l’11 settembre 2020, viene sfiduciato dal Parlamento il 9 novembre successivo “per incapacità morale”, a causa di un presunto coinvolgimento in uno caso di corruzione risalente al 2014. La rimozione di Vizcarra, accusato senza prove e in assenza di una inchiesta ufficiale, è stata giudicata, da diversi analisti e da molti peruviani, un golpe istituzionale compiuto da un parlamento delegittimato contro un politico che aveva nel suo programma di governo, pur essendo egli stesso parte dell’oligarchia nazionale, la moralizzazione delle istituzioni e la lotta alla corruzione.

A Viczarra, secondo le disposizioni della costituzione peruviana, il 10 novembre 2020 subentra, il Presidente del Congresso, Manuel Merino del partito di centro-destra Azione Popolare, che da vita ad un governo di estrema destra, con il sostegno degli ammiragli della Marina Militare peruviana. Nel Paese intanto dilagano le proteste popolari dalla destituzione di Viczarra le quali, represse brutalmente dal nuovo governo, il 15 novembre causano la morte di 3 manifestanti, oltre a centinaia di feriti. La condanna della condotta particolarmente violenta della polizia da parte del Corte costituzionale peruviana, provoca l’abbandono di 13 dei 18 ministri e la richiesta di dimissioni dell’appena insediato Merino che lo stesso pomeriggio lascia la presidenza dopo soli 5 giorni. A questo punto, il 17 novembre 2020, il nuovo presidente del Congresso, il centrista Francisco Sagasti, sostituisce Merino alla guida del Paese, divenendo il terzo capo di Stato nel breve arco di una settimana e stabilendo una sorta di record mondiale dell’instabilità politica. Sagasti riesce tuttavia nell’impresa di portare a termine il mandato fino al luglio successivo, quando si insedia alla presidenza, il maestro di strada, espressione de “los de abajo”, non che esponente di Perù Libero, Pedro Castillo dopo aver inaspettatamente sconfitto la figlia di Fujimori, Keiko, candidata dell’estrema destra, con un lievissimo distacco di soli 44.000 voti al ballottaggio del 6 giugno 2021, per 50,13% contro 49,87%. Castillo, insegnante prestato alla politica, quindi privo di esperienza, viene eletto con il voto compatto dei popoli amerindi della zona dell’altopiano, mentre la costa a maggioranza bianca e motore dello sviluppo capitalistico del Paese vota in prevalenza per Keiko Fujimori. I poteri forti, l’oligarchia nazionale e le forze reazionarie, sin dai primi giorni dopo il suo insediamento, iniziano a tramare per bloccare l’azione riformatrice di governo di Castillo e per causarne la caduta o la destituzione. In particolare, cercano di determinare una empasse politica del nuovo presidente facendo leva sulla mancanza di una maggioranza parlamentare di supporto al governo, essendo l’organo legislativo controllato dall’opposizione.

Uno dei principali elementi di criticità del sistema istituzionale presidenziale, praticamente adottato in quasi tutti gli stati latinoamericani, risulta proprio quello dei presidenti eletti al secondo turno, possibilità abbastanza frequente, privi di maggioranze parlamentari, i quali, nel migliore dei casi, si trovano costretti a continue mediazioni con l’opposizione, rendendo ardua l’attuazione dei propri programmi di governo e, nel peggiore, ad essere destituiti da Golpe istituzionali, tramite voto parlamentare.

Pedro Castillo dopo aver trascorso un periodo estremamente difficile alla guida del Paese andino, durante il quale gli è stata resa impossibile l’attuazione dell’azione di governo e dopo aver commesso anche errori di inesperienza, viene messo in stato di accusa e deposto il 7 dicembre 2022, tramite voto parlamentare con 101 favorevoli e 6 contrari su 130 voti, per aver tentato, il giorno precedente, di sciogliere il parlamento, in vista dell’ennesimo voto di destituzione archi5tettato dalle opposizioni, e di instaurare un “governo di emergenza nazionale”. La vicepresidente Dina Boularte subentra alla presidenza dando vita ad un governa di destra benché in origine esponente del partito di sinistra Perù Libero, mentre nel Paese esplodono le proteste popolari, soprattutto da parte delle comunità indigene dell’altopiano, che vengono violentemente represse dalla polizia con oltre 60 morti e centinaia di feriti. Le imponenti manifestazioni dei popoli indigeni, approvate dall’89% della popolazione, hanno in cima alla piattaforma di rivendicazione le dimissioni di Dina Boularte, il cui governo è considerato illegittimo anche da Messico, Argentina, Bolivia, Cile e Colombia, l’indizione di elezioni per il prossimo ottobre e una assemblea costituente per la stesura di un nuovo testo costituzionale che archivi quello, ereditato dalla dittatura di Alberto Fujimori. La costituzione entrata in vigore nel 1993 durante la dittatura, oltre ad una chiara matrice neoliberista che ha favorito importanti privatizzazioni, non contempla i diritti dei popoli amerindi, al contrario di quella dello Stato Plurinazionale della Bolivia e dell’Ecuador gli altri due Paesi sudamericani ad elevata percentuale di popolazione indigena, oltre a costituire fonte di instabilità politica permanente che, dal marzo 2018 al 7 dicembre 2022, ha portato addirittura all’avvicendamento di ben 6 presidenti.

L’approvazione di una nuova costituzione che superi l’impianto neoliberista, riconosca i diritti della natura e dei popoli amerindi costituisce il primo passo verso una nuova stagione politica, che affronti l’annosa questione delle gravi disuguaglianze interne, non solo sociali fra l’oligarchia e i ceti subalterni, ma anche territoriale, fra la costa dove si trova Lima e l’altopiano e la parte amazzonica, non che etnica, fra bianchi, in prevalenza benestanti e ricchi, e i popoli amerindi, poveri ed emarginati anche politicamente.

I peruviani in lotta sono consapevoli della necessità di invertire le politiche economiche neoliberiste che, a partire dall’era Fujimori, hanno aperto la porta alla privatizzazione dei servizi pubblici, il taglio della spesa sociale, sanitaria e per la pubblica istruzione oltre al rilascio di numerose concessioni di sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche a vantaggio di multinazionali straniere che hanno comportato la devastazione delle terre andine e amazzoniche abitate dalle comunità indigene.

Un modello economico che porta esclusivo beneficio alle oligarchie e ai ceti abbienti nazionali, non che al capitale transnazionale, contro il quale i popoli amerindi stanno lottando da decenni e in questa fase con maggior convinzione, decisi a chiudere definitivamente la lunga stagione post coloniale, neoliberista e repressiva che li ha relegati al ruolo strutturale di vittime sacrificali del profitto e della rendita estrattivista.

Perù: uno sguardo all’economia

 (Fonte: Osservatorio economico della Farnesina: InfoMercatiEsteri)

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI

1) Per il 2023 i dati sono delle previsioni

Fonte elaborazioni Osservatorio economico Maeci su dati Economist Intelligence Unit e Fondo Monetario Internazionale. Ultimo aggiornamento: 07/03/2023

I PRINCIPALI SETTORI DELL’ECONOMIA PERUVIANA

Settore Minerario

Il Perù è un paese tradizionalmente minerario: è il secondo produttore mondiale di rame (3° per riserve), argento (1° per riserve) e zinco (3° per riserve); il terzo di piombo; il quarto di stagno e molibdeno; il sesto di oro. Dispone, inoltre, di considerevoli giacimenti di minerali di ferro, fosfati, manganese e litio.

Il rame rappresenta il 30% del totale esportato dal paese e circa la metà delle esportazioni minerarie. A sua volta, l’export minerario, nel suo complesso, rappresenta i 2/3 dell’export paese. I principali acquirenti del rame sono Cina (63%), Brasile (10%) e Giappone (9%), mentre l’oro è destinato soprattutto a India (30%), Svizzera (29%) e Stati Uniti (25%). A partire dalla fine del 2018, il comparto estrattivo peruviano – e, particolarmente, il settore cuprifero – sia stato destinatario di forti investimenti nazionali ed esteri grazie alla combinazione di livelli di prezzo del minerale bassi ma redditizi e costi di finanziamento e di esercizio contenuti.

Settore Agricolo – Agroindustriale

Il settore agro-alimentare, che registra i maggiori guadagni relativi di produttività in coincidenza con il passaggio dall’agricoltura tradizionale all’agroindustria, è previsto confermarsi come uno dei settori a più alto potenziale dell’economia peruviana. Il Perù si sta affermando come uno dei maggiori produttori mondiali di frutta e ortaggi grazie alla sua particolare morfologia: è tra primi i 10 paesi al mondo per biodiversità e vi si possono trovare 84 delle 104 zone di vita e 27 dei 32 climi identificati sul pianeta. Il paese è tra i primissimi produttori ortofrutticoli mondiali di asparagi, carciofi, banano biologico, peperoncino, avocado, uva da tavola, mirtilli, melograno, mango, cacao, caffè, cipolla, agrumi.

Settore Tessile – Abbigliamento

Il Perù è un paese tradizionalmente produttore e trasformatore di fibre pregiate tra le migliori al mondo (cotone, alpaca, vigogna). L’80% della produzione mondiale di fibra d’alpaca è concentrata nel Perù. È l’ottavo produttore di camicie in cotone nel ranking mondiale. Anche i t-shirt di cotone hanno un’elevata domanda da nicchie di alto potere di acquisto dagli Stati Uniti e Sudamerica.

Settore Ittico

Il Perù é il principali produttore di farina di pesce a livello mondiale, Nel 2019 ha prodotto 890 migliaia di tonnellate.

RELAZIONI INTERNAZIONALI

I Trattati di Libero Scambio costituiscono da tempo una importante componente della politica estera commerciale perseguita con costanza da oltre mezzo secolo dal Perù.

Da una iniziale forma bilaterale si è passati, con la lenta progressiva crescita di una maggiore percezione della conveniente integrazione economica dei diversi paesi del continente ad una sottoscrizione comune con equivalenti unioni o associazioni multinazionali mantenendo tuttavia alcune importanti eccezioni: Cina, USA e Canada, – nell’ordine i 3 principali partner commerciali del Perù nel 2019- hanno accordi in vigore dal 2010  la prima e dal 2009 gli altri due.

Con l’entrata in vigore del trattato con l’Unione Europea (marzo 2013) la quasi la totalità delle esportazioni non agricole peruviane e il 57% di quelle agricole ha accesso al mercato comune in esenzione doganale ed al contempo sono venute a cadere una serie di barriere tariffarie all’importazione di prodotti tessili ed alimentari europei di eccellenza in questo Paese. Sono altresì previste facilitazioni all’accesso sul mercato peruviano per i grandi investitori nei settori delle commodities ed in quello minerario.

Fonte: https://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=52

PERU’: UNA NUOVA GUIDA AGLI INVESTIMENTI

La nuova Guida, realizzata dal Ministerio de Relaciones Exteriores del Governo peruviano in collaborazione con Ernst & Young-EY Perù e Proinversión, agenzia di promozione degli investimenti, fornisce informazioni sulle proiezioni dell’economia peruviana. Di seguito alcuni bervi stralci.

Informazioni generali

L’economia del Perù è caratterizzata da solide fondamenta macroeconomiche, risultato dell’attuazione di una politica anticiclica e di un ambiente esterno favorevole. Dopo una caduta del PIL stimata all’11.5% per il 2020, è prevista una solida e rapida ripresa. Secondo le stime del Ministerio de Economía y Finanzas, l’economia peruviana crescerà ad una media annua del 4,1% tra il 2022 e il 2026.

Per quanto riguarda i principali indicatori macroeconomici, l’inflazione si attesta tra i valori più bassi dei paesi dell’America Latina mentre il debito pubblico si prevede arriverà al 35.1% del PIL; livello notevolmente inferiore rispetto a quello delle economie emergenti (63.1% del PIL) e della regione sudamericana (81.5% del PIL).Nonostante il clima di incertezza generato dalla pandemia, il Perù è riuscito a mantenere un rating stabile.

La strategia di sviluppo peruviana si basa principalmente su un’economia aperta e competitiva. Attualmente il Perù vanta ben 32 trattati bilaterali con Argentina, Australia, Bolivia, Canada, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Repubblica Ceca, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Malesia, Paesi Bassi, Norvegia, Paraguay, Portogallo, Romania, Singapore, Repubblica di Corea, Spagna, Svezia, Svizzera, Thailandia, Unione economica Belgio-Lussemburgo, Regno Unito e Venezuela.

Idrocarburi

Il settore degli idrocarburi è una delle aree che concentra il maggior numero di iniziative di investimento privato. Nel 2019, gli investimenti in esplorazione e sfruttamento di petrolio e gas naturale sono stati di 620 milioni di dollari (4% in più rispetto al 2018). Nel 2019 il settore è cresciuto complessivamente del 4,6%.

Rischi politici

Proteste contro l’industria estrattiva, fattore di forte destabilizzazione a livello politico e di fiducia dell’investitore

L’opposizione da parte di comunità locali a grandi investimenti minerari ed estrattivi trova le sue motivazioni nei timori per la coesione sociale e per il mantenimento delle risorse idriche e naturali. Tali proteste, in alcuni casi violente, hanno portato (caso Conga, Tía Maria fino al “lote 192”) alla paralisi dei progetti.

Fonte: https://www.assolombarda.it/servizi/internazionalizzazione/informazioni/peru-nuova-guida-alle-imprese-e-agli-investimenti-2021

Andrea Vento – 20 marzo 2023

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

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