16 aprile 1961: inizia l’invasione mercenaria della Baia dei Porci

Il 16 aprile 1961, otto bombardieri B-26, partiti dal Nicaragua con insegne cubane contraffatte, si diressero verso Cuba e bombardarono gli aeroporti dell’Avana, di Santiago e di San Antonio de los Baños, lasciando sul terreno numerose vittime e distruggendo una parte delle modeste forze aree dell’isola.

Quel giorno di aprile di sessantuno anni fa, era lunedì. Di mattina molto presto, un gruppo di circa 1500 mercenari approdò sulle spiagge della Baia dei Porci, a Cuba, una profonda insenatura della provincia di Matanzas duecento chilometri a sudest dell’Avana.

Gli uomini erano in gran parte esuli cubani, istruiti dalla CIA. Si trovavano lì per un’operazione militare diretta segretamente dal governo degli Stati Uniti per rovesciare la giovane Rivoluzione cubana, guidata da Fidel Castro, che all’epoca era al potere da poco più di due anni. Nel giro di tre giorni, però, la truppa di esuli fu messa in rotta e i soldati si rifugiarono in mare o nelle paludi, dove vennero catturati dall’esercito di Castro.

Per gli Stati Uniti il fallimento dell’operazione fu un duro colpo non solo dal punto di vista militare, ma anche per l’immagine del paese: in un momento in cui gli americani venivano da una lunga serie di vittorie (avevano contribuito in modo sostanziale alla risoluzione di due guerre mondiali) e si sentivano particolarmente fiduciosi del loro potenziale militare, subirono una sconfitta da un paese più piccolo della Pennsylvania. Un generale americano la definì addirittura la peggior sconfitta dai tempi della Guerra del 1812 contro il Regno Unito.


Girón visto attraverso gli occhi di una bambina

 

I desideri dei bambini nascono dal cuore. Portano passione e intensità, così come la certezza che si realizzeranno.

Il 17 aprile 1961 ho compiuto 12 anni, nei giorni dell’invasione mercenaria di Playa Giron. Come parte di una famiglia che amava la Rivoluzione, ero pronta ad aiutare in ogni modo necessario.

E così fu: ogni sera un gruppo di casalinghe, tra cui io e mia madre, si riuniva in un garage vicino alla casa che improvvisammo come postazione medica, e lì imparavamo il primo soccorso da dare ai miliziani feriti, se necessario. Abbiamo anche ricevuto lezioni su come trattare le ferite, immobilizzare le braccia e le gambe, così come la formazione in altre abilità utili.

Il dono di una vita tranquilla e felice con la possibilità di frequentare la scuola annessa all’Università “Felipe Poey”, così come il lavoro stabile di mio padre, furono improvvisamente minacciati dall’aggressione mercenaria, che tra gli altri obiettivi era quello di spogliare il popolo dei benefici conquistati dai ribelli fin dalla Sierra Maestra nel 1959.

Nonostante il pericolo imminente, non c’era paura, ma determinazione e coraggio. Anche la mia famiglia è stata contagiata dal contagio di andare a combattere quando è arrivato il momento e non se ne è parlato più. Quindi, a casa, non si pensava ai festeggiamenti, tutt’altro, ma alla situazione di contingenza nel paese minacciato dagli USA.

Dopo aver appreso che l’aggressione era iniziata il 17, i pensieri e le anime si sono uniti affinché ogni cubano, dalla propria posizione, difendesse la patria.

Il 18 aveva un significato speciale perché mio padre, mobilitato come miliziano, e mia sorella erano in licenza a casa. Insieme a mia madre, parlavamo degli ultimi eventi, mentre maledicevamo gli invasori controrivoluzionari con la certezza che li avremmo sconfitti in breve tempo.

Quel giorno, in un colloquio con mio padre, gli dissi, testualmente, parole che venivano dal profondo del mio cuore: “Come vorrei che domani, 19 aprile, ricevessimo la notizia che abbiamo sconfitto i mercenari!

E così fu; la prima sconfitta militare dell’imperialismo yankee in America ebbe luogo quel giorno, realizzando così la previsione di una dodicenne cubana: in meno di 72 ore, l’evento bellico che riempiva di vergogna gli USA e di gloria i cubani fu sconfitto.

Fonte: www.radiorebelde.cu

Traduzione: @associazione nazionale di amicizia italia-cuba

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