Possibile tabella di marcia per ossigenare le finanze del Venezuela

William Serafino

Il repentino rialzo del cambio degli ultimi due mesi ha riportato la questione economica al centro della situazione politica e sociale del Paese. L’inerzia inflazionistica associata alla restrizione esterna delle risorse dello Stato venezuelano ritorna con forza nel panorama, annullando il ciclo di stabilità dei cambi raggiunto nella seconda metà del 2022 e complicando, d’ora in poi, il margine di manovra finanziaria necessario a contenere il ritmo attuale di aumento dei prezzi al consumo.

In mezzo alla tensione che il rifiuto di eseguire lo sblocco di 3 miliardi di dollari ha provocato all’interno del Tavolo di Dialogo Nazionale, come concordato nel novembre dello scorso anno, è possibile proporre percorsi alternativi di ossigeno finanziario, uno a breve e altro a medio termine, al fine di sostenere la fattibilità della strategia di ripresa economica attuata dal presidente Nicolás Maduro nel corso del 2023, che si è dimostrata essere efficace nel conseguire di far uscire l’economia dal suo stato recessivo, nonostante gli ostacoli che continua ad imporre il blocco USA.

IL BID NELLE MANI DEL BRASILE ED IL RITORNO ALLA NORMALITÀ

 

Nonostante il fatto che la finzione politico-giuridica dell'”interim” di Juan Guaidó sia già un progetto sepolto, alcune delle sue ramificazioni continuano a esercitare un peso materiale sulla prestazione economica del paese. La confisca illegale di beni, fondi e beni patrimoniali (oro, Citgo, ecc.), che continua ad essere utilizzata come arma di ricatto e pressione contro il Paese, è la principale manifestazione di quanto continui a costare al Paese la catastrofe del “progetto Guaidó”.

In questo senso, l’usurpazione della legittima rappresentanza dello Stato venezuelano davanti alla Banca Interamericana di Sviluppo (BID) per mano dell’estinto “progetto Guaidó” continua ad essere una questione pendente.

La realtà internazionale della regione è diversa da quella degli anni precedenti. La vittoria di Lula in Brasile, e di conseguenza il ritorno di quel Paese alle dinamiche geopolitiche continentali, è il segno distintivo di questo cambio di scenario. Il Brasile amministrato da Lula ha già cominciato a stabilire la sua influenza negli spazi di potere della regione. Espressione di ciò è stata l’elezione del brasiliano Ilan Goldfajn alla presidenza del BID, dopo che il falco Mauricio Claver-Carone è stato espulso per aver violato le regole di comportamento del suo incarico. Con Goldfajn a capo dell’organizzazione, sarebbe logico riprendere la normalità della legittima rappresentanza del Venezuela, per concretizzare, in pratica, le denunce di Lula contro il blocco economico imposto al Venezuela.

In dichiarazioni recentemente rilasciate a El País di Spagna, il brasiliano ha chiarito che cerca di provocare una svolta istituzionale rispetto all’approccio politicizzato di Claver-Carone, e proprio lì il Venezuela potrebbe recuperare il suo spazio: “Tutti avvertono che questa amministrazione e la BID devono essere il dialogo, di costruzione di ponti, di coalizioni, di democrazia, nel senso di apertura alle diverse opinioni”. La sua parola diventi realtà.

Il ritorno del Venezuela nel BID, oltre ad aiutare a normalizzare la presenza del governo venezuelano in organismi ed enti multilaterali dopo anni di isolamento e disconoscimento fabbricato, rappresenta anche un’opportunità finanziaria nell’attuale contesto di restrizioni esterne.

All’interno dell’amplissimo portafoglio di crediti dell’istituzione, il Venezuela potrebbe optare, tra altre possibilità, per prestiti speciali di finanziamento allo sviluppo (SDL), il cui orientamento è focalizzato ad affrontare situazioni di crisi economica attraverso iniezioni di capitale destinate a finanziare programmi di riduzione della povertà e preservare la spesa per le infrastrutture.

Seppure diverso per alcuni aspetti in termini tecnici, un esempio di questo tipo di prestito è quello erogato dal BID all’Argentina, alla fine dello scorso anno, finalizzato a rafforzare le finanze pubbliche del Paese e ad aumentare le riserve per fronteggiare la siccità di dollari della Banca Centrale. Le condizioni di un prestito di queste caratteristiche sono flessibili e adattate a ciascun caso. Nel caso del prestito erogato all’Argentina, il periodo di ammortamento è stato definito in sette anni, comprensivo di tre anni di grazia per la restituzione ad un tasso di interesse gestibile.

Il Venezuela potrebbe concordare, in un approccio di flessibilità adattato al suo quadro macroeconomico, l’accesso a una linea di finanziamento di queste caratteristiche per ottenere risorse complementari che sarebbero volte a consolidare i programmi già esistenti di promozione del benessere economico della popolazione e rafforzare il piani di miglioramento e riqualificazione dei servizi pubblici. L’effetto moltiplicatore anticiclico di questo meccanismo si esprimerebbe in una sostanziale riduzione dello stress esistente sulle riserve valutarie disponibili, il cui volume dipende in buona misura dagli interventi di stabilizzazione del cambio.

L’agire come blocco geopolitico regionale e l’influenza stessa di Lula saranno decisivi per rendere percorribile questa possibile via di ossigenazione economica, comprendendo l’ostacolo che implica il potere di arbitraggio che gli USA hanno sull’istituzione, vista la sua quota di capitale azionario e lil dominio che esercitano sull’apporto di capitale, che gli conferisce un’influenza determinante.

Tuttavia, uno sforzo geopolitico coeso tra Brasile e Venezuela, con la CELAC come piattaforma di influenza, potrebbe fare la differenza.

APPROFITTARE (ANCOR PIÙ) DELLE CONVERGENZE CON LA CAF

 

La normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Venezuela e Colombia, con il suo rispettivo impatto positivo su un commercio binazionale da anni ai minimi storici, ha significato un canale di ossigenazione economica che giunge a rafforzare le prospettive di sostenibilità della ripresa del Venezuela nel medio termine.

La riapertura degli scambi tra i due Paesi ha lasciato un saldo positivo alla fine dello scorso anno, con una crescita del 96% rispetto all’anno precedente, per un totale di 456 milioni di $ di beni e servizi scambiati.

La cifra, sebbene ancora lontana dal raggiungere i picchi degli anni precedenti, rientra nelle attese delle camere di commercio di entrambi i Paesi, che prevedono che il trend rialzista continui quest’anno e il successivo.

Per il Venezuela, la normalizzazione degli scambi ha significato il ritorno al suo mercato naturale, la riattivazione della depressa economia di frontiera depressa e un’opportunità per rilanciare il paniere di esportazioni verso la Colombia.

Un recente rapporto della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) afferma che il Venezuela, nel corso del 2022, ha guidato la crescita delle esportazioni nella regione con un aumento del 63%, seguito da Colombia ed Ecuador.

All’inizio di febbraio di quest’anno, in una notizia che è passata un po’ inosservata, Venezuela e Colombia hanno compiuto un nuovo passo per rafforzare il commercio binazionale e il loro orizzonte di integrazione e crescita sostenute.

Il presidente Maduro ha guidato la firma di un accordo con il ministro colombiano del Commercio, Industria e Turismo, Germán Umaña Mendoza, volto a promuovere investimenti congiunti tra i due paesi.

Il trattato di investimento, incentrato sulla diversificazione economica, lo sviluppo sostenibile e la creazione di catene del valore, secondo il documento ufficiale, rappresenta la matrice di un quadro normativo da cui i settori imprenditoriali di entrambi i paesi potranno effettuare investimenti in molteplici attività e segmenti di beni e servizi.

L’impegno per agevolare gli investimenti e sostenere il commercio transfrontaliero è in linea con l’orientamento strategico del Presidente Maduro di superare la fase di economia dipendente dal petrolio, attraverso il consolidamento di modalità alternative di attrazione della valuta estera, attraverso esportazioni o investimenti, che inoltre rafforzino il lato dell’offerta del mercato cambiario come meccanismo di equilibrio e mitigazione dell’inflazione.

Nell’agosto dello scorso anno, il presidente della CAF (Corporación Andina de Fomento), il colombiano Sergio Díaz-Granados, in un incontro tra imprenditori di entrambi i lati del confine tenutosi a Cúcuta, ha offerto il sostegno dell’istituzione per rafforzare il commercio, contribuendo “nei processi di attuazione di azioni coordinate che promuovano la crescita economica di questo confine e dell’intera regione”.

In questo momento, si potrebbe dire che la CAF stia vivendo un periodo d’oro, sia in termini finanziari che istituzionali.

Lo scorso gennaio ha effettuato la più grande emissione obbligazionaria della sua storia, nell’ordine di 1,5 miliardi di $. Inoltre, l’ente ha saputo interpretare l’attuale momento nella regione, posizionandosi sulla cresta dell’onda di un rinnovato slancio per l’integrazione regionale, con un’intensa agenda di partecipazione a incontri di alto livello e organismi multilaterali in America Latina e i Caraibi.

Vista la convergenza che esiste tra un CAF ripotenziata a livello della sua muscolatura finanziaria e i progressi compiuti in termini di commercio binazionale tra Maduro e Petro, il Venezuela potrebbe esplorare la possibilità di un fondo di finanziamento che consenta aumentare le esportazioni e la raccolta di investimenti da parte del Venezuela, al fine di stimolare l’ingresso di valuta estera verso la nazione venezuelana e offrire un modo per sostenere le piccole e medie imprese di qualità esportatrici.

Il quadro per la realizzazione di questa possibile iniziativa potrebbe avere come veicolo la banca pubblica nazionale, in considerazione del ruolo attivo all’interno del portafoglio creditizio generale orientato ai settori produttivi dell’economia nazionale.

Un esempio recente è la linea di credito concessa dalla CAF al Banco Pichincha dell’Ecuador per 45 milioni di $, finalizzata a finanziare le piccole e medie imprese ecuadoriane, nell’agosto dello scorso anno.

L’ARCHITETTURA FINANZIARIA DEI BRICS

 

È stato recentemente annunciato che l’ex presidentessa brasiliano Dilma Rousseff presiederà la Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS fino al 2025. L’annuncio è avvenuto alla vigilia della visita del presidente Lula nella Repubblica Popolare cinese, riaffermando l’impegno del presidente a elevare il profilo geopolitico del Brasile non solo in America Latina ma anche nelle piattaforme delle economie e potenze emergenti in cui il Paese è stato integrato fin dall’inizio.

La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS (NDB) è un’organizzazione che si è pianificato convertirsi, sin dalla sua nascita dieci anni fa, in un’architettura finanziaria alternativa al FMI e alla BM. Ciò che è rilevante di questa banca è che non è circoscritta solo ai paesi membri della piattaforma delle economie emergenti. Fanno parte dell’entità paesi come il Bangladesh, l’Uruguay o gli Emirati Arabi Uniti e, più recentemente, l’Egitto.

La banca ha deliberato finanziamenti dell’ordine di 29 miliardi di $ nel periodo 2017-2021, e ha stabilito un aumento del proprio portafoglio a 30 miliardi di $, dal 2022 al 2026, in linea con l’obiettivo di diventare una realtà competitiva rispetto alle grandi equivalenti nell’asse atlantico.

Gli affidamenti e le linee di finanziamento della banca si esprimono in molteplici modalità, la maggior parte delle quali orientate allo sviluppo delle infrastrutture. I suoi tassi di interesse sono flessibili e includono diverse forme di impegni e meccanismi di restituzione.

In un recente incontro ad alto livello incentrato sulle prestazioni dell’istituto, sono stati delineati gli obiettivi strategici del NDB per il 2023, anno segnato da una situazione di inflazione globale, restrizione del commercio mondiale e deterioramento delle filiere di rifornimento.. È stato identificato che il compito principale della banca è il finanziamento dei sistemi di ripresa economica, il sostegno ai paesi vulnerabili e la governabilità finanziaria globale.

In questo contesto, il Sudafrica, che attualmente presiede i BRICS, ha insistito sulla necessità che la NDB avanzi nella costruzione di meccanismi di pagamento la cui attuazione eviti la dipendenza che conserva ancora il dollaro sulle transazioni finanziarie e commerciali globali a beneficio delle valute locali dei paesi membri e delle loro importanti risorse materiali e umane per lo sviluppo.

Da un lato, il dinamismo con cui la NDB prevede di operare quest’anno, che include logicamente il potente stimolo finanziario per i prossimi quattro anni, e dall’altro, la presidenza della banca che il Brasile ricoprirà con Dilma Rousseff, una scelta che dà un quadro rinnovato alla cooperazione dal Sud del mondo dovuto anche al ruolo del Sudafrica alla guida dei BRICS, rappresenta, per il Venezuela, una possibile opzione di novità al momento di cercare nuovi meccanismi di integrazione economica e finanziaria.

Nel quadro di questa sinergia, si potrebbe pensare che il Venezuela  elabori la sua adesione alla banca. Per questo si conterebbe sull’approvazione del parlamento venezuelano e sul buon clima dei rapporti con il Brasile che ha lasciato il VII Vertice CELAC a Buenos Aires.

Da lì, il Paese potrebbe prendere in considerazione una nuova linea geopolitica di scambio e cooperazione finanziaria, volta al finanziamento di progetti di miglioramento delle infrastrutture, crescita degli investimenti per i settori economici produttivi, e opzioni di stimolo e credito per rafforzare lo schema della ripresa economica.

Tutto sta nel saper cogliere l’attimo e leggere le opportunità del riassetto geopolitico e geoeconomico che la situazione attuale prospetta.

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