Il giuramento di Maduro tra il caos delle relazioni internazionali

Franco VielmaMision Verdadhttp://aurorasito.altervista.org

Il Presidente Nicolás Maduro Moros presterà giuramento il 10 gennaio dopo la rielezione lo scorso maggio, davanti la Corte suprema di giustizia. Questo significativo atto politico, nonostante le controversie, per il Venezuela è un contrappeso delle istituzioni venezuelane alle agende del caos promosse contro il Paese nei fronti interno ed estero.

Il caso venezuelano è, a causa del contesto mondiale convulso, l’antitesi alla vertiginosa distruzione dei sistemi di governance globale che spingono le nazioni verso una spirale pericolosa. Per cominciare, lo scontro intestino delle élite politiche degli Stati Uniti, proprio ora che il governo di quel Paese presenta la chiusura a causa degli scontri tra esecutivo e legislativo, la possibilità d’impeachment di Trump e politica estera degli Stati Uniti irregolare e sfrenata affronta l’Europa, che li ha anche messi in guerra commerciale contro la Cina e in relazioni sempre più ostili su altri fronti. La tensione tra i Paesi dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e Russia sulla Crimea e altri territori dell’Europa orientale è un altro fattore da valutare. Allo stesso tempo, le tensioni in Asia, proprio ora che la Cina ha chiamato l’esercito a “prepararsi alla guerra” per l’integrità del territorio cinese e di Taiwan e la disputa per via commerciale asiatica de Mar Cinese Meridionale. La Francia brucia. L’Europa, che appare indebolita e dal consenso frammentato, si occupa degli effetti ingestibili della scia migratoria, una conseguenza per l’Europa che subordinò la politica estera alle avventure nordamericane in Medio Oriente. La Siria vince la guerra coi mercenari salafiti col sostegno di Russia ed Iran, nonostante il ritiro degli Stati Uniti persista indeterminata nella trama del conflitto sub-regionale attraversata dalla guerra dell’Arabia Saudita contro lo Yemen che causa una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. Ritornando in America Latina, la frammentazione politica incombe sulla questione del Venezuela. Gli spasmi integrazionisti che segnarono un momento politico nella regione, sono diluiti dalla regressione del ciclo progressista regionale e dalla controffensiva delle forze di destra, come illustra il caso brasiliano. Gli Stati Uniti potevano intraprendere un riordino della propria area d’influenza tradizionale ponendo sotto la propria ombra i Paesi del gruppo di Lima, un’entità non istituzionale e non vincolante che si erge ancora come forum presunto legittimo del sintonizzazione politica del continente. Essere contrari o favorevoli all’interferenza in Venezuela è l’agenda che intona le relazioni internazionali da questa parte del mondo, portando a situazioni di imprevedibilità senza precedenti, dove minacce militari ed attacchi politici degli Stati Uniti collocano Colombia e Brasile a vettori e dispositivi operativi e funzionali a tali scopi. Inutile dire che gli Stati Uniti appaiono su tutti questi fronti del conflitto globale.

Le carte da giocare in Venezuela

Recentemente l’ambasciatore russo in Venezuela Vladimir Zaemskij osservava le intenzioni degli Stati Uniti d’intervenire militarmente in Venezuela. Tuttavia, dalle posizioni pubbliche dei vari governi nella regione, è noto che nonostante le ostilità politiche dei presidenti latinoamericani del gruppo di Lima col Venezuela, la maggioranza dei suoi membri rifiuto nettamente l’opzione militare contro la nazione petrolifera. In effetti, l’approccio operativo dell’”accerchiamento del Venezuela” dal 10 gennaio non ha pieno consenso. Il governo di Mauricio Macri ha recentemente pubblicato una serie di sanzioni unilaterali e illegali contro le autorità venezuelane, ma chiariva che avrebbero mantenuto l’ambasciata a Caracas, secondo cui “mantenere i contatti coi capi dell’opposizione venezuelana”, ma alla fine, la cessazione delle relazioni veniva scartata. Messico e Uruguay chiarivano al gruppo di Lima che riconosceranno il mandato di Maduro. L’ascesa del Presidente Maduro al secondo mandato, per legittimo voto, è precisamente un fatto politico diametralmente opposto all’agenda del rovesciamento, colpo di Stato ed intervento della vita politica venezuelana, perché con tali orribili espedienti vi è il principio sistematico della politica statunitense di soggiogare gli Stati-nazione. Il Venezuela, che è anche un centro di influenza regionale, è il contrappeso concreto visibile alla politica di smantellamento dei Paesi che Washington orchestra. Il Venezuela aderisce alla propria istituzionalità e resiste da esso, nonostante ricatti e pressioni. Dati molti fattori nella politica internazionale, le probabilità di una regressione nel conflitto venezuelano sarebbero sollevate da un nuovo accordo in Venezuela. Ma come in altre occasioni, sarebbe afflitto da fattori inquietanti interessati ad imporre la politica del bastone, come successe in precedenti occasioni col boicottaggio del dialogo da parte dell’opposizione venezuelana, che obbedisce alle direttive del dipartimento di Stato degli USA. Quali opzioni sono rimaste agli Stati Uniti per soggiogare lo Stato-nazione venezuelano? Quali saranno le vere dimensioni della politica estera statunitense erratica e conflittuale in questa parte del mondo? A questo punto, il 10 gennaio come inflessione della politica venezuelana e regionale sarà l’inizio di una tappa. La risoluzione tra stabilità politica ed agenda del caos planetario ha un episodio importante in Venezuela. La maggior parte delle idee nella regione, da entrambi i lati del quadro politico, coincidono sul fatto che l’America Latina va preservata come una zona priva di conflitti. Ma tale consenso non basta. I recessi sono imprevedibili nel labirinto della politica statunitense, oggi convulsa, complessa e in declino.

Traduzione di Alessandro Lattanzio


Mosca avverte gli USA dall’intervento militare contro il Venezuela

Paul Antonopoulos, FRN

Mosca avverte “diverse teste calde” a Washington dal ricorrere alla forza militare in Venezuela, dichiarava il Viceministro degli Esteri Sergej Rjabkov. “Vedo tentativi degli Stati Uniti di consolidare il fronte anti-Chavez contro il Venezuela negli Stati latinoamericani con ansia e preoccupazione, questi è allarmante”, osservava Rjabkov. Secondo il diplomatico russo, anche i governi latinoamericani dalla posizione critica su Caracas escludono la possibilità di un intervento militare negli affari venezuelani. “Nonostante il duro scontro, anche i governi dell’America Latina più critici con Caracas, escludono l’opzione dell’intervento militare negli affari del Venezuela. Un tentativo di usare la forza militare sarebbe catastrofico. Avvertiamo le “teste calde” a Washington da tali tentazioni”, notava Rjabkov. Il diplomatico bollava l’ampliamento delle sanzioni di Washington contro il Venezuela come via per la destabilizzazione. “Abbiamo fiducia nel governo del Presidente Nicolas Maduro e nel popolo venezuelano che supereranno questo test con integrità. Non è la prima volta che il Paese vive e opera sotto tali sanzioni”, osservava. “La resilienza dei venezuelani e della leadership del Paese va oltre ogni dubbio”. “Come in molte altre situazioni d’uso di sanzioni unilaterali statunitensi, in questo caso particolare Washington vedrà che sono completamente inutili”, prometteva Rjabkov.

All’inizio di agosto, si ebbe un attentato al Presidente Nicolás Maduro durante la parata militare a Caracas, usando droni carichi di esplosivi. Maduro rimase illeso, ma 7 soldati furono feriti. Maduro accusava l’opposizione e l’ex-presidente colombiano Juan Manuel Santos, aggiungendo che sapeva della preparazione di una cospirazione contro di lui col sostegno degli Stati Uniti. Secondo Maduro, vicino al confine col Venezuela, si preparavano 730 mercenari per avviare provocazioni militari in qualsiasi momento per neutralizzare varie basi militari nel territorio venezuelano. Inoltre, le autorità colombiane avrebbero concesso una base aerea sul loro territorio a tali cospiratori.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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