Al Foro di San Paolo, l’unità del Latinoamerica

di Geraldina Colotti

Nella conferenza stampa del lunedì, il PSUV ha presentato ai media il suo bilancio del Foro di San Paolo, conclusosi a Caracas il 28 luglio, data di nascita di Hugo Chavez. Diosdado Cabello, vicepresidente del partito più grande dell’America Latina (oltre 6 milioni di persone), ha sottolineato un dato evidentissimo per chiunque abbia assistito al Foro di San Paolo – uno straordinario incontro internazionale, che ha messo a confronto oltre 700 delegati provenienti principalmente dall’America Latina e dai Caraibi, ma anche dagli altri continenti: l’alto livello dei contenuti e del consenso mostrato dalla dichiarazione finale sui principali temi che interessano la regione.

Un’operazione che sembrava impossibile dieci anni fa, quando Hugo Chavez gettò un certo sconcerto fra i militanti proclamando la necessità di una “Quinta internazionale”. Un obiettivo apparso lontano anche durante il FSP che si è tenuto a Caracas nel 2012. Allora, nonostante il contesto più favorevole all’integrazione regionale, le divisioni esistenti avevano reso impossibile l’accordo raggiunto invece in questa occasione nonostante la diversità delle componenti – partiti, organizzazioni e movimenti popolari – che hanno partecipato.

Per la presenza di componenti più moderate, la dichiarazione finale definisce l’identità del foro non come anticapitalista, ma come “anti-neoliberista”. Tuttavia, anche nell’enunciare la frase di José Marti “il miglior modo di dire è fare”, sembra che qualcosa di importante si vada costruendo e prefigurando, qualcosa di molto simile a una internazionale, capace di coniugare le differenze, articolandole negli obiettivi comuni. Il Venezuela è indubbiamente un centro propulsore, un laboratorio di idee e di proposte che resiste da vent’anni e si proietta a livello internazionale, facendo proprie le istanze di liberazione dei popoli.

Il Venezuela è oggi una trincea da difendere, ha detto, unanime, il Foro di San Paolo, respingendo le ingerenze e gli attacchi dell’imperialismo nordamericano e dei suoi vassalli. Un imperialismo che, sfrontatamente, si toglie la maschera, minacciando chiunque rifiuti di chinare la testa, a partire da Cuba, Venezuela e Nicaragua, definiti “la troika del male”. Un imperialismo che viola leggi e trattati, spazi aerei e marittimi, credendosi il gendarme del mondo. A sostenerlo ha i suoi tirapiedi locali che cercano di far rientrare dalla finestra quel che il Venezuela bolivariano ha chiuso fuori dalla porta con la Quarta Repubblica. Cercano per esempio di riesumare il Tiar, il patto interamericano di assistenza reciproca che il parlamento “in ribellione”, governato dalla destra, ha recentemente approvato.

Un’”assistenza” che, ha spiegato Diosdado Cabello nel corso della conferenza stampa, pende da un unico lato, quello dell’imperialismo: com’è accaduto durante il conflitto tra Argentina e Gran Bretagna per le Malvinas, quando gli Stati Uniti hanno risposto alla “reciproca assistenza” schierandosi con l’Inghilterra. Con la protezione dell’imperialismo nordamericano, i veri stati canaglia come la Colombia fanno il bello e il cattivo tempo, esportando oltre frontiera le loro ricette mortifere.

Al Foro di San Paolo, una platea commossa e indignata, riunita per l’incontro conclusivo, ha risposto “presente” ai nomi degli uccisi pronunciati dalla Corrente Bolivar e Zamora: sei militanti, tra cui una donna incinta, ammazzati nello Stato di Barinas da quello che, in tutta evidenza, è apparso un commando di paramilitari colombiani, in una zona governata dalla destra e dai latifondisti. Un episodio denunciato anche da Cabello, che ha chiesto alla magistratura di far luce in tempi rapidi e ha ricordato gli oltre 300 contadini uccisi dai latifondisti e da chi li protegge mentre cercavano di far applicare la legge che consente di farsi assegnare le terre improduttive.

La presenza “attiva e deliberante” dei movimenti popolari – oltre 300 – accanto ai partiti delle sinistre ha rappresentato una svolta, che il PSUV promette di consolidare facendone un elemento cardine della dinamica del Foro, così com’è per la politica nazionale.

Cabello lo ha ribadito rispondendo alle domande dei giornalisti e annunciando l’agenda che, nei prossimi mesi, portando a compimento varie assemblee realizzate finora chiamerà a congresso i lavoratori e le lavoratrici, i movimenti indigeni, le comunas, e i movimenti femministi, rimettendo in circolo i contenuti del FSP.

La presenza organizzata delle donne ha connotato il FSP, che ha ribadito l’intrinseca necessità della lotta al capitalismo e al patriarcato, alla sua violenza sistemica, alle sue gabbie concrete e simboliche. “Quando abbiamo approvato la costituzione bolivariana – ha ricordato Cabello – c’era chi ci prendeva in giro per averla voluta declinare nei due generi, sostenendo fosse solo una questione semantica di secondo piano. Invece, grazie anche alla difesa appassionata di Chavez, questo percorso si è fatto strada, portando le donne al centro della direzione politica, benché ci sia ancora molto da fare”.

Alla Colombia, al processo di pace calpestato e alla necessità di fermare il massacro di ex guerriglieri e di leader sociali, ha fatto ampio riferimento il FSP, sia nei tavoli di discussione che nella dichiarazione finale. E, durante la chiusura dell’incontro, il presidente Nicolas Maduro ha ironizzato sulle dichiarazioni belliciste rese dal suo omologo colombiano Ivan Duque alla vigilia del Foro, circa la presenza di ex guerriglieri come Ivan Marquez o Jesus Santrich al Foro di San Paolo. “Sarebbero stati i benvenuti, ma purtroppo non li abbiamo visti”, ha detto, ricordando che, mentre le FARC hanno portato avanti un processo di pace, Duque ospita golpisti come Julio Borges e appoggia le trame contro il Venezuela.

Accompagnato dal presidente cubano Miguel Diaz-Canel, da Adan Chavez e dalla segretaria esecutiva del Foro, Monica Valente, Maduro ha ripercorso le tappe attraversate dal Foro di San Paolo, nato negli anni del neoliberismo sfrenato, quando il pensiero dominante, a cui si adeguava anche una certa sinistra deviata, sosteneva si fosse alla “fine della storia”. Allora – ha detto il presidente leggendo dei passi del Libro Azzurro – Chavez stava invece maturando il suo pensiero precursore che ancorava il socialismo alle idee di Bolivar e alla memoria delle lotte contro il colonialismo. Poi, contestando la tesi della “fine del ciclo progressista”, Maduro ha interpretato i risultati del Foro, la sua unità di intenti e di azione, l’articolazione delle differenze e il proposito di un’agenda comune da sviluppare a livello regionale, come l’inizio di una nuova tappa: di un nuovo ciclo che – ha detto – porterà al governo la sinistra in tutto il continente.

“L’imperialismo – aveva assicurato poco prima Diaz-Canel – non ci farà recedere coi suoi ricatti dai nostri principi che sosteniamo da sessant’anni, né dall’appoggio al Venezuela”. E mentre, a Miraflores, le delegazioni si alzavano in piedi a pugno chiuso, si diffondevano le note struggenti della canzone di Raul Torres, presente alla serata: El regreso del amigo, scritta per la morte di Chavez. Un Chavez sempre presente, ricordato con danze e discorsi al Cuartel de la Montaña dove riposano i suoi resti. “Chavez ora non sono io – aveva detto – Chavez è un popolo”.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.