Il medico rivoluzionario

Per essere medico rivoluzionario o essere rivoluzionario, la prima cosa che devi avere è la rivoluzione. A nulla vale lo sforzo isolato, il desiderio di sacrificare una vita al più nobile di tutti gli ideali, se quello sforzo si fa solitario in qualche angolo d’America, dove le condizioni sociali non permettono avanzare

Ernesto Che Guevara  www.granma.cu

Per essere medico rivoluzionario o essere rivoluzionario, la prima cosa che devi avere è la rivoluzione. A nulla vale lo sforzo isolato, il desiderio di sacrificare una vita al più nobile di tutti gli ideali, se quello sforzo si fa solitario in qualche angolo d’America, dove le condizioni sociali non permettono avanzare.

Per fare rivoluzione, è necessario ciò che esiste a Cuba. Che tutto il popolo si mobiliti e sappia esercitare il servizio dell’arma e sappia quanto vale maneggiare l’arma e quanto vale l’unità del popolo. Oggi sì possiamo dire che a Cuba possiamo avere medici rivoluzionari.

SI DEVE CREARE UN NUOVO TIPO UMANO

È necessario raccontare nuovamente la vita di ciascuno di noi, con un profondo desiderio critico, per poi giungere alla conclusione che quasi tutto quello che abbiamo pensato e sentito in tempi passati deve archiviarsi e creare un nuovo tipo umano. Sarà facile per tutti creare quel nuovo tipo umano, che sarà l’esponente della nuova Cuba. È bene sottolineare l’idea che a Cuba si sta creando un nuovo tipo umano (…).

Questo è il nuovo tipo umano che si sta forgiando nelle sierre, e anche nelle cooperative e nei luoghi di lavoro. Tutto questo ha molto a che fare con il tema del nostro discorso di oggi, con l’integrazione del medico o di qualsiasi altro operatore della Medicina, all’interno del movimento rivoluzionario. Perché il compito di educare i bambini, il compito di educare e preparare l’esercito, il compito di distribuire le terre ai contadini, è la più grande opera di medicina sociale che sia mai stata realizzata a Cuba. Prevenire le malattie con il lavoro di tutta la collettività è un grande compito; e la Medicina dovrà allora convertirsi in una scienza che serva a prevenire le malattie, che serva a orientare l’intero pubblico verso i propri doveri medici, e che solo il medico deve intervenire in un grado di estrema urgenza per eseguire un intervento chirurgico.

Il compito che oggi viene affidato al Ministero della Salute Pubblica è organizzare la Sanità Pubblica in modo che serva a dare assistenza al maggior numero di persone e serva a prevenire il maggior numero di malattie; ma per questa opera rivoluzionaria è necessario principalmente l’individuo.

CAMBI PROFONDI

La Rivoluzione è un liberatrice della capacità intellettuale dell’uomo, e allo stesso tempo è una orientatrice di quella capacità. Il nostro compito di oggi è guidare la capacità degli operatori della Medicina verso le grandi realizzazioni di questa società.

Le forme di vita capitalista in cui siamo nati e sviluppati sono in bancarotta in tutto il mondo. Abbiamo l’orgoglio di essere l’avanguardia di un movimento di liberazione che ha avuto eco in altri luoghi dell’Asia e dell’Africa e che tale profondo cambio sociale richiede anche cambi molto profondi nella composizione morale delle persone. L’individualismo deve essere, un domani, il pieno utilizzo dell’intero individuo a vantaggio assoluto di una collettività. Ma anche quando questo sia compreso oggi e quando tutti siano disposti a pensare un po’ al presente, al passato ed a quello che deve essere il futuro, è necessario sentire profondi cambi interiori e partecipare a profondi cambi esteriori.

Un modo per imparare a conoscere i principi di questa Rivoluzione ed i grandi cambi che sta producendo è visitare l’intera Repubblica per apprezzare ciò che si sta facendo, vedere le cooperative ed i centri di lavoro, e anche le persone che compongono quei centri di lavoro. Ma, in aggiunta, bisogna accettarsi quali siano i bisogni di queste persone, quali siano le malattie che più hanno sofferto. Il medico deve andare lì, affinché conosca l’ambiente in cui vivono i suoi pazienti, in modo che possa realizzare la sua opera sociale di medico dentro la massa.

Il medico ha un obbligo di grande responsabilità in campo sociale. È accaduto di recente che un gruppo di medici già specializzati non volessero recarsi in aree agricole per prestare i propri servizi. E dal punto di vista del passato è logico che ciò succedesse. Io pensavo a quel passato che mi parlava di ambizioni e gloria personale. Ma cosa sarebbe successo se quei laureati fossero stati gente di campagna a cui si è data l’opportunità di frequentare le aule universitarie?

Sarebbe successo quello che succederà tra sei o otto anni quando i nuovi studenti, provenienti dalle classi lavoratrici e contadine, usciranno dalle aule universitarie.

C’era chi doveva lavorare ed aveva conosciuto un certo bisogno durante l’infanzia, ma la fame, la fame davvero, nessuno di noi l’aveva conosciuta. Abbiamo iniziato a conoscerla, temporaneamente, nei due anni della Sierra Maestra, ed allora molte cose ci sono diventate così chiare, che all’inizio punivamo severamente chiunque toccasse, anche fosse una gallina di un ricco contadino (…).

Ci siamo resi conto che la vita di un essere umano vale 10000 volte più di tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.

L’abbiamo imparato lì, che non eravamo figli della classe operaia né della classe contadina. Perché ora diremo che eravamo i privilegiati e che anche il resto delle persone di Cuba non possono impararlo? Sì possono. Ma, in più, la rivoluzione oggi esige che si impari, che si capisca bene che molto più importante di una retribuzione è l’orgoglio di servire il prossimo, che più definitivo, più perenne di tutto l’oro che si può accumulare, è la gratitudine del popolo.

Ogni medico, nel proprio ambito d’azione, può e deve accumulare quella preziosa gratitudine del popolo. Quindi dobbiamo iniziare a cancellare i nostri vecchi concetti e iniziare ad avvicinarci di più al popolo, non come ci siamo avvicinati prima, perché voi direte: Io sono amico del popolo, mi piace parlare con i lavoratori, e vado le domeniche in un certo posto la tal cosa. Tutti lo hanno fatto, ma l’hanno fatto praticando la carità, e oggi dobbiamo praticare la solidarietà. Non dobbiamo avvicinarci al popolo per dire: Eccoci, veniamo a darti la carità della nostra presenza, a dimostrare i tuoi errori, la tua ignoranza, la tua mancanza di conoscenza. Dobbiamo andare con zelo investigativo, per imparare dalla fonte della saggezza che cos’è il popolo.

Dobbiamo cambiare anche i concetti medici. Non sempre le malattie si trattano come in un ospedale o in una grande città. Vedremo come il medico deve essere agricoltore e come impari a piantare nuovi alimenti ed a seminare, con il suo esempio, il desiderio di consumare nuovi alimenti, di diversificare questa struttura alimentare cubana così piccola, così povera, in uno dei paesi agricoli, potenzialmente, più ricchi della terra.

Vedremo allora come dovremo essere, in tale circostanza, a volte un pò pedagoghi, anche politici, come la prima cosa da fare non è andare ad offrire la nostra saggezza, ma andare a dimostrare che impareremo con il popolo, a realizzare la bella esperienza comune che è costruire la Nuova Cuba.

Molti passi sono già stati fatti e c’è una distanza che non può essere misurata in modo convenzionale, tra il 1 gennaio 1959 ed oggi. Molto tempo fa, la maggioranza del popolo capì che non solo era caduto un dittatore, bensì capì che non solo era caduto un sistema. Quindi ora viene la parte in cui il popolo deve imparare che sulla rovina di un sistema andato in pezzi, è necessario costruire il nuovo sistema che faccia la felicità del popolo. (…)

SOLIDARIETÀ CON IL POPOLO

Bisogna conoscere tutto il popolo con cui si va a lavorare. Penso che ancora non ci conosciamo bene, che dobbiamo ancora percorrere un po’ quel cammino. Molti sono i mezzi per conoscere il popolo; non solo andando all’interno, a lavorare e vivere con i contadini delle cooperative. Una delle grandi manifestazioni della solidarietà del popolo di Cuba sono le milizie rivoluzionarie.

Queste milizie rivoluzionarie, ora, danno al medico una nuova funzione e lo preparano a quella che fino a pochi giorni fa era una dolorosa e triste realtà di Cuba: stavamo per essere vittime di un attacco armato di grande portata. Il medico, in quella funzione di miliziano, deve essere sempre medico, e non commettere l’errore che abbiamo commesso nella Sierra -che forse non sia un errore- che, stando ai piedi di un ferito o di un malato, cerchiamo il fucile per andare al fronte di lotta e mostrare cosa possiamo fare.

Ora il nostro Esercito segue una tecnica diversa ed il medico acquisisce una nuova importanza all’interno di tale tecnica. E questo raggiunge, non solo il medico, ma anche gli infermieri, il personale dei laboratori e tutti coloro che si dedicano a questa professione molto umana.

Pur conoscendo il pericolo latente, preparandoci a respingere l’aggressione la cui minaccia ancora esiste, dobbiamo smettere di pensarci, perché, se mettiamo la guerra al centro delle nostre preoccupazioni, non possiamo dedicarci al lavoro creatore per costruire ciò che vogliamo.

(…) Se noi, operatori della Medicina, riusciamo -e lasciatemi usare un titolo che avevo dimenticato da molto tempo- se usiamo tutti questa nuova arma, che è la solidarietà, se conosciamo gli obiettivi, conosciamo il nemico e conosciamo il corso per dove dobbiamo camminare, ci manca solo conoscere la parte quotidiana della strada da percorrere, e quella parte non ci può essere insegnata da nessuno: è il percorso di ogni individuo, cosa farà ogni giorno, cosa raccoglierà per la propria esperienza individuale e quello che sperimenta nell’esercizio della sua professione, per il benessere del popolo.

Se abbiamo già tutti questi elementi, possiamo marciare verso il futuro. Ricordiamo Martí, il cui pensiero dobbiamo studiare assiduamente: “il modo migliore per dire, è fare”. Ed allora marciamo verso il futuro di Cuba.

(Estratti dal discorso pronunciato il 19 agosto 1960, nella sala teatro del ctc, in occasione della cerimonia inaugurale del ciclo di colloqui di Formazione Civica, organizzato dal Ministero della Sanità Pubblica. Pubblicato dal quotidiano Revolución, il giorno successivo)


El médico revolucionario

Para ser médico revolucionario o ser revolucionario, lo primero que hay que tener es revolución. De nada vale el esfuerzo aislado, el afán de sacrificar una vida al más noble de todos los ideales si ese esfuerzo se hace solitario en algún rincón de América, donde las condiciones sociales no permiten avanzar

Autor: Ernesto Che Guevara

Para ser médico revolucionario o ser revolucionario, lo primero que hay que tener es revolución. De nada vale el esfuerzo aislado, el afán de sacrificar una vida al más noble de todos los ideales si ese esfuerzo se hace solitario en algún rincón de América, donde las condiciones sociales no permiten avanzar.

Para hacer revolución es necesario esto que hay en Cuba. Que todo el pueblo se movilice y sepa ejercitar el servicio del arma y sepa lo que vale manejar el arma y lo que vale la unidad del pueblo. Hoy sí podemos decir que en Cuba puede haber médicos revolucionarios.

HAY QUE CREAR UN NUEVO TIPO HUMANO

Hay que hacer nuevamente un recuento de la vida de cada uno de nosotros, con profundo afán crítico, para llegar entonces a la conclusión de que casi todo lo que pensábamos y sentíamos en época pasada debe archivarse y crear un nuevo tipo humano. Fácil será para todos el crear ese nuevo tipo humano, que será el exponente de la nueva Cuba. Es bueno que se recalque la idea de que en Cuba se está creando un nuevo tipo humano (…).

Ese es el nuevo tipo humano que se está forjando en las sierras, y también en las cooperativas y los centros de trabajo. Todo eso tiene mucho que ver con el tema de nuestra charla de hoy, con la integración del médico o cualquier otro trabajador de la Medicina, dentro del movimiento revolucionario. Porque la tarea de educar a los niños, la tarea de educar y preparar al ejército, la tarea de repartir las tierras a los campesinos, es la mayor obra de medicina social que se haya realizado jamás en Cuba. Prevenir las enfermedades con el trabajo de toda la colectividad, es una gran tarea; y la Medicina tendrá que convertirse entonces en una ciencia que sirva para prevenir a las enfermedades, que sirva para orientar a todo el público hacia sus deberes médicos, y que solamente deba intervenir el médico en grado de extrema urgencia para practicar una operación quirúrgica.

El trabajo que está encomendado hoy al Ministerio de Salud Pública es organizar la Salud Pública de tal manera que sirva para dar asistencia al mayor número de personas y sirva para prevenir el mayor número de enfermedades; pero para esa tarea revolucionaria se necesita principalmente el individuo.

CAMBIOS PROFUNDOS

La Revolución es una liberadora de la capacidad intelectual del hombre, y a la vez es orientadora de esa capacidad. Nuestra tarea de hoy es orientar la capacidad de los obreros de la Medicina hacia las grandes realizaciones de esta sociedad.

Las formas de vida capitalista en que nacimos y nos desarrollamos están en bancarrota en todo el mundo. Tenemos el orgullo de ser la vanguardia de un movimiento de liberación que ha tenido eco en otros lugares del Asia y del África, y ese cambio social profundo demanda también cambios muy profundos en la contextura moral de las personas. El individualismo debe ser en el día de mañana el aprovechamiento cabal de todo el individuo en beneficio absoluto de una colectividad. Pero aun cuando esto se comprenda hoy y cuando todo el mundo esté dispuesto a pensar un poco en el presente, en el pasado y lo que debe ser el futuro, es necesario sentir profundos cambios interiores y asistir a profundos cambios exteriores.

Una forma de aprender a conocer los principios de esta Revolución y los grandes cambios que está produciendo, es visitando toda la República para apreciar lo que se está haciendo, para ver las cooperativas y los centros de trabajo, y también las personas que integran esos centros de trabajo. Pero, además, debe averiguarse cuáles son las necesidades de esas personas, cuáles son las enfermedades que más han venido padeciendo. El médico debe ir allí, para que conozca el medio en que viven sus pacientes, para que pueda realizar su obra social de médico dentro de la masa.

El médico tiene una obligación de mucha responsabilidad en el campo social. Ocurrió hace poco que un grupo de médicos ya recibidos no querían ir al campo a prestar sus servicios. Y desde el punto de vista del pasado es lógico que aquello sucediera. Yo pensaba en aquel pasado que me hablaba de ambiciones y de gloria personal. Pero, ¿qué sucedería si aquellos graduados hubieran sido gente del campo a los que se dio la oportunidad de asistir a las aulas universitarias?

Hubiera sucedido lo que sucederá dentro de seis u ocho años cuando los nuevos estudiantes, procedentes de las clases obreras y campesinas salgan de las aulas universitarias.

Hubo quien tenía que trabajar y había conocido cierta necesidad en la infancia, pero el hambre, el hambre de verdad, no la había conocido ninguno de nosotros. Empezamos a conocerla transitoriamente en los dos años de la Sierra Maestra, y entonces muchas cosas se hicieron tan claras para nosotros, que al principio castigamos duramente al que tocara aunque fuera una gallina de un campesino rico (…).

Comprendimos que vale 10 000 veces más la vida de un ser humano, que todas las propiedades del hombre más rico de la tierra.

Lo aprendimos nosotros allí, que no éramos hijos de la clase obrera ni de la clase campesina. ¿Por qué vamos a decir ahora que éramos los privilegiados y que el resto de las personas de Cuba no pueden aprenderlo también? Sí pueden. Pero, además, la revolución hoy exige que se aprenda, que se comprenda bien que mucho más importante que una retribución es el orgullo de servir al prójimo, que más definitivo, más perenne que todo el oro que se pueda acumular, es la gratitud del pueblo.

Cada médico, en su círculo de acción, puede y debe acumular esa preciada gratitud del pueblo. Tenemos entonces que empezar a borrar nuestros viejos conceptos y empezar a acercarnos más al pueblo, no como nos acercábamos antes, porque ustedes, dirán: Yo soy amigo del pueblo, me gusta conversar con los obreros, y voy los domingos a tal lado y hago tal cosa. Todo el mundo lo ha hecho, pero lo ha hecho practicando la caridad, y hoy tenemos que practicar la solidaridad. No debemos acercarnos al pueblo a decirle: Aquí estamos, venimos a darte la caridad de nuestra presencia, a demostrar tus errores, tu incultura, tu falta de conocimientos. Debemos ir con afán investigativo, a aprender en la fuente de la sabiduría que es el pueblo.

Tenemos que cambiar aún los conceptos médicos. No siempre las enfermedades se tratan como en un hospital o en una gran ciudad. Veremos cómo el médico tiene que ser agricultor y cómo aprende a sembrar nuevos alimentos y a sembrar con su ejemplo el afán de consumir nuevos alimentos, de diversificar esta estructura alimenticia cubana tan pequeña, tan pobre, en uno de los países agrícolas, potencialmente, más ricos de la tierra.

Veremos entonces cómo tendremos que ser en esa circunstancia un poco pedagogos a veces, políticos también, como lo primero que hay que hacer no es ir a brindar nuestra sabiduría, sino ir a demostrar que vamos a aprender con el pueblo, a realizar la bella experiencia común que es construir la Nueva Cuba.

Ya se han dado muchos pasos y hay una distancia que no se puede medir en la forma convencional, entre el primero de enero de 1959 y hoy. Hace mucho que la mayoría del pueblo entendió que no solo había caído un dictador, sino que entendió que no solo había caído un sistema. Viene entonces ahora la parte en que el pueblo debe aprender que sobre la ruina de un sistema desmoronado, hay que construir el nuevo sistema que haga la felicidad del pueblo. (…)

SOLIDARIDAD CON EL PUEBLO

Hay que conocer a todo el pueblo sobre el cual se va a trabajar. Creo que todavía no nos conocemos bien, que nos falta aún andar un rato por ese camino. Muchos son los medios que se tienen para ir conociendo al pueblo; no solo yendo al interior, para trabajar y vivir junto a los campesinos de las cooperativas. Una de las grandes manifestaciones de la solidaridad del pueblo de Cuba son las milicias revolucionarias.

Estas milicias revolucionarias dan ahora al médico una nueva función y lo preparan para lo que hasta hace pocos días fue una dolorosa y triste realidad de Cuba: íbamos a ser víctimas de un ataque armado de gran envergadura. El médico, en esa función de miliciano, debe ser siempre médico, y no cometer el error que cometimos en la Sierra –que tal vez no sea tal error– que, estando al pie de un herido o de un enfermo buscamos el fusil para ir al frente de lucha y mostrar lo que podíamos hacer.

Ahora nuestro Ejército sigue una técnica distinta y el médico adquiere una nueva importancia dentro de esa técnica. Y esto alcanza, no solamente al médico, sino a los enfermeros, a los laboratoristas y a todos los que se dediquen a esta profesión tan humana.

Aun sabiendo el peligro latente, preparándonos para repeler la agresión cuya amenaza todavía existe, debemos dejar de pensar en ello, porque, si hacemos a la guerra centro de nuestros afanes, no podemos dedicarnos al trabajo creador para construir lo que queremos.

(…) Si logramos nosotros, trabajadores de la Medicina –y permítaseme que use un título que hace mucho tiempo había olvidado–, si usamos todos esta nueva arma que es la solidaridad, si conocemos las metas, conocemos al enemigo y conocemos el rumbo por donde tenemos que caminar, nos falta solo conocer la parte diaria del camino a recorrer, y esa parte no nos la puede enseñar nadie: es el camino propio de cada individuo, lo que se hará en cada día, lo que recogerá para su experiencia individual y lo que experimente en el ejercicio de su profesión, por el bienestar del pueblo.

Si ya tenemos todos esos elementos, podemos marchar hacia el futuro. Recordemos a Martí, cuyo pensamiento debemos estudiar asiduamente: «la mejor manera de decir, es hacer». Y marchemos entonces hacia el futuro de Cuba.

(Fragmentos del discurso pronunciado el 19 de agosto de 1960, en el salón teatro de la ctc, en el acto inaugural del ciclo de charlas de Capacitación Cívica, organizado por el Ministerio de Salud Pública. Publicado por el periódico Revolución, al día siguiente)

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One thought on “Il medico rivoluzionario”

  1. Un dialogo a distanza con l amico Antonio Panti (presidente dell Ordine di Firenze) convinto che il medico autore sia un utopia come lo sarebbe la possibilit di fare a meno della medicina amminstrata. Ma se Panti avesse ragione vorrebbe dire che allora, per i medici, non resterebbe che rassegnarsi al declino della professione

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