Le riforme del mercato di Cina e Cuba non sono “revisioniste”

Rainer Shea, Orinoco Tribune 24 ottobre 2021

Nella sua opera Critica del programma di Gotha, Karl Marx colse la sua obiezione all’analisi di alcuni altri comunisti come opportunità per proporre un’analisi di ciò che deve accadere nello sviluppo comunista. Almeno sui mezzi di produzione, questa analisi si compone delle seguenti idee:– Che il lavoro non è la fonte di tutta la ricchezza; anche senza lavoro avremmo la ricchezza che la natura ci dona. Pertanto, se la società ha ricchezza non deriva necessariamente dalla presenza di lavoro.


– Che c’è differenza tra “lavoro” come definito dai mezzi di produzione capitalistici, e lavoro come definibile col comunismo pienamente sviluppato. Mentre il lavoro sotto il capitalismo è incentrato su affari e acquisizione di proprietà, il lavoro sotto il comunismo pienamente sviluppato non implicherebbe tali cose.

Come articola Marx: “In una fase superiore della società comunista, dopo che è svanita la subordinazione schiavizzante dell’individuo alla divisione del lavoro, e quindi anche l’antitesi tra lavoro mentale e lavoro fisico; dopo che il lavoro è diventato non solo mezzo di vita, ma il bisogno principale della vita; dopo che anche le forze produttive sono aumentate con lo sviluppo integrale dell’individuo, e tutte le sorgenti della ricchezza cooperativa scorrono più copiose, solo allora l’angusto orizzonte del dirotto borghese può essere attraversato nella sua interezza e la società iscrivere sui suoi stendardi: Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità”. I passi verso questo risultato includono l’abolizione del denaro e dello Stato, che rafforzano il modello di produzione capitalista. Come suggerisce Marx, un tale cambiamento non toglierebbe ricchezza e prosperità alla società. Eliminerebbe solo le disuguaglianze che crea il modello capitalista di produzione. Col modello di produzione capitalistico, il fatto che le persone abbiano capacità produttive diverse le destina ad essere diseguali. Questo è ciò che intende per “diritto borghese”; la capacità che il modello capitalistico di produzione conferisce agli individui di accumulare risorse in modo diseguale. Come dice Marx, tale diritto “riconosce tacitamente la disuguale dotazione individuale, e quindi capacità produttiva, come un privilegio naturale”. Nella fase iniziale della rivoluzione socialista, dove Stato e denaro non sono ancora stati aboliti, il diritto borghese è ancora riconosciuti perché il modello di produzione capitalista non è ancora stato eliminato. Gli operai controllano i mezzi di produzione, ma non li hanno sostituiti. Come scrive Marx: “ciò con cui abbiamo a che fare qui è una società comunista, non così come sviluppatasi sulle proprie basi ma, al contrario, così come appare dalla società capitalista; che è quindi sotto ogni aspetto, economicamente, moralmente e intellettualmente, ancora improntato alle voglie della vecchia società dal cui grembo esce”.

Questo aspetto nei passi verso il comunismo, in cui Marx riconosce che il capitalismo va sviluppato oltre per incrementi, si applica agli eventi attuali nei Paesi governati da partiti marxisti-leninisti. Eventi che riguardano un dibattito cruciale del movimento comunista globale di oggi: se un partito comunista che consente alle imprese private di esistere sotto il suo governo è revisionista. I cinque Stati socialisti moderni Cina, Cuba, Laos, Vietnam e Repubblica Democratica Popolare di Corea consentono imprese private in misura diversa. E con ira di alcune fazioni del movimento comunista, Cina e Cuba in particolare risposero al sabotaggio imperialista delle loro economie aprendosi economicamente. Dopo la morte di Mao, la Cina decise di utilizzare i mercati per far crescere la propria economia (un approccio alla base della liberazione di 850 milioni di cinesi dalla povertà, secondo la ricerca di Yao Yang dell’Università di Pechino). E quest’anno Cuba apriva la sua economia alle imprese private per alleviare i costi della pandemia e delle sanzioni statunitensi. La fazione comunista che crede che le politiche economiche di Cuba siano revisioniste è significativa, almeno abbastanza da avere impatto considerevole sul pensiero dominante nel movimento. Marxists.org, che si descrive l’”Enciclopedia dell’antirevisionismo in linea”, contiene un articolo del 1983 intitolato Cuba: What Went Wrong? Che afferma che è “chiaro che la Cuba di oggi non è un Paese rivoluzionario”, citando la disfunzione economica di Cuba e le conseguenti difficoltà sugli standard di vita del Paese. Senza dubbio il campo “anti-revisionista” ha la stessa visione della Cuba di oggi alla luce delle recenti riforme, poiché tale campo continua a criticare la Cina moderna per l’utilizzo dei mercati. Ma proprio come negli anni ’80, questi sbagliano. Il centro della posizione “anti-revisionista”, nell’argomentazione dell’articolo su Cuba del 1983, era che l’Unione Sovietica fosse non solo revisionista, ma “social imperialista”, e che Cuba a sua volta fosse la colonia dello zucchero di questo imperialismo. Secondo l’articolo, ciò rese la leadership cubana complice del progetto neocoloniale, indicando che era disposta a tradire il marxismo in altri modi. Ma tale caratterizzazione del ruolo socioeconomico dell’URSS, che tali “anti-revisionisti” ora applicano alla Cina con le loro accuse di “neo-colonialismo”, è errata se diretta a entrambi i Paesi. Né si adattano ai criteri della definizione di Lenin dell’imperialismo, né alla definizione che si può applicare nel 21° secolo. La Repubblica popolare cinese non ha caratteristiche di classe capitalista monopolistica, cruciale affinché un Paese sia imperialista nell’era del capitalismo, come fatto coll’URSS.

Questo è il motivo per cui chi cerca di dipingere il socialismo come “revisionista” si attengono strettamente alla narrativa sull’imperialismo sovietico e cinese; senza di essa, i loro argomenti non hanno alcun valore teorico o storico. C’è differenza tra le politiche effettivamente revisioniste della leadership post-staliniana dell’URSS, che attivamente indebolì il ruolo dello Stato come strumento di lotta di classe, e le politiche dei moderni Paesi socialisti che mantengono la dittatura del proletariato stabilito da Lenin e Stalin. Lo stesso Xi Jinping dichiarò che l’URSS post-staliniana commise un errore fatale abbandonando i parametri forniti dal marxismo-leninismo. E la struttura dell’odierno Partito Comunista Cinese continua a seguire questi parametri, nonostante i fuorvianti tentativi degli “antirevisionisti” di dipingere il partito come controllato dai capitalisti.

Quando si tirano fuori le accuse fuorvianti di “socialimperialismo” e di partiti comunisti facciata delle oligarchie capitaliste, si scopre che i Paesi comunisti esistenti semplicemente seguono il percorso che Marx spiegò come necessario per raggiungere il comunismo: mantenere il modello di produzione capitalista nella fase iniziale e farlo estinguere quando le condizioni lo consentono. Nelle attuali condizioni dell’imperialismo, dove tutti i tentativi di costruire il comunismo sono perennemente sotto assedio, lo Stato va utilizzato dai rivoluzionari. Questa è la base del marxismo-leninismo. E finché un partito comunista non ripete gli errori della direzione sovietica, può utilizzare i mercati senza essere revisionista. Date le condizioni di Cuba, dove gli imperialisti usano la pandemia e la crisi economica per incitare al sabotaggio controrivoluzionario nel Paese, l’utilizzo dei mercati potrebbe rivelarsi la via d’uscita dalla controrivoluzione. Perché se le riforme del mercato furono indispensabili per far uscire la Cina dalla povertà, probabilmente saranno indispensabili per migliorare le condizioni di Cuba, e quindi indebolire l’influenza degli imperialisti. Aiuteranno anche ad affrontare le legittime carenze nel modello economico di Cuba di cui si sono impadroniti gli “antirevisionisti”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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