La ‘paura’ della Florida

Il fattore elettorale nella politica di Biden verso Cuba

Rafael Gonzalez Morales www.contextolatinoamericano.com

Nel processo di definizione della politica di Biden verso Cuba, esistono due fatti molto evidenti: 1) si è deciso mantenere la politica di massima pressione ereditata dal governo Trump e 2) non è stata adottata alcuna flessibilità durante i primi 16 mesi, in coincidenza con la fase più complessa della pandemia nella nazione cubana. Diversi accademici e specialisti che valutano questa tematica hanno argomentato che una delle ragioni chiave che spiega questa situazione è il fattore politico-elettorale. Sono arrivati ​​a qualificarlo come: “la paura della Florida”.

Questo approccio conduce essenzialmente a prospettare che il governo Biden, per più di un anno, ha stimato che realizzare qualsiasi flessibilità nella politica verso Cuba, per minima che fosse, avrebbe implicato l’assunzione di costi politici verso i votanti cubano-americani. È una visione che cerca di spiegare la proiezione conflittuale del governo USA partendo dall’interesse strategico che rappresenta per la Casa Bianca che il Partito Democratico vinca gli incarichi pubblici oggetto di elezione nelle prossime elezioni di medio termine a livello di governatorato della Florida, il seggio senatoriale in disputa e i posti come rappresentanti al Congresso Federale. Nel raggiungimento di questi scopi, si attribuisce un ruolo chiave agli elettori cubano-americani.

In sostanza e partendo da questa logica, sembra che la posizione “più intelligente”, prevalsa a Washington, sia stata la necessità di preservare intatta la politica di Trump verso Cuba come elemento chiave per raggiungere tali obiettivi. Realmente “non fare niente” costituiva una decisione molto strana e sospetta se l’obiettivo era quello di influire ed attrarre verso il Partito Democratico un elettorato con inclinazione repubblicana e, soprattutto, seguace del trumpismo. Qualsiasi stratega elettorale con un livello basico di informazione potrebbe concludere che questo approccio non portava ad alcun risultato. L’immobilismo come strategia di fronte ad un processo elettorale non funziona e manca di una base logica. L’usuale in questo scenario è cercare di distinguersi proponendo una politica diversa che contribuisca a connettersi con l’elettorato e che sia capace di riflettersi nelle urne.

In questo senso è necessario porsi una prima domanda: quali misure di flessibilità nella politica verso Cuba avrebbero favorito i votanti cubano-americani? Secondo il sondaggio della Florida International University (FIU), condotto nel mezzo della campagna elettorale del 2020, la maggioranza di questi elettori era d’accordo nel revocare, temporaneamente durante la pandemia, le sanzioni imposte dal blocco (60%); ristabilire il rilascio dei visti presso l’Ambasciata USA all’Avana (62%); riprendere il Programma di Riunificazione Familiare (60%); promuovere strategie volte a migliorare il benessere economico del popolo cubano (78%) e ristabilire i voli verso le province (65%).

Una valutazione completa di questi dati indica che il governo Biden contava sul sostegno maggioritario tra gli elettori cubano-americani per adottare misure per allentare la politica verso Cuba dall’inizio del suo mandato presidenziale alla fine di gennaio 2021. Sebbene molti di questi elettori abbiano votato per Trump e abbiano sostenuto la sua agenda di politica interna, erano anche d’accordo che fossero prese misure specifiche a beneficio dei loro parenti a Cuba a causa dei loro solidi legami che si riflettevano nel fatto che oltre il 50% di questi votanti si recava sull’isola e il 48% inviava rimesse.

Pertanto, i forti legami di sangue ed affettivi erano una motivazione sufficiente per spiegare l’apparente contraddizione che consisteva nel fatto che cubano-americani, dichiarati apertamente trumpisti, favorissero queste misure. Tenendo conto di questi elementi, non era né logico né coerente che Biden e la sua squadra “avesse paura” di come queste flessibilizzazioni avrebbero avuto impatto sulla maggioranza dell’elettorato cubano-americano. Il governo USA non correva alcun tipo di rischio politico se avesse accettato di fornire medicinali, ossigeno, attrezzature mediche e altre misure umanitarie durante il picco pandemico a Cuba. Perché Biden non ha colto questa opportunità e l’ha convertita in guadagno elettorale?

Il fatto di non adottare, in quel momento, questi passi non era associato a una logica elettorale, bensì alla percezione che qualsiasi sollievo per la situazione del popolo cubano potesse essere controproducente con la sua politica di soffocamento e di massima pressione in un contesto che interpretavano come molto vantaggioso per i propri interessi. Il prolungo processo di revisione della politica e la mancanza di determinazione della Casa Bianca nella sua proiezione verso Cuba, non rispondevano a calcoli di eventuali costi politici elettorali per le elezioni del 2022 e 2024, bensì ad un apprezzamento di ciò che consideravano il modo più efficace per influire sulla situazione interna cubana e scatenare processi che avrebbero portato al preteso “cambio di regime” come obiettivo finale. Era una sorta di “opportunità unica”.

I risultati dell’indagine della UIF evidenziano inoltre che non era necessario prorogare l’annuncio delle misure fino al 16 maggio di quest’anno. Dal momento stesso in cui Biden è entrato in carica, erano create tutte le condizioni affinché la maggioranza dell’elettorato cubano-americano sostenesse il ristabilimento del Programma di Riunificazione Familiare, riprendere i voli verso le province, ristabilire il rilascio dei visti all’Avana, oltre a rendere possibile un meccanismo ufficiale per l’invio delle rimesse alle loro famiglie e al settore privato a Cuba. Pertanto, anche questi annunci tardivi non rispondono a una logica elettorale, bensì sono associati, in primo luogo, a ragioni di sicurezza nazionale a partire dall’aumento significativo e senza precedenti del flusso di emigranti cubani verso gli USA in un periodo di sei mesi.

D’altra parte, esiste un “mito” e una narrazione che cerca di stabilire come un fatto indiscutibile che il voto dei cubano-americani sia condizionato e direttamente collegato alla posizione che i diversi candidati esibiscono sulla politica verso Cuba. Questa affermazione è lungi dall’essere vera e non è supportata da alcuna prova al di là della riproduzione di una credenza promossa dai settori più estremisti che sono riusciti a confondere e creare questa percezione nei politici che richiedono sottoporsi al vaglio dei votanti del Sud dalla Florida. Ciò si riduce al fatto che l’unico modo per conquistare quel segmento di elettorato è “promuovere la linea dura” e andare a patti con i settori estremisti.

Il Partito Democratico è da molto tempo vittima di questa specie di “sindrome”. Le ricerche e i risultati delle inchieste condotte dal professore della UIF, Guillermo J. Grenier, hanno dimostrato che le motivazioni dei cubano-americani quando esercitano il loro voto non considerano la politica verso Cuba tra i temi più importanti. Questi elettori si concentrano principalmente su temi di politica interna, che è la tendenza che prevale tra i votanti a livello nazionale. Nel sondaggio realizzato del 2018, quando agli intervistati è stato chiesto di classificare i loro problemi in ordine di priorità, la risposta è stata la seguente: economia e lavoro, assistenza sanitaria, controllo delle armi, tasse e spesa, immigrazione, politica estera e politica verso Cuba.

Nell’indagine condotta a fine 2020, l’ordine era il seguente: economia, assistenza sanitaria, relazioni razziali, immigrazione, politica verso la Cina e politica verso Cuba. Tenendo conto di questi risultati, il professor Grenier ha affermato: “sembra improbabile che un singolo cubano-americano voti per un candidato, o segua un partito, semplicemente perché coincidono con le politiche USA verso Cuba. Altre preoccupazioni politiche sembrano essere motivatori più importanti”.

Negli studi realizzati da questo professore, si è dimostrato che negli ultimi 15 anni esiste una relazione diretta tra la politica promossa dalla Casa Bianca verso Cuba e la posizione dei cubano-americani sulle relazioni tra Washington e l’Avana. L’esempio più esemplificativo è stato durante la presidenza di Barack Obama, ciò che si evidenzia con il seguente dato: nel 2007 il 64% dei cubano-americani sostenevano il blocco e nel 2016 solo il 39% ha mantenuto quella posizione. La lezione è che la dirigenza presidenziale ha la capacità di incidere sul comportamento politico di quella comunità nel sud della Florida per quanto riguarda le relazioni con Cuba.

Attualmente, le tendenze politiche che prevalgono tra i votanti cubano-americani mostrano il sostegno della maggioranza alla politica di massima pressione di Trump. Nell’ultimo sondaggio effettuato su questo segmento elettorale, nel marzo 2021 da Bendixen & Amandi International, i dati hanno mostrato che il 66% sosteneva il blocco, il che significa una retrocessione significativa delle posizioni simili alla fase della presidenza di George W. Bush. Inoltre, un 65% ha sostenuto più misure unilaterali per “forzare un cambio di regime a Cuba”.

L’ambiente politico che si sta vivendo nel sud della Florida e, soprattutto, in quel complesso micromondo di votanti cubano-americani come risultato del fattore Trump e dell’incapacità del Partito Democratico di trovare una strategia che gli permetta di invertire le tendenze che prevalgono in questo tipo di elettori, non dà praticamente opzione a Biden di incidere sul voto cubano-americano.

In pratica è un elettorato che ha perso e nessun provvedimento, adottato dalla Casa Bianca, avrà la capacità di modificare il suo comportamento elettorale, almeno fino alle prossime elezioni di novembre. Se Biden e la sua squadra aspirano a cambiare questa situazione non dipende solo dal tema Cuba bensì dovranno rimuovere le fondamenta di un Partito Repubblicano che ogni giorno mette più radici in Florida. Esiste un dibattito ben argomentato sul fatto che questo stato tradizionalmente pendolare potrebbe convertirsi, a partire dai risultati delle elezioni di novembre, in un territorio repubblicano.

In qualsiasi aritmetica elettorale legata al sud della Florida, il tema Cuba sarà necessariamente presente. Per questa ragione è significativo tenere a mente queste parole che il professor Grenier ha scritto con ragione e perspicacia: “È estremamente improbabile che una larga parte dell’elettorato cubano-americano graviti verso il Partito Democratico semplicemente perché mantiene un atteggiamento bellicoso verso Cuba. Finché Biden non stabilisca e implementi la sua propria visione, continuerà a promuovere un ordine di cose definito da Trump”.


EL FACTOR ELECTORAL EN LA POLÍTICA DE BIDEN HACIA CUBA: EL “MIEDO” A LA FLORIDA

Rafael Gonzalez Morales

En el proceso de conformación de la política de Biden hacia Cuba existen dos hechos muy evidentes: 1) se decidió mantener la política de máxima presión heredada del gobierno de Trump y 2) no se adoptó ninguna flexibilización durante los primeros 16 meses coincidiendo con la etapa más compleja de la pandemia en la nación cubana. Varios académicos y especialistas que evalúan esta temática, han argumentado que una de las razones clave que explica esta situación es el factor político-electoral. Han llegado a calificarlo como: “el miedo a la Florida”.

Este enfoque conduce esencialmente a plantear que el gobierno de Biden durante más de un año estimó que realizar cualquier flexibilización en la política hacia Cuba, por mínima que fuera, implicaría asumir costos políticos de cara a los votantes cubanoamericanos. Es una visión que trata de explicar la proyección confrontacional del gobierno estadounidense partiendo del interés estratégico que representa para la Casa Blanca que el Partido Demócrata gane los cargos públicos sometidos a elección en los próximos comicios de medio término a nivel de la gobernatura de la Florida, el escaño senatorial en disputa y los puestos para representantes al Congreso Federal. En el cumplimiento de esos propósitos, se le atribuye un papel clave a los electores cubanoamericanos.   

En esencia y partiendo de esta lógica, parece que la posición “más inteligente” que prevaleció en Washington fue la necesidad de preservar intacta la política de Trump hacia Cuba como elemento clave para lograr esos objetivos. Realmente “no hacer nada” constituía una decisión muy extraña y sospechosa si la meta era influir y atraer hacia el Partido Demócrata a un electorado con inclinación republicana y, en especial, seguidora del trumpismo. Cualquier estratega electoral con un nivel básico de información, podría concluir que ese enfoque no conducía a ningún resultado. El inmovilismo como estrategia de cara a un proceso eleccionario no funciona y carece de fundamento lógico. Lo usual en este escenario, es tratar de distinguirse proponiendo una política diferente que contribuya a conectar con el electorado y que sea capaz de reflejarse en las urnas.        

En ese sentido, es necesario plantearse una primera interrogante: ¿Qué medidas de flexibilización en la política hacia Cuba favorecían los votantes cubanoamericanos? Según la encuesta de la Universidad Internacional de la Florida (FIU) realizada en plena campaña electoral del 2020, la mayoría de estos electores estaban de acuerdo en levantar temporalmente durante la pandemia las sanciones impuestas por el bloqueo (60%); restablecer la emisión de visados en la Embajada de Estados Unidos en La Habana (62%); retomar el Programa de Reunificación Familiar (60%); promover estrategias diseñadas para mejorar el bienestar económico del pueblo cubano (78%) y restablecer los vuelos a provincia (65%).

Una evaluación integral de estos datos, indica que el gobierno de Biden contaba con el apoyo mayoritario dentro de los electores cubanoamericanos para adoptar medidas de flexibilización en la política hacia Cuba desde el inicio de su mandato presidencial a finales de enero del 2021. Aunque muchos de estos electores votaron por Trump y respaldaron su agenda de política interna, también estaban de acuerdo en que se tomaran medidas puntuales que beneficiaran a sus familiares en Cuba debido a sus sólidos lazos que se reflejaban en que más del 50% de estos votantes viajaban a la Isla y el 48% enviaban remesas.

Por lo tanto, los fuertes vínculos sanguíneos y afectivos eran una motivación suficiente para explicar la aparente contradicción que consistía en que cubanoamericanos declarados abiertamente trumpistas favorecieran estas medidas. Teniendo en cuenta estos elementos, no era lógico ni consistente que Biden y su equipo “sintiera miedo” de cómo impactarían estas flexibilizaciones en la mayoría del electorado cubanoamericano. El gobierno estadounidense no corría ningún tipo de riesgos políticos si hubiera accedido a facilitar medicinas, oxígeno, equipamiento médico y otras medidas de carácter humanitario durante el pico pandémico en Cuba. ¿Por qué Biden no aprovechó esta oportunidad y la convertía en ganancia electoral?

El hecho de no adoptar estos pasos en ese momento no estuvo asociado a una lógica electoral, sino a una percepción de que cualquier alivio para la situación del pueblo cubano podría ser contraproducente con su política de asfixia y máxima presión en un contexto que interpretaban como muy ventajoso para sus intereses. El prolongado proceso de revisión de la política y la falta de determinación de la Casa Blanca en su proyección hacia Cuba, no respondían a cálculos de eventuales costos político electorales de cara a los comicios de 2022 y 2024, sino a una apreciación sobre lo que consideraron sería la manera más efectiva para influir en la situación interna cubana y desencadenar procesos que condujeran al pretendido “cambio de régimen” como objetivo final. Era una suerte de “oportunidad única”.   

Los resultados del sondeo de la FIU, también evidencian que no era necesario prolongar el anuncio de medidas hasta el 16 de mayo de este año. Desde el mismo instante en que Biden tomó posesión de su cargo, estaban creadas todas las condiciones para que la mayoría del electorado cubanoamericano respaldara el restablecimiento del Programa de Reunificación Familiar, retomar los vuelos a las provincias, restablecer la emisión de visados en La Habana, así como viabilizar un mecanismo oficial para el envío de remesas a sus familiares y para el sector privado en Cuba. Por lo tanto, estos anuncios tardíos tampoco responden a una lógica electoral sino que están asociados en primera instancia a razones de seguridad nacional a partir del incremento significativo y sin precedentes del flujo de emigrantes cubanos hacia Estados Unidos en un período de seis meses.

Por otro lado, existe un “mito” y una narrativa que trata de establecer como un hecho indiscutible que el voto de los cubanoamericanos está condicionado y vinculado directamente con la posición que exhiban los diferentes candidatos sobre la política hacia Cuba. Esta afirmación está muy lejos de ser cierta y no está sustentada en ninguna evidencia más allá de la reproducción de una creencia promovida por los sectores más extremistas que han logrado confundir y crear esta percepción en los políticos que requieren someterse al escrutinio de los votantes del Sur de la Florida. Esto se reduce a que la única forma de ganar ese segmento del electorado es “promover la línea dura” y pactar con los sectores extremistas.

El Partido Demócrata ha sido víctima de esta especie de “síndrome” durante largo tiempo. Las investigaciones y los resultados de encuestas realizadas por el profesor de la FIU, Guillermo J. Grenier, han demostrado que las motivaciones de los cubanoamericanos cuando ejercen su voto no contemplan la política hacia Cuba dentro de los temas más importantes. Estos electores se enfocan principalmente en temas de política interna que es la tendencia que prevalece en los votantes a nivel nacional. En el sondeo realizado en el 2018 cuando se le preguntó a los encuestados que identificaran sus temas por orden de prioridad, la respuesta fue la siguiente: la economía y el empleo, la atención médica, el control de armas, los impuestos y el gasto, la inmigración, la política exterior y la política hacia Cuba.

En la encuesta realizada a finales del 2020, el orden fue el siguiente: la economía, atención médica, relaciones raciales, inmigración, política hacia China y política hacia Cuba. Teniendo en cuenta estos resultados, el profesor Grenier ha afirmado: “parece poco probable que un cubanoamericano individual vote por un candidato, o siga a un partido, simplemente porque coinciden con las políticas de Estados Unidos hacia Cuba. Otras preocupaciones políticas parecen ser motivadores más importantes”.

En los estudios realizados por este profesor se ha demostrado que en los últimos 15 años existe una relación directa entre la política que promueve la Casa Blanca hacia Cuba y la posición de los cubanoamericanos sobre las relaciones entre Washington y La Habana. El ejemplo más ilustrativo fue durante la presidencia de Barack Obama, lo que se evidencia con el siguiente dato: en el 2007 el 64% de los cubanoamericanos apoyaban el bloqueo y en el 2016 solo un 39% mantenía esa posición. La lección es que el liderazgo presidencial tiene la capacidad de incidir en el comportamiento político de esa comunidad al Sur de la Florida en lo que se refiere a las relaciones con Cuba.  

En la actualidad, las tendencias políticas que prevalecen en los votantes cubanoamericanos evidencian respaldo mayoritario a la política de máxima presión de Trump. En la última encuesta realizada a ese segmento electoral en marzo del 2021 por Bendixen & Amandi International, los datos reflejaron que un 66% apoyaba el bloqueo lo que significa un retroceso significativo de las posiciones similar a la etapa de la presidencia de George W Bush. También un 65% apoyaron más medidas unilaterales para “forzar un cambio de régimen en Cuba”.

El ambiente político que se está viviendo en el Sur de la Florida y, en especial, dentro de ese micromundo complejo de los votantes cubanoamericanos como resultado del factor Trump y de la incapacidad del Partido Demócrata para encontrar una estrategia que le permita revertir las tendencias que prevalecen en este tipo de electores, no le da prácticamente opciones a Biden de incidir en el voto cubanoamericano.

En términos prácticos es un electorado que lo tienen perdido y ninguna medida que adopte la Casa Blanca tendrá la capacidad de modificar su comportamiento electoral, al menos, hasta las próximas elecciones de noviembre. Si Biden y su equipo, aspiran a modificar esta situación no depende solamente del tema Cuba sino que tendrán que remover los cimientos de un Partido Republicano que cada día echa más raíces en la Florida. Existe un debate bien argumentado que este estado tradicionalmente pendular, podría convertirse a partir de los resultados de las elecciones de noviembre en un territorio republicano.     

En cualquier aritmética electoral vinculada al Sur de la Florida, el tema Cuba estará presente necesariamente. Por esa razón, resulta significativo tener en cuenta estas palabras que ha escrito el profesor Grenier con toda razón y agudeza: “Es extremadamente improbable que gran parte del electorado cubanoamericano gravite hacia el Partido Demócrata simplemente porque mantiene una actitud beligerante hacia Cuba. Hasta que Biden no establezca e implemente su propia visión, continuará promoviendo un orden de cosas definido por Trump”.

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