Un decennio di presidenza di Nicolas Maduro: 10 traguardi

 misionverdad.com

Il presidente Nicolás Maduro ha compiuto 10 anni dalla sua prima elezione alla carica. Senza dubbio, la sua permanenza è di per sé un traguardo estremamente significativo, dando per scontati tutti gli eventi che hanno avversato la sua investitura, le istituzioni venezuelana e la società.

Questo anniversario richiede un’analisi dettagliata degli aspetti più rilevanti di questo periplo. Che sarebbe anche, e per difetto, una sintesi della realtà venezuelana, della situazione nazionale da Paese sotto assedio e del modo in cui il governo Maduro ha prevalso, contro tante previsioni.

  1. IL 14 APRILE

Le elezioni presidenziali del 14 aprile 2013 sono state precedute dalla morte del Comandante Hugo Chávez. Il clima politico nazionale era pienamente delineato dallo stato socio-psichico dello sconcerto. In una breve corsa elettorale, il chavismo si è impegnato a sviluppare una campagna politica che doveva essere efficace.

A differenza delle altre elezioni che l’avevano preceduta, questa esigeva il costante richiamo di Chávez, ma anche Maduro doveva essere collocato nella dirigenza  politica come una figura con le proprie qualità.

Sebbene Nicolás Maduro avesse svolto funzioni come presidente del parlamento e cancelliere della repubblica, non era un dirigente elettorale di statura nazionale. Il suo principale punto di forza è stato l’essere stato delegato da Chávez a guidare il Paese in sua assenza.

Le settimane che hanno preceduto le elezioni del 14 aprile sono state considerate di grande “vulnerabilità” politica per il chavismo. I nemici del paese concepivano il potere politico come uno spazio “vincolato” esposto all’assalto mediante la via elettorale incarnata da Henrique Capriles Radonski. Ma Maduro è riuscito a guidare il chavismo come nuovo referente nelle peggiori circostanze.

Seppure con uno stretto margine elettorale, consolida il primo traguardo della sua epoca politica: ottenere la presidenza del Paese.

  1. UNO STILE PROPRIO

Il primo atto di resilienza del chavismo nell’era Maduro è stato quello di incamminarsi verso il progressivo superamento della partenza fisica del Comandante Chávez per assumere il suo nome come simbolo, modello, referente da seguire: sintesi di un’eredità collettiva da proteggere.

Da allora, il Presidente è stato chiaro sulla necessità di sostenere Chávez e la sua opera come punti cardinali, ma allo stesso tempo ha dato proprio marchio e stile al suo ruolo di Capo di Stato e dirigente politico, di fronte a un paese che cambiava contemporaneamente agli eventi.

Da un punto di vista politologico, il cambio di epoca ha richiesto un nuovo significato dello stesso chavismo. Questo avrebbe dovuto acquisire nuove varianti senza abbandonare le sue chiavi fondanti per rieditarsi come offerta politica.

Ha saputo proporlo dal suo marchio di “primo presidente chavista” del Paese. Con distinzioni non secondarie: da Caracas, ex autista di autobus, con un suo stile nel parlare e con i suoi modi di fare politica “caraibica”.

Ha ottenuto dare il proprio nome al suo mandato.

  1. VITTORIE POLITICHE

Il presidente Maduro è stato definito “L’autista delle vittorie”, denominazione che comprende molti ambiti ma che è stata utilizzata soprattutto in contesti elettorali.

Fatta eccezione per le elezioni parlamentari del 2015, con risultati fatidici per il chavismo e per il Paese, il presidente ha condotto i partiti del chavismo a nette vittorie elettorali in nove eventi, tra cui due elezioni presidenziali e parlamentari del 2020, due elezioni regionali e un’elezione a un’Assemblea Nazionale Costituente.

Sebbene il chavismo (e allo stesso modo l’opposizione) abbia progressivamente perso la sua base elettorale, il dirigente politico è riuscito ad attuare efficacemente le condizioni elettorali diffondendo l’azione politica, territorializzando e settorizzando l’organizzazione elettorale del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV).

  1. IL PRESIDENTE PIÙ CRIMINALIZZATO NELLA STORIA DEL VENEZUELA

Vale la pena ricordare alcuni punti che riferiscono, in modo indiscutibile, che l’assedio al mandato del presidente Maduro è stato costante, raggiungendo categorie inedite, irrazionali, al di là di ogni paragone.

Nel 2017, il parlamento allora in ribellione ha compiuto uno degli atti più assurdi che si siano visti nella storia legislativa repubblicana. Hanno dichiarato “l’abbandono della carica” del presidente Maduro, che era in pieno esercizio, come giustificazione per la sua destituzione. Ciò non aveva alcuna coerenza, ma era un mandato USA per creare le condizioni per l’assedio del paese, poiché era lì che risiedeva il carattere di “illegittimità” che essi sostenevano.

Maduro è l’unico presidente della storia a cui sia stato organizzato un “processo” nazionale all’estero, senza la sua presenza ed esercitando tutte le funzioni del suo ufficio. Nel 2018, il Congresso colombiano ha prestato le sue strutture affinché il cosiddetto “tribunale supremo in esilio”, insieme all’ex procuratrice latitante Luisa Ortega Díaz, potesse svolgere un processo espresso contro il presidente, dove è stato criminalizzato, condannato e ordinato il suo arresto.

Nel marzo 2020, il procuratore generale USA, William Barr, ha criminalizzato il presidente Maduro, accusandolo di essere un “trafficante di droga e finanziatore del terrorismo” e gli ha messo una taglia sulla testa di 15 milioni di $, al fine di innescare azioni internazionali per catturarlo.

Il presidente Maduro è stato oggetto di denunce da parte dei dirigenti dell’opposizione venezuelana davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI) per presunti “crimini contro l’umanità”. Denunce che, pur non avendo prodotto risultati concreti, sono state forgiate nella fabbricazione di un fascicolo politico, comunicativo e giudiziario a suo carico.

Come è evidente, tutti questi dispositivi di potere pseudo-istituzionali, pratiche di lawfare e misure aggressive non hanno sortito alcun effetto.

  1. “TUTTE LE OPZIONI SONO SUL TAVOLO”

Il suo mandato è stato il più assediato nella storia repubblicana del paese. Non ci sono registrazioni di tali livelli di ingerenza esterna in Venezuela, in 200 anni, che possano essere paragonati al livello di intromissione come quello che il governo USA ha diretto contro il paese bolivariano nell’ultimo decennio.

All’inizio del 2019, il presidente USA, Donald Trump, ha dichiarato che “tutte le opzioni sono sul tavolo” alludendo a un intervento militare USA nel Paese.

Ciò può corroborarsi dal fatto che, di recente, ex alti funzionari USA hanno pubblicato libri in cui hanno confessato che l’opzione militare contro il Venezuela era reale. Lo hanno spiegato in dettaglio Mark Esper (ex Segretario del Dipartimento della Difesa), Mike Pompeo (ex Segretario del Dipartimento di Stato) e John Bolton (ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale) e tutti hanno dichiarato che il cosiddetto “governo ad interim” guidato da Juan Guaidó ha chiesto l’intervento straniero davanti allo stesso Donald Trump.

  1. MADURO “HA SCOLORITO” LE RIVOLUZIONI COLORATE IN VENEZUELA

Negli anni 2014 e 2017 in Venezuela sono state eseguite operazioni su larga scala consistenti nello sviluppo di disordini sociali, violenze generalizzate e rottura istituzionale, chiamate colloquialmente “guarimbas”.

Si trattava di rivoluzioni colorate, operazioni sperimentate nello spazio ex-sovietico e dispiegate, in versione migliorata, in Venezuela -e ad altre latitudini del mondo- sotto l’apparenza di esplosioni sociali.

In entrambi i casi, il presidente Maduro è riuscito ad articolare la politica dello Stato a livelli molto sofisticati, sviluppando l’uso differenziato e proporzionato della forza, dell’intelligence, del controspionaggio, delle misure istituzionali e della risposta politico-sociale.

Queste operazioni, che avrebbero fatto cadere qualsiasi governo del mondo, sono fallite in Venezuela, data l’accumulazione di esperienza della dirigenza e del presidente Maduro.

Il presidente venezuelano ha contato su una inappellabile competenza che si è costruito come operatore politico del presidente Chávez e come articolatore dell’istituzionalità nazionale. Comprende il metabolismo degli eventi, i metodi dei suoi avversari e i dettagli dell’intricata arte della guerra nelle sue nuove varianti multidimensionali.

  1. “LI ABBIAMO FATTI FALLIRE”

Il 30 aprile 2019, il Venezuela si è svegliato con la patetica immagine di Juan Guaidó e Leopoldo López sul cavalcavia Altamira, di fronte alla Base Aerea La Carlota nella parte orientale di Caracas. Quel giorno è stata dispiegata la fallita “Operazione Libertà”, un classico tentativo di golpe militare. Guaidó invitava le forze armate a schierarsi con lui e dopo ore non è accorso nessuno, non c’è stato trambusto e alcuni dei coinvolti erano già detenuti.

Quella notte, una volta disarticolata l’operazione, il presidente Maduro ha affermato che il golpe era fallito “perché li abbiamo fatti fallire”. Ha detto che il tentativo di golpe era stato completamente disarticolato e che dalla sua attuazione era destinato alla sconfitta.

In realtà, quel giorno, l’intelligence venezuelana ha giocato a carte e ha battuto l’intelligence USA. Elliott Abrams, che fungeva da Rappresentante Speciale dell’amministrazione Trump per il Venezuela, ha ammesso che alcune autorità venezuelane li hanno truffati, “negoziavano la partenza di Maduro e poi hanno spento i loro telefoni”, ha affermato. È evidente che avevano infiltrato il golpe ai massimi livelli. Lo stesso presidente ha dichiarato aver pienamente coordinato l’operazione.

Questo evento è traguardo enorme, ma non è l’unico. Il massimo governante venezuelano è riuscito a disarticolare ampiamente altre operazioni armate contro di lui.

Un altro esempio è avvenuto ai ponti di confine tra Venezuela e Colombia, nel 2019. Questo evento si proponeva il fallimento della Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) per consentire l’ingresso nel Paese di camion con presunti “aiuti umanitari” gestiti dagli USA. I militari dovevano ottemperare all'”ordine” del “presidente ad interim” e consentire l’ingresso, ma l’azione è fallita.

Nel maggio 2020 è stata eseguita l’ “Operazione Gedeon“, un’azione di mercenaria che ha inviato lance dalla Colombia, con paramilitari colombiani, ex soldati venezuelani ed ex soldati USA, tutti coordinati dall’appaltatrice mercenaria USA SilverCorp, gdiretta da Jordan Goudreau.

Questa operazione è stata accolta con il fuoco sulla costa venezuelana. In poche ore, la maggior parte dei mercenari attivi è stata catturata o uccisa in vari punti lungo la costa nazionale attraverso l’azione delle forze regolari, milizia bolivariana ed intelligence sociale. Nelle dichiarazioni ai media, il presidente Maduro ha affermato che “li abbiamo infiltrati ripetutamente”, alludendo al fatto che l’operazione era compromessa sin dal suo inizio. Ha anche aggiunto che la Drug Enforcement Administration (DEA) USA ha partecipato all’operazione attraverso legami con i trafficanti di droga colombiani.

Va aggiunto, a questo punto, che il presidente Maduro è stato anche oggetto di un altro evento senza precedenti. Nell’agosto 2018 è stato vittima di un attentato con droni armati, essendo questo il primo caso riportato nella storia di un tentativo di omicidio di presidente con questo metodo. Le forze di sicurezza sono riuscite a salvare la vita del presidente e, in seguito, si è scoperto che tutto era stato organizzato dal suolo colombiano.

Ha prevalso di fronte alle azioni delle forze paramilitari contro di lui. Questo ha varie spiegazioni di molteplici origini, ma sono innegabili le capacità che il presidente ha avuto di anticipare, di analizzare la realtà nazionale e imparare a individuare minacce interne ed esterne.

Inoltre, in Venezuela si è sviluppata un’architettura di sicurezza globale, che ha come epicentro l’unione civico-militare. Questo allineamento ha permesso alla repubblica di superare ogni attacco, ha garantito la continuità esistenziale del Paese e ha allontanato la popolazione dai grandi shock che si è cercato di fabbricare.

  1. IL BLOCCO ECONOMICO CONTRO IL PAESE

Il Venezuela è stato oggetto di un formidabile processo di militarizzazione dell’economia. Dal 2017, l’amministrazione di Donald Trump ha attuato un embargo lineare sulle fonti vitali dell’economia nazionale. Nel 2019 le pressioni economiche e finanziarie si sono intensificate, raggiungendo la categoria di “massima pressione”.

Una parte importante della base materiale del Paese è stata distrutta generando costi mai quantificati nella storia nazionale. La qualità dell’assedio contro il Venezuela sta nella forza del danno trasversale e indiscriminato che è stato inflitto al Paese, al punto che a causa del blocco del 2020 si è verificata una perdita del 99% delle valute che entravano nella nazione, incidendo gravemente sul bilancio pubblico.

Il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’economia venezuelana è diminuito del -25,5% nel 2019, anno con il calo peggiore.

Ma l’economia, il grande tallone d’Achille dell’era del presidente Maduro, inizierebbe a invertire la rotta nonostante tante previsioni.

Un insieme di azioni evasive del blocco, nuove politiche monetarie, azioni di promozione della produzione e di rafforzamento delle politiche sociali e della gestione di governo (nei limiti di bilancio) faciliterebbero le condizioni per la ripresa del PIL e il suo ritorno in territorio positivo da fine 2021.

Nell’ultimo trimestre del 2021, l’economia è balzata al 14,65% e la crescita accumulata dei primi tre trimestri del 2022 è stata del 17,75%. La parziale ripresa dei consumi, la riattivazione dei settori economici e la ripresa dell’attività bancaria hanno consentito lo sviluppo di scenari ottimistici di crescita per l’anno 2023 tra i 5 ed i 6 punti.

L’economia venezuelana è quella che è cresciuta di più nel continente americano nel 2022 e potrebbe essere tra quelle in più rapida crescita per il 2023. Secondo 18 fonti di analisi economica, il PIL venezuelano continuerà a crescere.

Nonostante il bilancio pubblico continui ad avere gravi debolezze, soprattutto per gli adeguamenti salariali e pensionistici, l’economia ha acquisito un metabolismo meno dipendente dalla rendita petrolifera. E questo va analizzato come parte delle proprie contraddizioni del soffocamento delle esportazioni di Stato.

Le possibilità di allentare il blocco, soprattutto gli accordi approvati attraverso licenze concesse dal governo USA ad alcuni operatori stranieri in Venezuela per l’estrazione e la commercializzazione del greggio, migliorano le prospettive, ma Maduro è stato enfatico nel far leva su un’economia “post-rendita”, focalizzata nello sviluppo di altre filiere produttive alternative al petrolio.

  1. IL RECUPERO DELLO SPAZIO INTERNAZIONALE

Quasi 60 paesi hanno articolato il riconoscimento del cosiddetto “governo ad interim” disconoscendo il presidente Nicolás Maduro nel 2019. Solo tre anni dopo, il contesto era cambiato diametralmente.

L’esempio più concreto di ciò si ha nell’Organizzazione delle Nazioni Nazioni Unite (ONU), dove la missione diplomatica inviata dal Governo bolivariano è ora ampiamente riconosciuta e nel 2022 solo quattro paesi affermavano di riconoscere Juan Guaidó.

Inoltre, il governo del presidente Maduro ha ripreso il suo posto in eventi internazionali come il Vertice Iberoamericano di Andorra nel 2021 e la visita del presidente in Messico, nel settembre dello stesso anno, per un nuovo Vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC).

Nel corso del 2022, il Venezuela ha ripreso le relazioni con la Colombia attraverso un’agenda delineata da un chiaro dinamismo. Progressivamente, in questi anni, il Venezuela ha ripreso i legami con Bolivia, Argentina, Brasile e Cile, tra altri paesi, già membri dell’effimero “Gruppo di Lima“, creato al solo scopo di isolare il Venezuela nella regione.

L’anno 2022 avrebbe avuto una maggiore inflessione nella politica estera venezuelana. Il primo dirigente nazionale ha coordinato la visita di funzionari dell’Amministrazione Biden al Palazzo Miraflores, studiando la fattibilità della distensione politica ed economica e superando l’inerzia dello stallo, visto che il presidente ha dichiarato il governo USA come il reale attore dietro l’opposizione al suo governo.

Nel novembre dello scorso anno, nell’ambito del Vertice sui Cambiamenti Climatici in Egitto, il presidente francese Emmanuel Macron si è rivolto a Maduro chiamandolo “presidente” in un effusivo e mediatico saluto. Macron ha mediato un incontro tra i negoziatori venezuelani del chavismo e l’opposizione a Parigi, dove erano presenti anche i presidenti Gustavo Petro della Colombia e Alberto Fernández dell’Argentina. Per Macron, l’interesse è stato quello di promuovere le attività di commercio di petrolio con il Venezuela, una situazione impensabile solo tre anni prima.

I processi di riconquista dello spazio internazionale da parte del Venezuela non sono frutto del caso. In realtà, è un processo di logoramento dell’agenda contro il Paese. L’isolamento promosso si è indebolito allo stesso ritmo con cui il presidente Maduro è riuscito a indebolire il “governo ad interim”.

Allo stesso modo, è stato promotore della rottura del consenso sul blocco del Venezuela. Ha creato, davanti e dietro le quinte, molte associazioni e collegamenti per promuovere la posizione del Paese e rendere politicamente irrealizzabile la continuità delle misure coercitive che sono state attuate contro la nazione.

Fondamentale, in questo senso, è stato anche il legame che il Venezuela è riuscito a mantenere con i suoi alleati strategici, legami che lui stesso ha stretto fin dai tempi del suo lavoro come ministro degli Esteri durante l’era Chávez. Cina, Russia, Turchia, i paesi del blocco dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America – Trattato di Commercio dei Popoli (ALBA-TCP) e soprattutto Iran, sono stati fondamentali per lo sviluppo delle relazioni internazionali del Venezuela nei momenti di maggiore difficoltà.

Il presidente è riuscito a massimizzare questi legami, non solo in materia economica e commerciale; ha saputo anche approfittare di essi in campo politico per posizionare la condizione oggettiva della sua dirigenza sullo Stato venezuelano.

E’ riuscito a rilanciare il Venezuela come fattore inevitabile nelle relazioni regionali e al di là dell’Emisfero Occidentale, disattivando di fatto varie delle condizioni distruttive che si sono imposte mediante l’isolazionismo.

La “massima pressione” internazionale è fallita anche perché il dirigente del governo venezuelano l’ha fatta fallire.

  1. LA PACE COME BENE ASSOLUTO

Gli attacchi interni ed esterni contro il mandato del presidente Nicolás Maduro hanno avuto qualcosa in comune. Tutti hanno implicato, a diversi livelli e categorie, lo sviluppo di disordini sociali, la rottura dei legami sociali e la costruzione del caos in Venezuela.

L’eliminazione mediante la pressione (eliminazione del suo mandato, e persino della sua persona fisica) potrebbe significare una svolta -certamente incorreggibile- dei consensi elementari che governa il Paese. Le brusche circostanze avrebbero prodotto una rottura organica delle istituzioni, una dissoluzione dei contenzione e sarebbero andate perdute le condizioni elementari di regolazione sociale.

Se il presidente Maduro non avesse prevalso, molto probabilmente oggi il Paese sarebbe in guerra (civile).

In questo modo, un importante traguardo in questo decennio è stato l’aver costruito la pace nel Paese attraverso la propria continuità e l’aver sconfitto le azioni destituenti e di forza contro la sua investitura, contro le istituzioni.

Ci sono state molte volte in cui il Presidente ha implementato il dialogo politico, l’azione di forza differenziata  istituzionale, l’azione coercitiva all’interno dei canali governativi, al fine di manovrare le circostanze.

Tutte le volte che ha evocato “la pace come bene supremo” non c’è stata alcuna esagerazione.

Le condizioni molto avverse che ha affrontato il Venezuela sono atipiche e hanno fatto del Paese un luogo atipico, se visto da una prospettiva straniera. È un Paese dove, nonostante la crisi economica, non si è verificato un’esplosione sociale. È un paese che è stato costantemente spinto ad un conflitto civile e non vi ha ceduto. È un Paese dove la politica dentro dei canali regolari continua ad essere trasversale a tutti gli spazi.

Il presidente Maduro è stato giustamente uno sviluppatore della politica basata sul dissenso, ha creato condizioni persino per coloro che le avversano e le ha trasferite in tutti gli spazi vivi e nodali del Paese, rafforzando ogni forma di organizzazione socio-politica. Anche questo fa di Maduro un “dittatore” atipico, perché cavalca le contraddizioni della politica, ne approfitta e addirittura le promuove.

Analizzando a fondo i suoi metodi, è evidente che egli riconosce nella sana diatriba uno strumento per disinnescare la violenza e conquistare la pace.


A UNA DÉCADA DE LA PRESIDENCIA DE NICOLÁS MADURO: 10 HITOS

 

El presidente Nicolás Maduro ha cumplido 10 años de haber sido electo en el cargo por primera vez. Sin lugar a dudas, su permanencia es de por sí un hito sumamente significativo dando por descontados todos los eventos que han adversado su investidura, a las instituciones venezolanas y a la sociedad.

Este aniversario demanda un análisis al detalle de los aspectos más relevantes de este periplo. Lo que sería también, y por defecto, una síntesis sobre la realidad venezolana, la situación nacional como un país bajo asedio y la forma en que el gobierno de Maduro ha prevalecido, contra muchos pronósticos.

  1. EL 14 DE ABRIL

La elección presidencial del 14 de abril de 2013 estuvo precedida por la muerte del Comandante Hugo Chávez. El clima político nacional estaba plenamente delineado por el estado socio-anímico del desconcierto. En una corta carrera electoral, el chavismo se comprometió a desarrollar una campaña política que debía ser eficaz.

A diferencia de las demás elecciones que habían precedido, esta demandaba el recordatorio constante de Chávez, pero Maduro también debía ser situado en el liderazgo político como una figura con cualidades propias.

Aunque Nicolás Maduro había desempeñado funciones como presidente del parlamento y canciller de la república, no era un líder electoral de talla nacional. Su principal punto de fuerza fue haber sido delegado por Chávez para conducir al país en caso de su ausencia.

Las semanas previas a la elección del 14 de abril fueron consideradas de gran “vulnerabilidad” política del chavismo. Los enemigos del país entendían al poder político como un espacio “cautivo” expuesto al asalto mediante la vía electoral encarnada en Henrique Capriles Radonski. Pero Maduro logró conducir al chavismo como nuevo referente en las peores circunstancias.

Aunque con un estrecho margen electoral, consolida el primer hito de su tiempo político: lograr la presidencia del país.

  1. UN ESTILO PROPIO

El primer acto de resiliencia del chavismo en la era Maduro fue encaminarse a la superación progresiva de la partida física del Comandante Chávez para asumir su nombre como un símbolo, un modelo, un referente a seguir: síntesis de un legado colectivo a proteger.

Desde entonces, el Presidente ha tenido clara la necesidad de sostener a Chávez y su obra como puntos cardinales, pero al mismo tiempo ha dado marca y estilo propio a su rol como Jefe de Estado y líder político, frente a un país que cambiaba al compás de los eventos.

Desde un ángulo politológico, el cambio de era demandó un resignificado del propio chavismo. Este tendría que adquirir variantes nuevas sin abandonar sus claves fundacionales para reeditarse como oferta política.

Supo proponerlo desde su marca de “primer presidente chavista” del país. Con distinciones no menores: caraqueño, antiguo conductor de autobús, con un estilo propio de discurso y con maneras propias de “caribear” la política.

Logró darle denominación propia a su mandato.

  1. VICTORIAS POLÍTICAS

El presidente Maduro ha sido llamado “El conductor de victorias”, una denominación que incluye muchos ámbitos pero que se ha utilizado especialmente en contextos electorales.

Exceptuando las elecciones parlamentarias de 2015, con resultados fatídicos para el chavismo y para el país, el primer mandatario ha conducido a los partidos del chavismo en claras victorias electorales en nueve eventos, que incluyen dos elecciones presidenciales, parlamentarias de 2020, dos elecciones regionales y una elección a una Asamblea Nacional Constituyente.

Aunque el chavismo (e igualmente la oposición) ha perdido base electoral de manera progresiva, el líder político logró instrumentar con eficacia las condiciones electorales diseminando la acción política, territorializando y sectorizando la orgánica electoral del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV).

  1. EL PRESIDENTE MÁS CRIMINALIZADO EN LA HISTORIA DE VENEZUELA

Conviene mencionar algunos puntos que refieren, de manera indiscutida, que el asedio al mandato del presidente Maduro ha sido constante, alcanzando categorías inéditas, irracionales, fuera de todo parangón.

En el año 2017, el parlamento entonces en desacato realizó uno de los actos más absurdos que se hayan visto en la historia legislativa republicana. Declararon el “abandono del cargo” del presidente Maduro, quien estaba en pleno ejercicio, como justificativo para su destitución. Aquello no tenía coherencia alguna, pero era un mandato estadounidense para allanar condiciones para el asedio del país, pues ahí residía el carácter de “ilegitimidad” que le endosaban.

Maduro es el único presidente en la historia al cual se le organizó un “juicio” nacional en el extranjero, sin su presencia y ejerciendo plenas funciones de su cargo. En 2018, el Congreso de Colombia prestó sus instalaciones para que el llamado “tribunal supremo en el exilio”, junto a la exfiscal prófuga Luisa Ortega Díaz, hicieran un juicio exprés contra el presidente, donde se le criminalizó, sentenció y se ordenó su detención.

En marzo de 2020, el fiscal general de Estados Unidos, William Barr, criminalizó al presidente Maduro acusándolo de “narcotraficante y financiador del terrorismo” y le puso precio a su cabeza por 15 millones de dólares, con el fin de detonar acciones internacionales para capturarlo.

El presidente Maduro ha sido objeto de denuncias por dirigentes de la oposición venezolana ante la Corte Penal Internacional (CPI) por supuestos “crímenes de lesa humanidad”. Denuncias que, aunque no han surtido resultados concretos, se fraguaron en la fabricación de un expediente político, comunicacional y judicial en su contra.

Como es evidente, todos estos dispositivos de poder pseudo-institucionales, prácticas de lawfare y medidas agresivas no han surtido efecto.

  1. “TODAS LAS OPCIONES ESTÁN SOBRE LA MESA”

Su mandato ha sido el más asediado en la historia republicana del país. No hay registros de tales niveles de injerencia externa en Venezuela en 200 años que se pueda comparar con el nivel de intromisión como el que el gobierno estadounidense ha dirigido contra el país bolivariano en la última década.

A inicios de 2019, el presidente estadounidense Donald Trump afirmó que “todas las opciones están sobre la mesa” aludiendo a una intervención militar estadounidense en el país.

Esto pudo corroborarse dado que, recientemente, ex altos funcionarios estadounidenses han publicado libros donde han confesado que la opción militar contra Venezuela fue real. Mark Esper (exsecretario del Departamento de Defensa), Mike Pompeo (exsecretario del Departamento de Estado) y John Bolton (exasesor de Seguridad Nacional) lo han explicado a nivel de detalle y todos declararon que el llamado “gobierno interino” que encabezó Juan Guaidó solicitó la intervención extranjera ante el mismo Donald Trump.

  1. MADURO “DESTIÑÓ” LAS REVOLUCIONES DE COLOR EN VENEZUELA

En los años 2014 y 2017 se ejecutaron en Venezuela operaciones a gran escala que consistían en el desarrollo de la conmoción social, la violencia generalizada y el quiebre institucional, que fueron coloquialmente llamadas “guarimbas”.

Se trató de revoluciones de color, operaciones que se experimentaron en el espacio exsoviético y que se desplegaron en una versión mejorada en Venezuela -y en otras latitudes mundiales- bajo la apariencia de estallidos sociales.

En ambos eventos, el presidente Maduro logró articular la política de Estado a niveles muy sofisticados, desarrollando el uso diferenciado y proporcionado de la fuerza, la inteligencia, la contrainteligencia, medidas institucionales y la respuesta político-social.

Estas operaciones, que habrían hecho caer a cualquier gobierno del mundo, fracasaron en Venezuela, dado el acumulado de experticia de la dirigencia y del presidente Maduro.

El presidente venezolano ha contado con una inapelable pericia que construyó como operador político del presidente Chávez y como articulador de la institucionalidad nacional. Comprende el metabolismo de los eventos, los métodos de sus adversarios y los detalles del intrincado arte de la guerra en sus nuevas variantes multidimensionales.

  1. “LOS HICIMOS FRACASAR”

El día 30 de abril de 2019, Venezuela despertó con la estampa patética de Juan Guaidó y Leopoldo López sobre el elevado Altamira, frente a la Base Aérea La Carlota en el este de Caracas. Ese día se desplegó la fallida “Operación Libertad”, un intento de golpe militar clásico. Guaidó llamaba a la fuerza armada a ponerse de su lado y al paso de las horas nadie acudió, no hubo conmoción y ya algunos de los involucrados estaban detenidos.

Esa noche, una vez desarticulada la operación, el presidente Maduro afirmó que el golpe decayó “porque los hicimos fracasar”. Refirió que la intentona había sido desarticulada absolutamente y que desde su puesta en ejecución estaba condenada a la derrota.

En realidad, ese día, la inteligencia venezolana jugó a las cartas y le ganó a la inteligencia estadounidense. Elliott Abrams, quien fungía como Representante Especial del gobierno de Trump para Venezuela, admitió que algunas autoridades venezolanas los timaron, “negociaban la salida de Maduro y luego apagaron sus teléfonos”, afirmó. Es evidente que habían infiltrado el golpe al más alto nivel. El mismo presidente declaró haber coordinado enteramente la operación.

Este evento es un hito enorme, pero no es el único. El máximo gobernante venezolano ha logrado desarticular sobradamente otras operaciones armadas en su contra.

Otro ejemplo tuvo lugar en los puentes fronterizos entre Venezuela y Colombia en 2019. Este evento proponía el quiebre de la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) para dejar ingresar al país camiones con supuesta “ayuda humanitaria” gestionada por Estados Unidos. Los militares debían plegarse a la “orden” del “presidente interino” y permitir la entrada, pero la acción resultó fallida.

En mayo de 2020 se ejecutó la “Operación Gedeón”, una acción de tipo mercenaria que despachó lanchas desde Colombia, con paramilitares colombianos, exsoldados venezolanos y exsoldados estadounidenses, todos coordinados por la contratista mercenaria estadounidense SilverCorp, dirigida por Jordan Goudreau.

Esta operación fue recibida con fuego en las costas venezolanas. En solo horas, la mayoría de los activos mercenarios fueron capturados o dados de baja en diversos puntos de la costa nacional mediante la acción de fuerzas regulares, milicia bolivariana e inteligencia social. En declaraciones a los medios, el presidente Maduro afirmó que “los tenemos infiltrados hasta los teque-teques“, en alusión a que la operación estaba comprometida desde sus inicios. También añadió que la Administración para el Control de Drogas de Estados Unidos (DEA, sus siglas en inglés) participó en la operación mediante enlaces con narcotraficantes colombianos.

Conviene agregar en este punto que el presidente Maduro también fue objeto de otro evento inédito. En agosto de 2018 fue víctima de un atentado con drones artillados, siendo ese el primer caso reportado en la historia de intento de magnicidio mediante este método. Los cuerpos de seguridad lograron preservar la vida del mandatario y luego se reveló que todo había sido organizado desde suelo colombiano.

Ha prevalecido ante las acciones de fuerza paramilitarizada en su contra. Esto tiene diversas explicaciones de origen múltiple, pero son innegables las capacidades que ha tenido el presidente para anticiparse, para analizar la realidad nacional y aprender a identificar las amenazas internas y externas.

Además, en Venezuela se ha desarrollado una arquitectura de seguridad integral, que tiene como epicentro a la unión cívico-militar. Esta alineación ha permitido a la república superar todas las arremetidas, ha garantizado la continuidad existencial del país y ha alejado a la población de las grandes conmociones que se han intentado fabricar.

  1. EL BLOQUEO ECONÓMICO CONTRA EL PAÍS

Venezuela ha sido objeto de un formidable proceso de armamentización de la economía. Desde el año 2017, la administración de Donald Trump desplegó un embargo lineal a las fuentes vitales de la economía nacional. En el año 2019 recrudecieron las presiones económicas y financieras alcanzando la categoría de “máxima presión”.

Una importante parte de la base material del país ha sido destruida generando costos jamás cuantificados en la historia nacional. La cualidad del asedio contra Venezuela yace en la contundencia del daño transversal e indiscriminado que se le ha asestado al país, al punto de que a causa del bloqueo en 2020 se registró una pérdida de 99% de las divisas que ingresaban a la nación, afectando gravemente el presupuesto público.

El Producto Interno Bruto (PIB) de la economía venezolana se redujo un -25,5% en 2019, siendo el año de peor caída.

Pero la economía, el gran Talón de Aquiles de la era del presidente Maduro, comenzaría a variar pese a muchos pronósticos.

Un conjunto de acciones evasivas del bloqueo, nuevas políticas monetarias, acciones para el fomento de la producción y el afianzamiento de las políticas sociales y la gestión de gobierno (dentro de los límites presupuestarios) facilitarían las condiciones para la recuperación del PIB y su regreso a terreno positivo desde finales de 2021.

En el último trimestre de 2021, la economía saltó a 14,65% y el crecimiento acumulado de los primeros tres trimestres de 2022 fue de 17,75%. La recuperación parcial del consumo, la reactivación de los sectores económicos y la recuperación de las actividades de la banca han permitido el desarrollo de escenarios optimistas de crecimiento para el año 2023 entre los 5 y 6 puntos.

La economía venezolana es la que más creció en el continente americano en el año 2022 y podría situarse entre las que más crezcan para el año 2023. De acuerdo a 18 fuentes de análisis económico, el PIB venezolano seguirá creciendo.

Aunque el presupuesto público sigue contando con serias debilidades, especialmente para los ajustes de salarios y pensiones, la economía ha adquirido un metabolismo menos dependiente de la renta petrolera. Y ello debe analizarse como parte de las propias contradicciones de la asfixia a las exportaciones del Estado.

Las posibilidades de distensiones del bloqueo, especialmente los acuerdos aprobados mediante licencias otorgadas por el gobierno estadounidense a algunas operadoras extranjeras en Venezuela para la extracción y comercialización de crudo mejoran las perspectivas, pero Maduro ha sido enfático en el apalancamiento de una economía “post-rentista”, enfocada en el desarrollo de otras cadenas productivas alternas al petróleo.

  1. LA RECUPERACIÓN DEL ESPACIO INTERNACIONAL

Casi 60 países articularon el reconocimiento del llamado “gobierno interino” en desconocimiento al presidente Nicolás Maduro en el año 2019. Apenas tres años después, el contexto había cambiado de manera diametral.

El ejemplo más concreto de ello tiene lugar en la Organización de Naciones Unidas (ONU), donde la misión diplomática enviada por el Gobierno Bolivariano es ahora ampliamente reconocida y para 2022 solo cuatro países afirmaban reconocer a Juan Guaidó.

Adicionalmente, el gobierno del presidente Maduro retomó lugar en eventos internacionales como la Cumbre Iberoamericana de Andorra en 2021 y la visita del mandatario a México en septiembre de ese año para una nueva Cumbre de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y del Caribe (CELAC).

Durante 2022, Venezuela reanudó relaciones con Colombia mediante una agenda delineada por un claro dinamismo. Progresivamente, en estos años, Venezuela ha retomado vínculo con Bolivia, Argentina, Brasil y Chile, entre otros países, otrora integrantes del efímero “Grupo de Lima”, creado únicamente con el propósito de aislar a Venezuela en la región.

El año 2022 tendría una inflexión superior en la política exterior venezolana. El primer dirigente nacional coordinó la visita de funcionarios de la Administración Biden al Palacio de Miraflores, estudiando la viabilidad de distensiones políticas y económicas y superando la inercia del estancamiento, dado que el presidente ha declarado al gobierno estadounidense como el actor real detrás de la oposición a su gobierno.

En noviembre del año pasado, en el marco de la Cumbre para el Cambio Climático en Egipto, el presidente francés Enmanuel Macron se dirigió a Maduro como “presidente” en un efusivo y mediatizado saludo. Macron medió un encuentro entre los negociadores venezolanos del chavismo y la oposición en París, donde también estuvieron los mandatarios Gustavo Petro de Colombia y Alberto Fernández de Argentina. Para Macron, el interés ha sido impulsar actividades comerciales petroleras con Venezuela, una situación que era impensable apenas tres años antes.

Los procesos de retoma del espacio internacional por parte de Venezuela no son resultado de la casualidad. En realidad, se trata de un proceso de desgaste de la agenda contra el país. El aislamiento promovido se debilitó al mismo ritmo en que el presidente Maduro logró debilitar al “interinato”.

De igual manera, ha sido un promotor de la ruptura de los consensos sobre el bloqueo a Venezuela. Ha realizado, delante y tras bastidores, muchas asociaciones y vínculos para promover la postura del país e inviabilizar políticamente la continuidad de las medidas coercitivas que se han ejecutado en contra de la nación.

En este sentido, también ha sido clave el vínculo que Venezuela logró sostener con sus aliados estratégicos, lazos que él mismo ha labrado desde tiempos de su labor como canciller durante la era Chávez. China, Rusia, Türkiye, los países del bloque de la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América – Tratado de Comercio de los Pueblos (ALBA-TCP) y especialmente Irán, han sido claves para el desarrollo de las relaciones internacionales de Venezuela en los momentos de mayor dificultad.

El mandatario logró maximizar estos vínculos, no solamente en materia económica y comercial; también ha sabido aprovecharlos en el terreno político para posicionar la condición objetiva de su liderazgo sobre el Estado venezolano.

Logró relanzar a Venezuela como un factor inevitable en las relaciones regionales y más allá del Hemisferio Occidental, lo cual inhabilitó de facto varias de las condiciones destructivas que se impusieron mediante el aislacionismo.

La “máxima presión” internacional también fracasó porque el líder del gobierno venezolano la hizo fracasar.

  1. LA PAZ COMO BIEN ABSOLUTO

Algo han tenido en común las arremetidas internas y externas contra el mandato del presidente Nicolás Maduro. Todas han implicado, en diversos niveles y categorías, el desarrollo de la conmoción social, el quiebre de los vínculos sociales y la construcción del caos en Venezuela.

La eliminación mediante la presión (eliminación de su mandato, e incluso de su persona física) podría significar una inflexión -seguramente incorregible- de los consensos elementales que rigen al país. Las circunstancias abruptas habrían producido una ruptura orgánica de las instituciones, una disolución de las contenciones y se habrían perdido las condiciones elementales de la regulación social.

Si el presidente Maduro no hubiese prevalecido, muy probablemente el país estaría hoy en guerra (civil).

De esta manera, un importante hito en esta década fue haber labrado la paz en el país mediante su propia continuidad y habiendo derrotado las acciones destituyentes y de fuerza contra su investidura, contra las instituciones.

No han sido pocas las veces en que el Presidente ha instrumentado el diálogo político, la acción de fuerza diferenciada institucional, la acción coercitiva dentro de los canales de gobierno, para así maniobrar las circunstancias.

Todas las veces que ha evocado “la paz como bien supremo” no ha habido exageración.

Las condiciones tan adversas que ha lidiado Venezuela son atípicas y han hecho del país un lugar atípico, si se le mira desde una mirada extranjera. Es un país donde, pese a la crisis económica, no ha habido un estallido social. Es un país que ha sido constantemente empujado a un conflicto civil y no ha cedido ante ello. Es un país donde la política dentro de los canales regulares sigue siendo transversal a todos los espacios.

El presidente Maduro ha sido justamente un desarrollador de la política basada en el disenso, ha creado condiciones incluso para quienes le adversan y las ha trasladado a todos los espacios vivos y nodales del país afianzando todas las formas de organización socio-política. Esto también hace de Maduro un “dictador” atípico, porque cabalga las contradicciones de la política, las aprovecha y hasta las promueve.

Analizando a fondo sus métodos, es evidente que reconoce en la sana diatriba un instrumento para desactivar la violencia y ganar la paz.

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