Il giorno della marmotta con protagonista Maria Corina

Augusto Marquez

Il 28 giugno scorso è emerso che María Corina Machado è inabilitata, per 15 anni, dal presentarsi ed esercitare cariche pubbliche, la Contraloría Generale della Repubblica l’ha dettagliato in un documento in risposta alla richiesta del deputato dell’opposizione venezuelana, José Brito, di conoscere lo status amministrativo attuale dell’ex deputata.

Le reazioni alla notizia non hanno sorpreso, se non per la biforcazione, sempre presente, tra realtà e finzione che accompagna ogni evento intorno alla portavoce del partito fantasma Vente Venezuela e che venerdì è stata riconfermata.

Mentre, per le strade, quel giorno trascorreva normalmente, i tifosi di María Corina nelle reti sociali hanno trasformato il fatto in un evento quasi apocalittico in cui il paese era prossimo a paralizzarsi fino a quando la misura non fosse revocata, in una sorta di remake del noto e oligofrenico “tic toc” di Franklin Virgüez nel momento culmine dell'”operazione Guaidó”.

Quel venerdì di ipnosi collettiva nelle reti è stato, a sua volta, il prodotto immediato di un’altra maggiore idem (stessa cosa ndt), generata dal pregiudizio di conferma che hanno propiziato i suoi giri e i suoi appelli nell’ultimo mese dove, attraverso trucchi della fotocamera e luci del telefonini accesi nel mezzo dei suoi discorsi, è stata forgiata la credenza che avesse un genuino muscolo di mobilitazione sociale che si sarebbe attivato immediatamente quando lei e la sua truppa di Twitter lo avessero voluto.

Quello che è seguito alla notizia, invece, è stato il corrispondente bagno di realtà di una sequenza di riconoscimenti attraverso comunicati di personaggi, organizzazioni ed enti con impatto nullo sulla realtà politica venezuelana.

Su un’altra scala, le informazioni sulla sua inabilitazione hanno permesso di verificare, ancora una volta, che María Corina Machado ha la sua principale rete di persone sofferenti all’estero, che opera secondo principi di solidarietà di classe, potere e ideologia, e soprattutto interessi.

Ed è proprio lì che acquista peso reale la situazione intorno all’inabilitazione di Machado, dove lei è una delle variabili, non l’unica né la più importante.

USA e Unione Europea (UE) hanno respinto l’informazione della Contraloria utilizzando un gioco semantico uniforme che sottolinea che, alla fine, l’ex deputata è uno dei suoi numerosi veicoli di ingerenza, pressione e promozione di interessi in Venezuela.

Ma più importante della menzione diretta di Machado è il modo di rappresentare e interpretare l’atto di inabilitazione, e ciò che questo prefigura per le elezioni presidenziali previste per il prossimo anno in Venezuela. Proprio lì, Machado rimane anche esposta nella sua condizione di risorsa non rinnovabile da essere utilizzata a piacimento; come il resto della galassia dei dirigenti dell’antichavismo.

Mentre l’UE ha espresso, attraverso il suo alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, “la sua profonda preoccupazione per le decisioni che tentano di impedire ai membri dell’opposizione di esercitare i loro diritti politici fondamentali, come è stato il caso di María Corina Machado”, il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha indicato che la decisione “priva il popolo venezuelano dei diritti politici fondamentali”.

Entrambe le dichiarazioni sembrano essere state scritte nella stessa stanza.

La chiave delle stesse sta in ciò che omettono intenzionalmente. Si parla di presunti diritti politici violati, come se la inabilitazione non fosse una risposta ai diritti umani elementari della popolazione venezuelana che, in precedenza, sono stati violati durante la campagna di massima pressione USA, che ha avuto l’approvazione e l’appoggio aperto di María Corina Machado.

In questo senso, il messaggio univoco di USA e UE sull’inabilitazione ha uno sfondo coloniale, secondo cui il governo venezuelano deve sottomettersi al dettame delle potenze straniere al di sopra delle sue leggi interne che limitano l’esercizio politico di coloro che abbiano collaborato o partecipato a movimenti contro la sovranità nazionale e l’integrità dello Stato.

Questo elemento sarà, ancora una volta, il nervo centrale della disputa politico-elettorale dell’anno 2024: la lotta tra sovranità e tutoraggio, tra autodeterminazione e riconquista, presente in tutte le battaglie politiche dal 5 marzo 2013 in poi.

L’inabilitazione di María Corina Machado ha portato a galla questo asse trasversale del conflitto, e da lì cerca di ravvivare tensioni che contribuiscano a creare uno scenario di disconoscimento del processo elettorale del prossimo anno.

Il giorno della marmotta applicato al conflitto venezuelano.

Se, sulla base di tale calcolo, María Corina Machado deve essere sacrificata per un’escalation della tensione, allora lei è felice di fornire tale servizio. Alla fine non ci si può aspettare altro da ciò che resta dell’oligarchia venezuelana, come già una cronaca storica di secoli di fellonie si è stancata di comprovare.

Tuttavia, già il corso delle cose non è tanto lineare come nel 2018, prevedendo l’interesse di riprendere l’agenda di disconoscere i risultati delle elezioni presidenziali come in quell’anno.

C’è una guerra in Ucraina nel mezzo che aumenta in modo significativo i costi per avanzare in una nuova offensiva di pressione contro il Venezuela, che lo escluda da una complessa equazione energetica mondiale, in cui le ingenti risorse del paese si offrono come un modo per stabilizzare il mercato energetico globale.

A questo punto, senza dubbio, l’informazione dell’inabilitazione è stata un errore nella matrice. Per USA e UE, fino a venerdì scorso, tutto si svolgeva secondo un copione senza soluzione di continuità.

La pressione economica sarebbe continuata ad incidere sulla gestione del governo e sul benessere della popolazione attraverso il trattenimento dei 3 miliardi di dollari pattuiti a Città del Messico e l’estensione dell’attuale architettura delle “sanzioni”, inserendo licenze amministrative che, pur rendendone più flessibili alcune, vertici dello schema di pressione economico-finanziaria, non alterano, significativamente, la restrizione esterna che è all’origine dell’instabilità economica della nazione venezuelana e dei limiti di un’effettiva ripresa generale in termini salariali e di servizi pubblici.

Con i soldi confiscati illegalmente al Venezuela, come si è dimostrato, sarebbero state finanziate le primarie, portando María Corina alla guida dell’opposizione per essere la principale opzione elettorale nel 2024. Ma non importava chi avesse vinto quell’atto politico delle primarie. Tutte le strade portano al Dipartimento di Stato.

Nel frattempo lo Stato, costretto all’inerzia economica e sociale dalle “sanzioni”, avrebbe lasciato il terreno libero affinché, secondo tale scenario, giungesse al potere una persona che ha, pubblicamente, invocato l’intervento militare in territorio venezuelano e l’applicazione delle misure di soffocamento che hanno causato gravi danni materiali, umani e sociali nel Paese.

Il crimine perfetto. Una partita vinta con l’inganno.

Una volta lì -la fantasia va- Machado avrebbe completato il riallineamento del Venezuela al mondo occidentale, facilitando la consegna di tutto ciò che poteva essere consegnato in termini di risorse strategiche e sovranità.

Ma questa sequenza di proiezioni dipendeva da un fattore essenziale: che le stesse istituzioni dello Stato venezuelano si sottraessero alla loro responsabilità politica e morale di intraprendere azioni conformi alle leggi del paese per responsabilizzare coloro che hanno attentato contro la sovranità nazionale e la vita della popolazione.

Per questa ragione la posizione di USA e UE, sull’inabilitazione di Machado, nasconde, sotto la premessa interessata dei “diritti politici”, il malessere che il Paese applichi il suo ordinamento giuridico e assegni responsabilità a chi ha collaborato, proprio con USA e UE, per minarlo sotto ogni punto di vista.

Che il Paese non si difenda non è solo un’opzione, bensì sarebbe tradire il pilastro che sostiene tutto: il carattere irrevocabile della sovranità stabilita dall’articolo 1 della Costituzione.


EL DÍA DE LA MARMOTA, PROTAGONIZADO POR MARÍA CORINA

Augusto Márquez

El pasado 28 de junio transcendió que María Corina Machado está inhabilitada por 15 años para presentarse y ejercer cargos públicos, detalló la Contraloría General de la República en un documento en respuesta a la solicitud del diputado opositor venezolano, José Brito, para conocer el estatus administrativo actual de la exdiputada.

Las reacciones a la noticia no dieron ninguna sorpresa, salvo por la bifurcación, siempre presente, entre realidad y ficción que acompaña cualquier acontecimiento alrededor de la portavoz del partido fantasma Vente Venezuela, y que el viernes se reconfirmó.

Mientras ese día transcurrió con normalidad en las calles, la fanaticada de María Corina en redes sociales convirtió el hecho en un evento casi apocalíptico en el cual el país estaba próximo a paralizarse hasta que la medida no fuese revertida, en una especie de remake del conocido y oligofrénico “tic tac” de Franklin Virgüez en el momento cumbre de la “operación Guaidó”.

Ese viernes de hipnosis colectiva en redes fue, a su vez, producto inmediato de otra ídem mayor, generada por el sesgo de confirmación que propiciaron sus giras y convocatorias del último mes, donde mediante trucos de cámara y luces de teléfonos encendidas en medio de sus discursos se forjó la creencia de que contaba con un músculo de movilización social genuino que se activaría en lo inmediato cuando ella y su tropa tuitera quisieran.

Lo que ha seguido después de la noticia, en cambio, ha sido el baño de realidad correspondiente de una secuencia de espaldarazos a través de comunicados de figuras, organizaciones y entidades con nulo impacto en la realidad política venezolana.

En otra escala, la información de su inhabilitación ha permitido volver a constatar que María Corina Machado tiene su principal red de dolientes en el extranjero, la cual se mueve bajo principios de solidaridad de clase, poder e ideología, y sobre todo de intereses.

Y es justo ahí donde la coyuntura en torno a la inhabilitación de Machado adquiere un peso real, donde ella es una de las variables, no la única ni la más importante.

Estados Unidos y la Unión Europea (UE) rechazaron la información de la Contraloría utilizando un juego semántico uniforme que recalca que, al final, la exdiputada es uno de sus múltiples vehículos de injerencia, presión y promoción de intereses en Venezuela.

Pero más importante que la mención directa a Machado es el modo de representar e interpretar el acto de la inhabilitación, y lo que ello prefigura para los comicios presidenciales pautados para el año que viene en Venezuela. Justo ahí, Machado también queda expuesta en su condición de recurso no renovable a ser utilizado a conveniencia; como el resto de la galaxia de dirigentes del antichavismo.

Mientras la UE expresó, a través de su alto representante de política exterior, Josep Borrell, “su profunda preocupación con las decisiones que tratan de impedir a miembros de la oposición ejercer sus derechos políticos fundamentales, como ha sido el caso de María Corina Machado”, el portavoz del Departamento de Estado, Matthew Miller, indicó que la decisión “priva al pueblo venezolano de derechos políticos básicos”.

Ambas declaraciones parecen haber sido escritas en una misma habitación.

La clave de las mismas radican en lo que omiten interesadamente. Se habla de derechos políticos supuestamente violentados, como si la inhabilitación no fuese una respuesta a derechos humanos elementales de la población venezolana que previamente fueron vulnerados durante la campaña de máxima presión estadounidense, que contó con la aprobación y el respaldo abierto de María Corina Machado.

En este sentido, el mensaje unívoco de Estados Unidos y la UE sobre la inhabilitación tiene un trasfondo colonial, según el cual el gobierno venezolano debe someterse al dictamen de potencias extranjeras por encima de sus leyes internas que limitan el ejercicio político de quienes hayan colaborado o participado en movimientos contra la soberanía nacional y la integridad del Estado.

Ese elemento será, nuevamente, el nervio central de la disputa político-electoral del año 2024: la pugna entre soberanía y tutelaje, entre autodeterminación y reconquista, presente en todas las batallas políticas desde el 5 de marzo de 2013 en adelante.

La inhabilitación de María Corina Machado ha reflotado este eje transversal del conflicto, y a partir de ahí se busca revivir tensiones que contribuyan a configurar un escenario de desconocimiento del proceso electoral del año que viene.

El día de la marmota aplicado al conflicto venezolano.

Si sobre la base de ese cálculo María Corina Machado debe ser sacrificada para una escalada de tensión, pues ella contenta de prestar dicho servicio. Al final, de lo que queda de oligarquía venezolana no se puede esperar otra cosa, a lo que ya un registro histórico de siglos de felonías se ha cansado de comprobar.

Sin embargo, ya el curso de las cosas no es tan lineal como en 2018, previendo el interés de retomar la agenda de desconocer los resultados de las presidenciales como en aquel año.

Hay una guerra en Ucrania de por medio que eleva sensiblemente los costos de avanzar en una nueva ofensiva de presión contra Venezuela, que la deje por fuera de una ecuación energética mundial compleja, donde los ingentes recursos del país se ofrecen como vía de estabilización del mercado global de energía.

En este punto, sin lugar a dudas, la información de la inhabilitación ha sido un error en la matrix. Para Estados Unidos y la UE, hasta el pasado viernes, todo se desarrollaba acorde a un guión sin fisuras.

La presión económica continuaría afectando la gestión de gobierno y el bienestar de la población mediante la retención de los 3 mil millones de dólares pactados en Ciudad de México y la prolongación de la arquitectura vigente de “sanciones”, intercalando licencias administrativas que, aunque flexibilizan algunos vértices del esquema de presión económica-financiera, no alteran significativamente la restricción externa que es el origen de la inestabilidad económica de la nación venezolana y de los límites de una recuperación general efectiva en términos salariales y de servicios públicos.

Con el dinero confiscado ilegalmente a Venezuela, como se ha demostrado, se financiarían las primarias, llevando a María Corina a la jefatura de la oposición para ser la opción electoral principal en 2024. Pero daba igual quién ganara ese acto político de las primarias. Todos los caminos llevan al Departamento de Estado.

Entre tanto, el Estado, forzado a la inacción económica y social por las “sanciones”, dejaría el terreno libre para que, según ese escenario, llegara al poder una persona que públicamente ha llamado a una intervención militar en territorio venezolano y a la aplicación de las medidas de asfixia que han ocasionado un grave daño material, humano y social en el país.

El crimen perfecto. Una partida ganada con trampa.

Una vez ahí -sigue la fantasía-, Machado completaría el realineamiento de Venezuela al mundo occidental, facilitando la entrega de todo aquello que pueda ser entregado en cuanto a recursos estratégicos y soberanía.

Pero ese secuencia de proyecciones dependían de un factor esencial: que las propias instituciones del Estado venezolano evadieran su responsabilidad política y moral de tomar acciones conforme a las leyes del país para responsabilizar a quienes han atentado contra la soberanía nacional y la vida de la población.

Por esta razón, la posición de Estados Unidos y la UE sobre la inhabilitación de Machado encubre bajo la premisa interesada de los “derechos políticos” el malestar de que el país aplique su ordenamiento jurídico y adjudique responsabilidades a quienes han colaborado precisamente con Estados Unidos y la UE para socavarlo desde todo punto de vista.

Que el país no se defienda a sí mismo no solo es una opción, sino que sería traicionar el pilar que lo sostiene todo: el carácter irrevocable de soberanía establecido en el artículo 1 de la Constitución.

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