Elliott Abrams, le ali del Condor sopra il Venezuela

di Geraldina Colotti

Nella giornata di lavoro dedicata al “parto humanizado”, il presidente Maduro ha denunciato le minacce di Elliott Abrams circa il finanziamento di una campagna mediatica senza precedenti contro la rivoluzione bolivariana. Il Rappresentante Speciale di Trump per il Venezuela, che ha funestato l’America Latina prima con Ronald Reagan negli anni 1980, poi con George W. Bush nei primi anni 2000, ha promesso di coinvolgere radio, televisioni, reti sociali.

Una campagna che già esiste, che agisce permanentemente attraverso “AP, Reuters, Bloomberg, Euronews, etc”, ha detto il presidente venezuelano. Una strategia pervasiva che “utilizza gruppi di mercenari nelle reti sociali attraverso pagine, portali, account sui quali si alimentano quotidianamente rumori, dicerie, si orchestrano campagne. figuriamoci cosa succederà adesso che addirittura lo annunciano”. Tuttavia – ha affermato Maduro – la verità del Venezuela è potente e sopravanza tutte le manipolazioni di Elliott Abrams.

Un poderoso sistema mediatico s’incarica di silenziare le notizie che mostrano l’efficacia del modello bolivariano, sia contro la pandemia che contro la guerra economico-finanziaria organizzata dall’imperialismo USA e dai suoi subalterni della UE. Del Venezuela si parla solo per falsificare le cifre o per predire disastri, avallando la costruzione virtuale dell’”autoproclamato” Guaidó.

La strategia è quella enunciata dal Comando Sud nel manuale “Guerra totale in tempi di globalizzazione”. L’obiettivo è sempre il medesimo: minare la fiducia del popolo per spingerlo a rivoltarsi contro il governo, e impedire il sostegno dei movimenti internazionali. Per questo, dopo la Seconda guerra mondiale, la CIA ha portato la battaglia anche sul terreno delle idee.

Lo ha spiegato nel suo libro L’arte del servizio segreto, Allen Dulles, che ha fondato e diretto per 8 anni, dal 1953 al 1961, l’Agenzia di intelligence USA: “L’obiettivo finale della strategia su scala planetaria  – ha scritto -, è sconfiggere sul piano delle idee le alternative al nostro dominio, mediante il logoramento e la persuasione, la manipolazione dell’inconscio, l’usurpazione dell’immaginario collettivo e la ricolonizzazione delle utopie redentrici e libertarie, per confezionare un prodotto paradossale e inquietante: che le vittime arrivino a comprendere e a condividere la logica dei loro boia”.

Da allora, la CIA ha cominciato a formare i suoi agenti, che oggi vengono reclutati già alla fine del liceo in ogni parte del pianeta. In questo modo, la piovra si ramifica direttamente nelle università, nelle fondazioni, nei centri di ricerca, nelle grandi istituzioni e nelle redazioni. Le campagne di intossicazione e manipolazione psicologica, sempre impiegate nelle guerre, assumono così un livello più insidioso, consustanziale alle guerre ibride, le guerre di quarta e quinta generazione.

La crisi dell’istituzione e i conflitti di potere che l’attraversano, anche con l’amministrazione Trump, non vuol dire che la filosofia di fondo della CIA, riflessa nelle linee del Comando Sur, non continui a essere funzionale al perpetrarsi della guerra asimmetrica.  Il discorso di Trump rivolto agli oppositori cubani, venezuelani e nicaraguensi della Florida lo ha messo in chiaro una volta di più.

Non a caso, recandosi in una delle zone più colpite dal coronavirus, Trump ha organizzato una riunione nella sede del Comando Sur, che si trova a circa 3 km dal suo club di golf. “Lotteremo per il Venezuela e per i nostri amici di Cuba – ha detto agli alti comandi delle Forze Armate – Voi sapete che lo stiamo facendo, così come in molti altri posti… Però Cuba e Venezuela li teniamo perfettamente sotto controllo”. In che modo? Intanto, bloccando le “linee di finanziamento al regime illegittimo di Nicolas Maduro, mediante l’operazione di vigilanza nei Caraibi del Comando Sur”.

Dichiarazioni subito seguite dalle grandi corporazioni mediatiche, che hanno diffuso articoli sulle minacce alle compagnie che ancora osano commerciare con il Venezuela, e al governo iraniano che invece non si è lasciato intimidire, come sta provando a fare ora l’India. Le piattaforme web dell’opposizione venezuelana hanno corredato gli articoli con foto di navi da guerra statunitensi di fronte alle coste venezuelane, per indicare che il blocco navale è prossimo.

Indubbiamente – ha detto alla Reuters Elliott Abrams – negli ultimi mesi, Washington ha concentrato gli sforzi per far rispettare le sanzioni al commercio del petrolio e isolare Caracas soprattutto nell’industria marittima. “Vedrete – ha promesso – che la maggior parte degli armatori e dei capitani si allontanerà dal Venezuela. Semplicemente perché il rischio non vale la candela”.

Per questo, gli Stati Uniti stanno facendo pressione sulle compagnie marittime, su quelle assicurative, e sulle società che devono catalogare le navi quanto a norme di sicurezza o ambientali. E già grandi firme londinesi, come la Lloyd’s Register (LR), hanno affermato di aver ritirato i loro servizi a 8 petroliere che stavano commerciando con il Venezuela.

Accompagnare questa strategia di strangolamento economico con un attacco mediatico, è fondamentale. È fondamentale mascherarlo demonizzando il governo bolivariano, per evitare di suscitare lo stesso sdegno provocato dal ginocchio del poliziotto bianco sul collo dell’afrodiscendente Floyd. Sviare con distorsioni e sovrapposizioni la riflessione del lettore fa parte della strategia per “confezionare un prodotto paradossale e inquietante” di cui parlava a suo tempo Dulles.

Facciamo solo tre esempi. Sta circolando un presunto “scoop” di un parco di auto di lusso provenienti dagli Stati Uniti e dirette, secondo una “giornalista” targata CIA, alla Forza Armata Nazionale Bolivariana. Ma in che modo sarebbero arrivate in Venezuela evitando le sanzioni di Trump? E perché lo stesso Trump dovrebbe agevolare il governo bolivariano che vuole distruggere?

Non ha senso, eppure funziona. Fa parte dell’attacco mediatico portato a uno dei cardini della rivoluzione bolivariana, l’unione civico-militare. Per far questo, serve un’altra presunta “esperta” militare, che racconta di conflitti micidiali tra Maduro e il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, speculando a questo fine anche sul suo contagio da Covid dell’amato capitano. Intanto, vengono diffuse a livello internazionale immagini dell’”autoproclamato” attorniato da qualche divisa, per illustrare il proclama di “39 ex ufficiali” che hanno deciso di tradire la bandiera e la costituzione, passando con il “presidente a interim” virtuale.

Il terzo esempio riguarda una notizia diffusa da Reuters circa l’ennesima truffa messa in atto da Guaidó ai danni del popolo venezuelano. Si tratta del contratto da 1,25 milioni di dollari stipulato con due firme finanziarie nordamericane, BRD Disbursement e BRV Administrator, per “l’amministrazione di fondi all’estero”.

Pur sapendo che l’autoproclamato può “legiferare” solo dal suo condominio, che non ha nessun mandato per gestire fondi, e che l’unico Parlamento, per quanto “in stato di oltraggio”, sia quello presieduto dal deputato che ha accettato il dialogo con il governo, Luis Parra, Reuters scrive: “Il Parlamento del Venezuela, a maggioranza di opposizione, ha approvato il 9 luglio la decisione di contattare due firme negli Stati Uniti che si incaricheranno di amministrare i fondi all’estero che sono sotto il controllo del capo del Congresso e leader dell’opposizione, Juan Guaidó”.

Per depistare ulteriormente, la nota viene illustrata con l’immagine dell’emiciclo dell’Assemblea Nazionale, che l’autoproclamato ha deciso di abbandonare insieme alla sua banda. Si aggiungono le foto dei golpisti, e il gioco è fatto: la realtà della politica venezuelana scompare, per lasciar posto al circo virtuale, avallato dalle istituzioni internazionali, com’è accaduto per il Parlamento Europeo.

Dopo le rivelazioni contenute nel libro del suo ex Consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, Trump ha ribadito il giudizio negativo su Guaidó, sostenendo di voler puntare su qualcuno che abbia “un maggior sostegno popolare”. Ma se per il sostegno popolare dovrà cercare a lungo, di certo non gli mancano i candidati alla greppia del padrone.

È di pochi giorni fa il comunicato diffuso sui media non dall’opposizione moderata che accetta il dialogo con il governo Maduro, ma dai peggiori estremisti della cerchia di Guaidó, come Antonio Ledezma, Maria Corina Machado, Diego Arria, che gli chiedono di spiegare dove siano finiti i soldi e che lo accusano di mancanza di trasparenza nella gestione dei conti. E come dimenticare quell’audio filtrato nel quale l’amministrazione USA si lamentava per lo spropositato numero di aspiranti alla presidenza che c’erano nell’opposizione venezuelana, pronti a sostituire Maduro?

Bolton rivela nel suo libro che Trump considera il Venezuela una specie di protettorato nordamericano e che ritiene “simpatica” un’invasione armata. Ragiona da imprenditore, e in questo senso si comprende anche la sua intenzione di “vendere” Porto Rico, espressa dopo il devastante uragano Maria del 2017, che ha provocato 2.982 morti e oltre 90 miliardi di dollari di danno. Lo ha rivelato al New York Times l’allora segretaria a interim per la Sicurezza Nazionale, Elaine Duke.

“Qualcosa succederà con il Venezuela, è tutto quello che posso dirle, qualcosa succederà con il Venezuela”, ha dichiarato Trump in un’intervista a Noticias Telemundo. In risposta, è arrivato il comunicato della FANB, per bocca del ministro della Difesa, Vladimir Padrino Lopez. Riferendosi al discorso di Trump davanti al Comando Sur, Padrino l’ha definito una “messa in scena elettorale”, un atto di campagna di Trump in vista delle presidenziali del 3 novembre, nelle quali risulta in netto svantaggio rispetto al democratico Joe Biden.

La Florida è tra gli Stati che ancora non ha manifestato un orientamento elettorale definito, e Trump vuole rispondere così all’accusa di Biden di aver creato un vuoto di leadership in America Latina, consentendo a Cina e Russia di occupare lo spazio. Le proporzioni della crisi economica del post-pandemia, unite alla gestione del coronavirus che ha provocato malumori anche nelle Forze Armate, e all’impatto determinato dall’uccisione di George Floyd, portano a pensare che lo scialbo Biden possa vincere sul tycoon.

Anche per questo, con l’umoralità che lo caratterizza, Trump sposta la barra da un lato all’altro, sempre però mantenendo il timone in direzione del denaro e degli interessi economici. In questo senso va letto l’incontro fra il presidente USA e il suo omologo messicano, il progressista Manuel Lopez Obrador. In Messico, Trump ha badato agli affari, incontrando un gruppo di impresari messicani, tra i quali figura Carlos Slim, uno degli uomini più ricchi del mondo.

Considerando le poche differenze esistenti in politica estera tra democratici e repubblicani, Trump sta cercando di rendersi affidabile in vista delle elezioni, promettendo maggior stabilità ai confini. Con quest’incontro, si è dato anche avvio all’accordo tra USA, Messico e Canada (USMCA), una versione un po’ modificata del patto di libero scambio che Trump non vedeva di buon occhio, così come non lo vedono di buon occhio le organizzazioni popolari.

Amlo è già andato incontro a Trump accettando di inviare truppe al confine per bloccare i migranti diretti negli USA, concedendo più margine di manovra ai militari, tradizionalmente subalterni alla dottrina nordamericana, e lasciando praticamente intatti gli interessi del grande capitale.

Ora, ha permesso al cowboy del Pentagono di sviare l’attenzione dalla pandemia e dalle magagne interne, e di presentare come una vittoria il primo incontro internazionale da lui organizzato. L’Economist fa notare che Biden, qualora vincesse, potrebbe ricordarsi che, nel 2012, quando visitò il Messico come vicepresidente, aveva incontrato tutti e tre i candidati alla presidenza, incluso AMLO. In ogni caso, si sa che i democratici, pur divergendo dall’amministrazione Trump su moltissimi punti, non rifiutano la sua linea dura in fatto di commercio.

Oltre ai muri e ai denari, c’è comunque la parola dei popoli che possono innalzare la propria bandiera.

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