Le priorità dell’amministrazione USA e le relazioni con Cuba

Nel mentre presentano la strategia di sicurezza nazionale, il presidente Joe Biden ha informato sull’Orientamento Strategico Provvisorio, in cui annuncia i suoi obiettivi. Ha come antecedente noto più immediato il suo articolo pubblicato nella rivista Foreing Affairs, in cui ha annunciato che avrebbe preso misure affinché, ancora una volta, gli USA guidassero il mondo.

Jorge Casals LLano  www.granma.cu

Nel mentre presentano la strategia di sicurezza nazionale, il presidente Joe Biden ha informato sull’Orientamento Strategico Provvisorio, in cui annuncia i suoi obiettivi. Ha come antecedente noto più immediato il suo articolo pubblicato nella rivista Foreing Affairs, in cui ha annunciato che avrebbe preso misure affinché, ancora una volta, gli USA guidassero il mondo.

Sullo stesso tono, il Segretario di Stato, Antony Blinken, ha dichiarato nel suo discorso di investitura che il mondo è incapace di organizzarsi da solo e che quando gli USA si sono ritirati da qualche luogo, un altro paese cercava di occuparlo e non per promuovere gli interessi USA. Ha inoltre sostenuto che in nessun altro momento della sua carriera, come ora, erano sparite, grazie al rinnovamento e alla forza degli USA, le distinzioni tra la sua politica interna ed estere.

Senza nemmeno mettere in dubbio la validità né la fattibilità delle affermazioni di cui sopra, il lettore concorderà sul fatto che tali idee hanno pochissimo di nuovo e sono congruenti con il vecchio e da sempre propagandato mito “americano” che rappresenta gli USA come paladino delle uguali opportunità e dell’ eccezionalità di un popolo che, scelto da Dio, ha ricevuto dal Creatore, come “destino manifesto”, il dono di governare il mondo, per farlo a sua immagine e somiglianza.

Ma risulta  che il mondo che gli USA pretendono guidare, con la loro politica (interna ed estera) e le loro priorità, è quello della crisi del capitalismo post-globalizzazione neoliberale, la cui manifestazione più evidente è la sua crisi sistemica e il suo accelerato declino.

È il mondo in cui i fondamentalisti del mercato hanno vissuto (alcuni vivono ancora) convinti dell’autoregolamentazione della “distruzione creativa” schumpeteriana e della “nuova teoria monetaria”; hanno sottovalutato i danni che le loro politiche causavano all’economia, i cui deficit ritenevano potessero essere coperti attraverso un’ “espansione quantitativa” emettendo denaro e debito, tanto da essere varie volte superiore al Prodotto Globale Lordo, con risultati finali prevedibilmente catastrofici. Per avere un’idea, e solo nel caso degli USA, è sufficiente segnalare che il suo debito federale ammonta a 28,07 trilioni (milioni di milioni) di dollari, mentre il suo Prodotto Interno Lordo è di 21,6 trilioni; a sua volta, il suo debito totale (che include mutui, prestiti agli studenti, carte di credito …), raggiunge gli 82 trilioni 699 miliardi, cifre che aumentano ogni secondo.

E parlando ora di priorità, la prima avrebbe a che fare con la risoluzione, in qualche modo, della profonda divisione e polarizzazione che esiste negli USA tra democratici e repubblicani, globalisti e nazionalisti, suprematisti bianchi anglosassoni e protestanti, e “neri, gialli e marroni», anche tra vecchi e nuovi e meno nuovi immigranti, con il suo razzismo strutturale, le disuguaglianze abissali, il negazionismo scientifico e la disinformazione rampante.

Priorità per la nuova amministrazione sono fermare la pandemia e la sua trasmissione, cosa che, sebbene sappiamo tutti sia impossibile senza una cooperazione su scala globale, gli USA insistono nell’egoistico controllo locale.

Anche prioritario risulta invertire il deterioramento dell’economia del paese. Ciò dovrebbe iniziare con una riforma fiscale che elimini i tagli fiscali che hanno reso “i ricchi più ricchi”, attuati dalle precedenti amministrazioni (democratiche e repubblicane) e con l’attuazione di politiche -fiscali e monetarie- che, allo stesso tempo, consentano disporre dei trilioni (billones in spagnolo) di dollari necessari per finanziare la lotta contro la pandemia; la ripresa post-pandemia e il sistema sanitario, legati anche alla pandemia e all’economia reale (che implica molto di più che la crescita dei mercati azionari), che supporrebbe anche l’ammodernamento della più che deteriorata infrastruttura, la lotta contro riscaldamento globale ed il miglioramento dell’istruzione promessa durante la sua campagna.

Ma, ovviamente, sempre assumendo l’ “eccezionalità” e seguendo il discorso di Blinken, ciò solo si otterrebbe “assicurando che l’economia mondiale offra sicurezza e opportunità al maggior numero possibile di statunitensi a lungo termine”, con “politiche adeguate” come “il pacchetto di aiuti che il Presidente sta promuovendo” e gestendo: “l’economia mondiale in un modo che avvantaggia davvero il popolo statunitense” (le virgolette suggeriscono il ruolo che spetta agli USA, secondo Blinken).

Dal momento che per Blinken le “lezioni apprese” dai difensori del libero scambio avrebbero plasmato l’economia mondiale “nel modo in cui volevamo”, dovremmo rivedere gli accordi commerciali (per inciso, qualcosa già imposto da Trump a Messico e Canada) firmati dagli USA, sulla base del liberalismo e della teoria classica del commercio internazionale di cui tutti ne trarrebbero vantaggio. Solo che è anche chiaro che, per la revisione degli accordi a sua soddisfazione, gli USA dovrebbero contare sui firmatari, compresa la Cina.

Tutto quanto sopra, la nuova amministrazione dovrà farlo recuperando il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori che, secondo tutti i calcoli, e per eguagliarli a quelli degli anni Cinquanta del secolo scorso, dovrebbero più che duplicare la proposta del Presidente durante la sua campana. E questo, senza le enormi emissioni di dollari Fiat, necessarie per finanziare tutto quanto sopra, non continuino a deprezzare la valuta che è ancora oggi la valuta più utilizzata, in quanto ciò farebbe perdere agli USA il ​​privilegio che il resto del mondo finanzi la sua economia, un vantaggio di cui gode nell’attuale ordine (o disordine?) mondiale.

* * *

Tra le priorità della politica estera, senza dubbio c’è ciò che gli USA considerano il loro “cortile di casa”. Nella dichiarazione dell’Ammiraglio Capo del Comando Sud degli USA, del 16 marzo 2021, questa «allerta» sulla necessità di contrastare l’influenza di nazioni straniere come Cina, Russia ed Iran …, e anche di Cuba per «la sua corrosiva influenza ispiratrice di regimi autocratici nell’emisfero” (Sic) in ciò che chiama” il nostro vicinato”.

Tra le “priorità” rientrano anche il “rinnovamento della democrazia minacciata dall’ascesa dell’autoritarismo e del nazionalismo (in cui, come abbiamo visto, include Cuba); stabilire un sistema di migrazione (che sicuramente sarà selettivo e garantirebbe il furto di cervelli); il rilancio del sistema di alleanze, reinventando le associazioni che sono state create anni fa, affinché si adattino alle sfide di oggi e di domani” (in quello che Blinken chiama interesse proprio illustrato); la crisi climatica, promuovendo la rivoluzione energetica verde e garantendo la direzione nella rivoluzione tecnologica mondiale che attualmente si sviluppa, ciò che oggi sembra irraggiungibile.

E poiché si tratta di priorità, si richiede una riflessione finale. I giornalisti di poco conto – e i politicanti anche peggiori- esultano negli USA quando insistono sul fatto che Cuba non è una priorità, e che quindi non c’è interesse nell’attuale amministrazione a riprendere i rapporti interrotti da Trump, i suoi promotori e adulatori. Certo, è difficile sapere cosa pensano i politici USA, ma quello che sì sappiamo è che noi cubani degni -e che include la stragrande maggioranza di coloro che vivono negli USA e altrove nel mondo- siamo guidati dagli insegnamenti di Martí: «Il modo migliore per essere serviti è farsi rispettare. Cuba non va come una mendicante per il mondo; va da sorella e opera con l’autorità di questa. Salvandosi, salva».

Anche se non sappiamo se siamo o meno una priorità, sì sappiamo come hanno impedito la nostra indipendenza dalla Spagna, quanti sono stati gli interventi militari, come abbiamo perso parte del nostro territorio … Proprio a causa di tutto questo e altro, e indipendentemente della storia delle relazioni conflittuali che durante la nostra storia comune loro hanno stimolato -e in cui noi cubani abbiamo dimostrato una convinzione spartana- è che aspiriamo anche a relazioni con il mondo e con gli USA rispettosamente civilizzate e reciprocamente vantaggiose.

Per quanto sopra è che noi cubani siamo interessati, e confidiamo, che nei rapporti che prima o poi intratterremo con gli USA, potremo apprendere il meglio di ciascuno di noi: sui diritti umani, in particolare  confrontando i problemi da risolvere sulla discriminazione razziale; sui diritti delle donne, come l’aborto, la parità salariale  per lo stesso lavoro per donne e uomini; anche sulle proporzioni di ogni essere umano nella popolazione economicamente attiva e in ogni professione o mestiere, inclusi laureati e scienziati; sui diritti dei bambini, la qualità dell’istruzione e della salute, il suo costo e l’accesso…qua e là.

La nostra capacità di resilienza, il nostro prestigio, il nostro rapporto con il mondo, basato sul rispetto, il declino dell’impero e la nostra capacità di produrre scienza e servizi, turistici e medici altamente competitivi, sicuramente, e in una data molto precoce, potrebbero rendere spendibile per Cuba, nonostante la sua vicinanza e le immense possibilità per entrambi, il mercato “americano”. Neppure questa sarà una nostra decisione.


Las prioridades de la administración estadounidense y las relaciones con Cuba

En lo que presentan la estrategia de seguridad nacional, el mandatario Joe Biden dio a conocer la Orientación Estratégica Provisional, en la que anuncia sus objetivos. Tiene como antecedente conocido más inmediato su artículo publicado en la revista Foreing Affairs, en el que anunció que tomaría medidas para que, una vez más, Estados Unidos liderara el mundo

Autor: Jorge Casals LLano

En lo que presentan la estrategia de seguridad nacional, el mandatario Joe Biden dio a conocer la Orientación Estratégica Provisional, en la que anuncia sus objetivos. Tiene como antecedente conocido más inmediato su artículo publicado en la revista Foreing Affairs, en el que anunció que tomaría medidas para que, una vez más, Estados Unidos liderara el mundo.

En el mismo tono, el secretario de Estado, Antony Blinken, afirmó en su discurso de toma de posesión que el mundo es incapaz de organizarse solo, y que cuando EE. UU. se retiraba de algún lugar, otro país intentaba ocuparlo, y no para promover los intereses de EE. UU. También sostuvo que, en ningún otro momento de su carrera, como en el actual, habían desaparecido, por la renovación y la fuerza de EE. UU., las distinciones entre su política interior y exterior.

Sin necesidad siquiera de cuestionar la validez ni la viabilidad de las afirmaciones anteriores, coincidirá el lector en que tales ideas tienen muy poco de nuevo, y son congruentes con el viejo y desde siempre promocionado mito «americano» que representa a EE. UU. como paladín de la igualdad de oportunidades y la excepcionalidad de un pueblo que, elegido por Dios, recibió del creador, como «destino manifiesto», el don de gobernar al mundo, para hacerlo a su imagen y semejanza.

Pero resulta que el mundo que pretende liderar EE. UU., con su política (interior y exterior) y sus prioridades, es el de la crisis del capitalismo posglobalización neoliberal, cuya manifestación más evidente es su crisis sistémica y su acelerado declive.

Es el mundo en el que los fundamentalistas del mercado vivieron (algunos aún viven) convencidos de la autorregulación por la «destrucción creativa» schumpeteriana y la «nueva teoría monetaria»; infravaloraron los daños que sus políticas provocaban a la economía, cuyos déficits suponían que podían cubrirse mediante la «expansión cuantitativa» emitiendo dinero y deuda, tanta, que es varias veces superior al Producto Global Bruto, con resultados finales previsiblemente catastróficos. Para tener una idea, y solo para el caso de EE. UU. , basta señalar que su deuda federal asciende a 28,07 billones (millones de millones) de dólares, en tanto su Producto Interno Bruto es de 21,6 billones; a su vez, su deuda total (incluye hipotecas, préstamos estudiantiles, tarjetas de crédito…), llega a los 82 billones 699 mil millones, cifras que aumentan cada segundo.

Y hablando ya de prioridades, la primera tendría que ver con resolver, de alguna manera, la profunda división y polarización existente en EE. UU.  entre demócratas y republicanos, globalistas y nacionalistas, supremacistas blancos anglosajones y protestantes y «negros, amarillos y marrones», también entre los antiguos y los nuevos y no tan nuevos inmigrantes, con su racismo estructural, las desigualdades abismales, el negacionismo científico y la desinformación rampante.

Prioridades para la nueva administración son detener la pandemia y su transmisión, lo que, a pesar de que todos sabemos es imposible sin la cooperación a escala global, EE. UU. insiste en el egoísta control local.

También prioritario resulta revertir el deterioro de la economía del país. Ello debería comenzar por una reforma fiscal que elimine las rebajas de impuestos que hicieron «más ricos a los ricos», realizadas por administraciones previas (demócratas y republicanas) y con la instrumentación de políticas –fiscal y monetaria– que, a la vez, les permitan disponer de los trillones (billones en español) de dólares requeridos para financiar la lucha contra la pandemia; la recuperación pospandemia y el sistema sanitario, también relacionado con la pandemia y la economía real (que implica mucho más que el crecimiento de las bolsas), lo que también supondría la modernización de la más que deteriorada infraestructura, la lucha contra el calentamiento global, y el mejoramiento de la educación prometidos durante su campaña.

Pero, por supuesto, siempre asumiendo la «excepcionalidad» y siguiendo el discurso de Blinken, lo anterior solo se lograría «garantizando que la economía mundial ofrezca seguridad y oportunidades al mayor número posible de estadounidenses a largo plazo», con «políticas adecuadas» como «el paquete de ayuda que el Presidente está impulsando» y gestionando: «la economía mundial de forma que beneficie realmente al pueblo estadounidense»  (los entrecomillados son sugerentes del papel que le corresponde a EE. UU., según Blinken).

Como para Blinken las «lecciones aprendidas» por los defensores del libre comercio darían forma a la economía mundial de «la manera que queríamos», habría que revisar los acuerdos comerciales (por cierto, algo impuesto ya por Trump a México y Canadá) que fueron suscritos por EE. UU., sobre la base del liberalismo y la teoría clásica del comercio internacional de que todos se beneficiarían de los mismos. Solo que también es claro que, para la revisión de los acuerdos a su satisfacción, EE. UU. tendría que contar con los firmantes, entre ellos, China.

Todo lo anterior, la nueva administración deberá hacerlo recuperando la capacidad de compra de los salarios de los trabajadores que, según todos los cálculos, y para igualarlos a los de los años 50 del pasado siglo, deberían más que duplicar la propuesta del Presidente durante su campaña. Y ello, sin que las ingentes emisiones de dólares Fiat, necesarias para financiar todo lo anterior, no continúen depreciando la moneda que todavía hoy es la divisa más utilizada, pues ello haría a EE. UU. perder el privilegio de que el resto del mundo financie su economía, ventaja que disfruta en el actual orden (¿o desorden?) mundial.

***

Entre las prioridades de política exterior, sin duda se encuentra lo que EE. UU. considera su «traspatio». En la declaración del Almirante Jefe del Comando Sur de EE. UU., del 16 de marzo de 2021, este «alerta» sobre la necesidad de contrarrestar la influencia de naciones foráneas como China, Rusia e Irán…, y también de Cuba por «su corrosiva influencia inspiradora de regímenes autocráticos en el hemisferio» (Sic) en lo que denomina «nuestro vecindario».

Se incluyen también entre las «prioridades», la «renovación de la democracia amenazada por el aumento del autoritarismo y el nacionalismo (en el que, como vimos, se incluye a Cuba); establecer un sistema de migración (que seguramente será selectivo y garantizaría el robo de cerebros); la revitalización del sistema de alianzas, reinventando las asociaciones que se crearon hace años, para que se adapten a los retos de hoy y de mañana» (en lo que Blinken llama interés propio ilustrado); la crisis climática, impulsando la revolución energética verde y garantizando el liderazgo en la revolución tecnológica mundial que actualmente se desarrolla, lo que hoy parece inalcanzable.

Y como de prioridades se trata, una reflexión final se requiere. Periodistas de poca monta –y politiqueros aún peores– se regodean en EE. UU.  cuando insisten en que Cuba no es una prioridad, y que por ello no hay interés en la actual administración en reanudar las relaciones interrumpidas por Trump, sus promotores y aduladores. Por supuesto que es difícil saber qué piensan los hacedores de políticas en EE. UU., pero lo que sí sabemos es que a los cubanos dignos –y eso incluye a la inmensa mayoría de los que viven en EE. UU. y en el resto del mundo– nos guían las enseñanzas de Martí: «El mejor modo de hacerse servir, es hacerse respetar. Cuba no anda de pedigüeña por el mundo: anda de hermana, y obra con la autoridad de tal. Al salvarse, salva».

Aunque no sepamos si somos o no prioridad, sí sabemos cómo impidieron nuestra independencia de España, cuántas fueron las intervenciones militares, cómo perdimos parte de nuestro territorio… Precisamente por todo ello y más, y al margen de la historia de las relaciones conflictivas que durante nuestra historia común ellos han estimulado –y en la que los cubanos hemos demostrado convicción espartana–, es que también aspiramos a relaciones con el mundo, y con EE. UU., respetuosamente civilizadas y mutuamente ventajosas.

Por lo anterior es que a los cubanos nos interesa, y confiamos, en que en las relaciones que más tarde o más temprano mantendremos con EE. UU., podremos aprender lo mejor de cada uno de nosotros: sobre derechos humanos, en particular comparando los problemas a resolver sobre la discriminación racial; sobre los derechos de las mujeres, como el del aborto, la igualdad salarial por igual trabajo de mujeres y hombres; también sobre las proporciones de todo ser humano en la población económicamente activa y en toda profesión u oficio, incluyendo a los graduados universitarios y los científicos; sobre los derechos de los niños, la calidad de la educación y la salud, su costo y su acceso…  aquí y allá.

Nuestra capacidad de resiliencia, nuestro prestigio, nuestra relación con el mundo, basada en el respeto, el declive del imperio y nuestra capacidad de producir ciencia y servicios turísticos y médicos altamente competitivos, seguramente, y en fecha muy temprana, pudiera hacer prescindible para Cuba, a pesar de su proximidad y las inmensas posibilidades para ambos, el mercado «americano». Tampoco será esta nuestra decisión.

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