Perché è bloccato il gioco in Venezuela?

misionverdad.com

Vari media hanno riferito della presenza dell’aereo USA Phoenix Air Gulfstream III, di proprietà del governo USA, presso l’aeroporto internazionale di Maiquetía in Venezuela.

In questa occasione, l’aereo avrebbe trasportato Roger Carstens, ex sottosegretario dell’Ufficio per Democrazia, Diritti Umani e Lavoro del Dipartimento di Stato USA e, dal 2020, attuale inviato presidenziale speciale per Affari di Ostaggi di quel Paese.

È emerso che questo funzionario avrebbe avuto contatto con vari detenuti statunitensi in Venezuela e si è parlato della possibilità che si stesse preparando uno scambio che potrebbe implicare il ritorno nel Paese petrolifero del diplomatico Alex Saab, rapito e processato su suolo USA.

L’evento si è svolto in segreto. Non c’è stato pronunciamento ufficiale, ma ha sollevato la questione di fondo: il reale stato dei rapporti tra i due governi, in questo momento, in un contesto in cui le trattative sembrano essersi arenate.

PROGRESSI, PARALISI E RETROCESSO

 

In diverse occasioni lo scorso anno, l’amministrazione di Joe Biden ha inviato funzionari in Venezuela che sono stati ricevuti dal presidente Nicolás Maduro, dando per scontato, in modo pubblico, che fossero stati stabiliti canali di comunicazione e negoziazione tra Washington e Caracas.

A ottobre si sono scambiati venezuelani e statunitensi, in quello che sarebbe stato l’accordo più importante tra i due paesi da anni, allentando in minima parte le tensioni.

Al Tavolo di Dialogo installato in Messico, nel novembre 2022, le delegazioni chaviste e la Piattaforma Unitaria Democratica (PUD) avevano raggiunto un accordo sociale che raggiungeva un importo di 3,2 miliardi di $ USA per affrontare questioni come la salute e l’approvvigionamento elettrico. Queste risorse, appartenenti al patrimonio della nazione, sarebbero state sbloccate dal governo USA per essere canalizzate attraverso entità ascritte al sistema delle Nazioni Unite (ONU).

Inoltre, nel novembre 2022, il governo USA ha rilasciato la licenza GL 41, che autorizza la compagnia petrolifera transnazionale Chevron a riprendere alcune operazioni sospese in Venezuela. Sebbene questa Licenza chiarisse limiti importanti per l’attività della Chevron, essa ha aperto prospettive che avrebbero dovuto alleviare, in modo molto modesto, le pressioni nei confronti delle attività economiche petrolifere nel paese caraibico.

Nel gennaio 2023, la cosiddetta “Assemblea Nazionale del 2015″ (AN-15), attualmente riconosciuta dal governo di Joe Biden, ha posto fine all'”interim” di Juan Guaidó, chiudendo un ciclo quadriennale di un’agenda basata su detto pseudo-governo sovrapposto. Poi, si è ritenuto che si aprisse una nuova tappa nelle relazioni tra Venezuela e USA senza l’ostacolo del riconoscimento del “governo ad interim” e che, di default, i legami potessero fluire efficacemente per continuare lo sviluppo di accordi minimi.

Ma, da quel momento in poi, il dinamismo di questi negoziati sarebbe ristagnato.

In particolare, l’abilitazione delle risorse dell’accordo sociale sottoscritto in Messico, da parte del governo USA, non è divenuta effettiva e non vi sono, al momento, realistiche prospettive che tale impegno venga onorato.

Il 1° maggio l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) ha pubblicato la Licenza Generale n. 42 che stabilisce l’autorizzazione alla liquidazione delle attività della controllata di Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), Citgo Petroleum Corporation.

Detto documento ha aperto la porta per “indennizzare” i creditori internazionali che hanno citato in giudizio la controllata; se si concretizzasse, significherebbe la perdita assoluta del principale bene dello Stato venezuelano su suolo straniero.

Lo scorso gennaio il governo colombiano, attraverso la sua compagnia di stato Ecopetrol, ha chiesto all’OFAC una Licenza per autorizzare l’acquisto di gas dal Venezuela, ma tale richiesta non ha ricevuto risposta.

Il Dipartimento di Stato ha intensificato le tensioni con il Venezuela autorizzando l’ex deputata e latitante alla giustizia, Dinorah Figuera, ad avere accesso a conti bancari con circa 347 milioni di $ venezuelani, congelati nelle banche di quel paese.

Figuera sottrarrebbe quelle risorse sotto la spuria proprietà dell’AN-15, con cui l’amministrazione Biden darebbe ossigeno politico e finanziario a una nuova forma di governo parallelo venezuelano.

Gli USA hanno incompiuto le linee guida concordate e hanno piuttosto pensato di sostenere la pressione contro il Venezuela facendo saltare, con azioni retrograde, le possibilità e la portata nel contesto dei negoziati tra i due Paesi.

DISFARE IL TAVOLO?

 

In varie occasioni, sia il presidente Nicolás Maduro che il deputato e presidente di AN, Jorge Rodríguez, hanno espresso l’impossibilità di mantenere accordi con l’opposizione venezuelana e con il governo USA, considerando che non rispettano quanto pattuito. Hanno condizionato questo processo mediante valide ragioni.

Per quanto riguarda la sfera pubblica, il nuovo tratto di distanza tra Washington e Caracas impone la percezione che i giocatori abbiano tolto le carte dal tavolo e l’abbiano rivoltato.

I cinque principali rettori del Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) hanno recentemente presentato le loro dimissioni, provocando una crisi istituzionale. Secondo diverse angolazioni d’analisi, questa decisione avrebbe diverse spiegazioni.

Una di queste è che lo slittamento della diatriba verso un nuovo CNE sarebbe il risultato dell’impossibilità delle trattative e che, imponendo la sua maggioranza parlamentare, il chavismo designerebbe una nuova entità elettorale come meccanismo di pressione integrale sulle opposizioni interne e, quindi, al governo USA, attraverso un’azione di forza politica che non cede a pressioni e non esige interlocuzione politica. In altre parole, il chavismo creerebbe, attraverso un nuovo CNE, un nuovo inamovibile politico.

D’altra parte, la timida reazione di alcuni dirigenti dell’opposizione a questi annunci aiuta a imporre l’ipotesi che questo meccanismo avvenga per abilitare un nuovo CNE, che questo sarebbe concordato con alcuni capi dell’opposizione e che il chavismo rispetterebbe discreti accordi precedentemente raggiunti con gli antichavisti e il governo USA, a favore di un nuovo organismo che garantisca “elezioni libere”, come esigono i nordamericani.

Il livello di incongruenza tra le due possibilità è assoluto, poiché il quadro logico degli eventi si svolge tra grandi incertezze.

Di recente, la dirigente dell’opposizione María Corina Machado ha affermato che le elezioni primarie dell’opposizione erano, allo stesso tempo, un atto di legittimazione della dirigenza antichavista ed ha alluso che se avesse vinto quelle primarie avrebbe preso il controllo dei meccanismi di dialogo con il governo venezuelano.

Machado non ha mai convalidato i dialoghi con il chavismo ed è molto probabile che se la dirigenza oppositrice venisse abrogata, finisca per liquidare il meccanismo del Messico o quel che ne resta.

Nonostante il fatto che la recente visita di un funzionario a Caracas abbia risvegliato la possibilità di uno “scambio umanitario”, continua a prevalere il silenzio e non vi sono indicazioni pubbliche che forniscano una minima certezza di collegamenti attivi tra Washington e Caracas.

Il governo colombiano, guidato da Gustavo Petro, ha diretto la Conferenza Internazionale sul Processo Politico in Venezuela, a Bogotá, raggiungendo un consenso minimo, compresa la rilevanza di sbloccare il Venezuela attraverso una forma di “passi concordati” che vadano di pari passo con la revoca di tutte le misure coercitive.

Ma quella Conferenza non ha ricevuto un solido appoggio dall’amministrazione Biden e non ha prodotto risultati concreti. La sua portata risiede fondamentalmente nella discrezionalità del governo USA di rispettare gli accordi precedenti e ridurre le sue “sanzioni”, mentre le istituzioni venezuelane dovrebbero, date le circostanze attuali, eleggere un nuovo CNE e che questi pubblichi un calendario elettorale che, costituzionalmente, potrebbe dispiegarsi il prossimo anno.

Apparentemente, il chavismo potrebbe ottenere lo smantellando delle misure coercitive in cambio di elezioni, che realizzerebbe anche secondo la Costituzione, ma il quadro complessivo è ambiguo. Gli USA continuano a non rispettare gli accordi centrali e sembrano piuttosto agire per impedire la ripresa del Venezuela e creare così svantaggi elettorali per il chavismo. Il tutto mentre esigono “elezioni libere”.

Visto che i tempi stanno per scadere, ed a sei mesi dall’inizio del 2024, il chavismo potrebbe ritenere che un possibile allentamento “col contagocce” del blocco non potrebbe aiutare a riparare il danno politico causato da un accumulo di misure coercitive dispiegate in maniera pesante dal 2017, quasi sei anni fa.

Nello scenario in cui si verifichi, a breve termine, uno “scambio umanitario” tra Venezuela e USA, è molto probabile che si tratti di un elemento isolato e non si circoscriva in negoziati globali. Tutto sembra essere ad un punto morto.


¿POR QUÉ ESTÁ TRANCADO EL JUEGO EN VENEZUELA?

Diversos medios de comunicación indicaron la presencia del avión de siglas estadounidenses Phoenix Air Gulfstream III, propiedad del gobierno de Estados Unidos, en el aeropuerto internacional Maiquetía, en Venezuela.

En esta ocasión, el avión habría transportado a Roger Carstens, exsubsecretario de la Oficina de Democracia, Derechos Humanos y Trabajo del Departamento de Estado de Estados Unidos y actual enviado presidencial especial para Asuntos de Rehenes de ese país desde el año 2020.

Trascendió que este funcionario habría estado en contacto con varios detenidos estadounidenses en Venezuela y se habló de la posibilidad de que se preparaba un canje, que podría implicar el regreso al país petrolero del diplomático Alex Saab, secuestrado y judicializado en suelo norteamericano.

El evento transcurrió con hermetismo. No hubo pronunciamiento oficial, pero trajo a colación la cuestión de fondo: el estatus real de los vínculos de ambos gobiernos en tiempo presente, en un contexto en que las negociaciones parecen estancadas.

AVANCES, PARÁLISIS Y RETROCESO

Durante varias oportunidades del año pasado, la administración de Joe Biden envió funcionarios a Venezuela que fueron recibidos por el presidente Nicolás Maduro, dando por sentado de manera pública que habían establecidas vías de comunicación y negociación entre Washington y Caracas.

En octubre, fueron canjeados venezolanos y estadounidenses, en lo que sería el acuerdo más importante entre ambos países en años, relajando en mínima medida las tensiones.

En la Mesa de Diálogo instalada en México, en noviembre de 2022, las delegaciones del chavismo y la Plataforma Unitaria Democrática (PUD) habían logrado un acuerdo social que alcanzaba un monto de 3 mil 200 millones de dólares estadounidenses para atender materias como la salud y el suministro eléctrico. Estos recursos, pertenecientes al patrimonio de la nación, serían descongelados por el gobierno estadounidense para ser canalizados mediante entes adscritos al sistema de la Organización de Naciones Unidas (ONU).

También, en noviembre de 2022, el gobierno estadounidense emitió la Licencia GL 41, que autoriza a la transnacional petrolera Chevron a reanudar algunas operaciones que se encontraban suspendidas en Venezuela. Aunque esta Licencia aclaraba importantes límites para la actividad de Chevron, abrió perspectivas que suponían aliviar de manera muy modesta las presiones contra las actividades económicas petroleras en el país caribeño.

En enero de 2023, la llamada “Asamblea Nacional de 2015” (AN-15), reconocida en el presente por el gobierno de Joe Biden, puso fin al “interinato” de Juan Guaidó, cerrando un ciclo de cuatro años de agenda basada en dicho seudo-gobierno superpuesto. Entonces, se consideró que se abriría una nueva etapa en la relación entre Venezuela y Estados Unidos sin el obstáculo del reconocimiento al “gobierno interino” y que, por defecto, los vínculos podrían fluir efectivamente para continuar el desarrollo de acuerdos mínimos.

Pero el dinamismo en estas negociaciones se estancaría desde entonces.

En concreto, la habilitación de los recursos del acuerdo social subscrito en México, por parte del gobierno estadounidense, no se hizo efectiva y no hay perspectivas realistas en el presente de que dicho compromiso sea honrado.

El pasado 1 de mayo la Oficina de Control de Activos Extranjeros (OFAC, sus siglas en inglés) publicó la Licencia General Nº 42 que establece la autorización para liquidar los activos de la filial de Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), Citgo Petroleum Corporation.

Dicho documento abrió la puerta para “indemnizar” a los acreedores internacionales que han demandado a la filial; de concretarse, significaría la pérdida absoluta del principal activo del Estado venezolano en suelo extranjero.

En enero pasado, el gobierno colombiano, mediante su empresa estatal Ecopetrol, solicitó a la OFAC una Licencia para autorizar compra de gas a Venezuela, pero tal solicitud no ha contado con respuesta.

El Departamento de Estado recrudeció las tensiones con Venezuela al autorizar a la exdiputada y prófuga de la justicia, Dinorah Figuera, a tener acceso a cuentas bancarias con aproximadamente 347 millones de dólares de Venezuela, congelados en bancos de ese país.

Figuera desfalcaría esos recursos bajo la espuria titularidad de la AN-15, con lo cual la administración Biden daría oxígeno político y financiero a una nueva forma de gobierno paralelo venezolano.

Los estadounidenses han incumplido pautas acordadas y más bien han previsto sostener la presión contra Venezuela, dinamitando con acciones retrógradas las posibilidades y alcances en el contexto de negociaciones entre ambos países.

¿DESHACER LA MESA?

En diversas oportunidades, tanto el presidente Nicolás Maduro como el diputado y presidente de la AN, Jorge Rodríguez, han manifestado la inviabilidad de mantener vías de convenio con la oposición venezolana y con el gobierno estadounidense, por considerar que no cumplen con lo pactado. Han condicionado dicho proceso mediante razones válidas.

Respecto al ámbito público, el nuevo trecho de distancia entre Washington y Caracas impone la percepción de que los jugadores han retirado las cartas de la mesa y la han levantado.

Los cinco rectores principales del Concejo Nacional Electoral (CNE) presentaron sus renuncias recientemente, propiciándose un trance institucional. De acuerdo con varios ángulos del análisis, esta decisión tendría varias explicaciones.

Una de ellas es que el deslizamiento de la diatriba a un nuevo CNE sería resultado de la inviabilidad de las negociaciones y que, imponiendo su mayoría parlamentaria, el chavismo designaría a un nuevo ente comicial como mecanismo de presión integral a las oposiciones internas y, por ende, al gobierno estadounidense, mediante una acción de fuerza política que no cede a presiones y no demanda interlocución política. Es decir, el chavismo crearía, mediante un nuevo CNE, un nuevo inamovible político.

En cambio, la tímida reacción de algunos dirigentes opositores a esos anuncios ayuda a imponer la hipótesis de que este mecanismo tendría lugar a fin de habilitar un nuevo CNE, de que ello estaría pactado con algunos dirigentes opositores y que el chavismo daría cumplimiento a acuerdos discretos previamente alcanzados con antichavistas y el gobierno estadounidense, en favor de un nuevo ente que garantice “elecciones libres”, tal como exigen los norteamericanos.

El nivel de incongruencia entre ambas posibilidades es absoluto, pues el marco lógico de los eventos transcurre entre grandes incertidumbres.

Hace poco la dirigente opositora María Corina Machado dijo que las elecciones primarias de la oposición eran al mismo tiempo un acto de legitimación del liderazgo antichavista, y aludió que de ganar esas primarias se haría del control de los mecanismos de diálogo con el gobierno venezolano.

Machado jamás ha convalidado los diálogos entre el chavismo y es altamente probable que de abrogarse el liderazgo opositor termine liquidando el mecanismo de México, o lo que queda de él.

Aunque la visita reciente de un funcionario a Caracas ha despertado las posibilidades de un “canje humanitario”, el silencio sigue predominando y no hay indicios públicos que brinden mínima certidumbre de vínculos activos entre Washington y Caracas.

El gobierno de Colombia encabezado por Gustavo Petro lideró la Conferencia Internacional sobre el Proceso Político en Venezuela en Bogotá, alcanzando consensos mínimos, entre ellos la pertinencia de desbloquear a Venezuela mediante una forma de “pasos acordados” que vayan en paralelo con el levantamiento de todas las medidas coercitivas.

Pero esa Conferencia no recibió un respaldo sólido de la administración Biden y no ha generado resultados concretos. Su alcance reside fundamentalmente en la discrecionalidad del gobierno estadounidense de cumplir con acuerdos anteriores y desescalar sus “sanciones”, mientras que las instituciones venezolanas tendrían que, dadas las circunstancias actuales, elegir un nuevo CNE y que este publique un calendario electoral que constitucionalmente podría desplegarse el año próximo.

En apariencia, el chavismo podría ganar en el desmontaje de medidas coercitivas a cambio de unas elecciones que igualmente realizaría de acuerdo con la Constitución, pero todo el cuadro es ambiguo. Los estadounidenses siguen sin cumplir los acuerdos centrales y más bien parecen actuar para impedir la recuperación de Venezuela y así crear desventajas electorales al chavismo. Todo mientras exigen “elecciones libres”.

Una vez que los tiempos están en vías de agotamiento, y a seis meses para el inicio de 2024, el chavismo podría considerar que un posible aflojamiento “a cuentagotas” del bloqueo, no podría ayudar a deshacer el daño político causado por un acumulado de medidas coercitivas desplegadas de manera contundente desde 2017, hace casi seis años.

En el escenario de que en el corto plazo ocurra un “intercambio humanitario” entre Venezuela y Estados Unidos, es muy probable que este sea un elemento aislado y no se circunscriba en negociaciones integrales. Todo parece estar en un punto muerto.

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