Sono stati centinaia gli appelli al dialogo con settori dell’opposizione da parte del presidente Nicolás Maduro. Tendere la mano e cercare comprensione è stata anche una costante durante la presidenza di Hugo Chávez. Tuttavia, bisogna capire che gli USA sono intervenuti nei diversi processi di questa indole nei momenti più importanti. Di seguito è riportato un resoconto.
SANTO DOMINGO: UNA CHIAMATA CHE HA CAMBIATO TUTTO
Nel 2016, il governo venezuelano ha fatto un appello al dialogo. Il processo aveva già avuto incontri esplorativi nella Repubblica Dominicana durante quell’anno. A marzo si sono incontrati rappresentanti del governo e dell’opposizione, accompagnati dall’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e dagli ex presidenti José Luis Rodríguez Zapatero (Spagna), Martín Torrijos (Panama) e Leonel Fernández (Repubblica Dominicana), che hanno agito da intermediari. Nell’ottobre 2016, il Vaticano si è incorporato al processo attraverso il commissario Emil Paul Tscherrig.
Come valvola di pressione di fronte all’avanzata (della rivoluzione ndt) colorata dell’opposizione nel 2017, chiamata anche guarimbas, a settembre, è stato organizzato un incontro di due giorni a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana, per esplorare un processo di dialogo che aiutasse a superare la crisi venezuelana.
Il presidente dominicano Danilo Medina ha annunciato che Messico, Cile, Bolivia e Nicaragua avrebbero integrato una commissione per seguire detti colloqui e fissava il prossimo incontro per il 27 di quel mese. L’opposizione non ha partecipato a quella data e ha annunciato che avrebbe continuato con la “fase esplorativa” del dialogo politico una volta che “siano rimossi gli ostacoli” presumibilmente posti dal governo venezuelano.
A novembre i ministri degli Esteri dei Paesi che accompagnano il dialogo si sono riuniti ed hanno definito l’ordine del giorno da discutere l’1 e il 2 dicembre. In questa data è iniziato a Santo Domingo un nuovo ciclo di dialogo con l’accompagnamento di Messico, Paraguay e Cile, su richiesta dell’opposizione; e Bolivia, Nicaragua e Saint Vincent e Grenadine, su richiesta del governo venezuelano. Si è concluso con “significativi progressi”, secondo Medina.
Poi, a dicembre, c’è stato un altro incontro e, il 23, la Commissione per la Verità ha raccomandato il rilascio di più di 80 persone che erano state arrestate durante le guarimbas, come richiesto dai rappresentanti dell’opposizione. Dopo “importanti progressi” raggiunti tra l’11 e il 12 gennaio 2018, un nuovo ciclo di colloqui è stato rinviato dall’opposizione il 18 di quel mese. L’argomento era che il governo venezuelano poneva “nodi” nel processo di dialogo, mentre il portavoce della delegazione governativa, Jorge Rodríguez, ha spiegato che la decisione rispondeva alle pressioni USA affinché non si raggiungesse un accordo di pace.
Durante quel mese, i governi di Messico e Cile, accompagnanti richiesti dall’opposizione, hanno rinunciato ai loro ruoli di “osservatori” a causa della convocazione delle elezioni da parte dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) eletta nel 2017. I partiti hanno concordato di incontrarsi a febbraio ma, dopo un’atmosfera rarefatta dovuta alle divisioni dell’opposizione, alla neutralizzazione di un gruppo terroristico capeggiato dall’ex poliziotto Óscar Pérez e alla sospensione della data (5 febbraio), si sono riuniti il giorno successivo.
Una telefonata dell’allora Segretario di Stato USA dell’amministrazione Donald Trump, Rex Tillerson, al membro della delegazione dell’opposizione, Julio Borges, ha cambiato tutto. Sebbene il governo venezuelano avesse già firmato l’Accordo di Pace e Convivenza Pacifica, l’opposizione ha scelto di non fare lo stesso. Il testo finale conteneva i punti precedentemente concordati il 31 gennaio nel Paese caraibico e quelli concordati tra le parti nelle riunioni di Caracas.
A nome della delegazione governativa, Rodríguez ha specificato i dettagli sulla chiamata di Tillerson, che si trovava a Bogotà nell’ambito di un giro per aumentare la pressione sul Venezuela.
Il 7, dopo che Medina ha riferito che il dialogo stava andando in una pausa a tempo indeterminato perché la delegazione dell’opposizione disconosceva l’accordo, Maduro ha firmato il testo. Inoltre, ha manifestato la sua disposizione a proseguire il dialogo con l’opposizione e raggiungere un accordo definitivo.
Da parte sua, Zapatero ha chiesto, con una lettera al Tavolo di Unità Democratica (MUD), di firmare l’accordo, “una volta che il Governo si è impegnato a rispettare scrupolosamente quanto pattuito”.
NORVEGIA E BARBADOS: “FALSE SCUSE”?
Il 2019 è stato un anno intenso, con più attacchi multifattoriali per sfrattare il chavismo dal governo. Nel maggio di quell’anno, il presidente Maduro ha annunciato l’avvio di un nuovo processo di dialogo con l’opposizione con la mediazione della Norvegia. L’allora deputato Juan Guaidó, volto visibile dell’operazione di cambio di regime, ha informato di avere “inviati” in Norvegia e che l’opposizione non si sarebbe prestata a “falsi negoziati”.
Le delegazioni negoziali che si sono recate a Oslo (Norvegia) erano composte dall’allora ministro delle Comunicazioni, Jorge Rodríguez, e dal governatore dello stato di Miranda, Héctor Rodríguez. Per il settore oppositore si sono recati l’allora vicepresidente dell’Assemblea Nazionale (AN), Stalin González, accompagnato dai consiglieri politici Gerardo Blyde e Fernando Martínez.
Entrambe le parti hanno annunciato l’avvio di un processo esplorativo, Maduro ha spiegato che lo scopo era quello di istituire un tavolo negoziale che costruisse “accordi di pace tra le parti”. González, da parte sua, ha segnalato che non ci sono stati incontri diretti tra le due delegazioni.
Nel luglio di quell’anno, alle Barbados, è iniziato un tavolo di negoziazione. Hanno partecipato rappresentanti dei due settori e, sebbene non vi sia stata alcuna ulteriore divulgazione di informazioni, i media speculavano su possibili elezioni.
Mentre incoraggiava l’attivazione del Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR) contro il Venezuela, Guaidó firmava, a settembre, una dichiarazione, diffusa su Twitter, in cui annunciava che il governo costituzionale, guidato dal presidente Maduro, aveva interrotto i colloqui alle Barbados più di 40 giorni addietro.
Ha detto: “Il regime dittatoriale di Nicolás Maduro ha abbandonato il processo di negoziazione con false scuse: dopo più di 40 giorni in cui si sono rifiutati di proseguire, confermiamo che il meccanismo delle Barbados si è esaurito”.
A proposito delle “false scuse”: la decisione del presidente Maduro era dovuta al fatto che il 5 agosto di quell’anno l’allora presidente USA, Donald Trump, aveva ordinato il congelamento di tutti gli attivi del governo venezuelano in territorio USA, che è stato qualificato da Caracas come “terrorismo economico”.
Nel comunicato, il governo venezuelano ha affermato che la sospensione del dialogo era dovuta al fatto che Guaidó “celebra, promuove e sostiene queste azioni lesive”. Aveva detto che le misure imposte da Washington erano “la conseguenza dell’arroganza di un’usurpazione insostenibile e indolente. Coloro che la sostengono, beneficiandosi della fame e del dolore dei venezuelani, devono sapere che ha delle conseguenze”.
La misura è stata applicata a “tutti i beni e gli interessi di proprietà del governo del Venezuela che si trovano negli USA o che sono sotto il potere o il controllo di qualsiasi persona degli USA”. L’ordine dice che gli attivi “sono bloccati e non possono essere trasferiti, pagati, esportati, ritirati o trattati in altro modo”. L’allora presidente USA ha giustificato l’embargo delle proprietà dell’Esecutivo venezuelano “alla luce della continua usurpazione del potere da parte del regime illegittimo di Nicolás Maduro”.
Come argomentazione, l’ordine interventista alludeva a “violazioni dei diritti umani, arresti arbitrari e detenzione di cittadini venezuelani, riduzione della libertà di stampa e tentativi di minare il presidente ad interim Juan Guaidó e l’Assemblea Nazionale democraticamente eletta”.
La misura, come altre, è servita a sequestrare società venezuelane all’estero come la controllata di Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), Citgo Petroleum Corporation (USA) e Monomeros Colombo-Venezolanos (Colombia), sono state occupate ambasciate venezuelane in diversi paesi, sono stati sospesi programmi sanitari ad alto costo, sono stati bloccati conti che costituivano entrate per missioni sociali, infrastrutture e salari del settore pubblico.
MESSICO: ANCORA WASHINGTON COME FATTORE DECISIVO
Nel luglio 2021 il governo venezuelano si è dichiarato pronto ad avviare nuove giornate di dialogo con l’opposizione, questa volta si sarebbero tenute in Messico, con l’obiettivo di raggiungere accordi a favore della sovranità del Paese.
Il presidente Maduro ha dichiarato: “Siamo pronti ad andare in Messico per sederci al tavolo di dialogo con l’opposizione, con un’agenda realistica, venezuelana, affinché tutte le misure coercitive unilaterali siano revocate, per la pace” e ha augurato il successo nelle elezioni di governatori e sindaci che si sono realizzate nel novembre dello stesso anno.
I portavoce ufficiali sarebbero stati Héctor Rodríguez, governatore dello stato di Miranda, e Jorge Rodríguez, già allora presidente dell’Assemblea Nazionale (AN). Il 13 agosto successivo, sia Rodríguez che Gerardo Blyde, per la Piattaforma Unitaria Democratica (PUD), hanno firmato in Messico un “memorandum d’intesa” che formalizzava l’inizio del dialogo. Entrambe le delegazioni hanno mostrato la loro disponibilità a “concordare le condizioni necessarie per lo svolgimento dei processi elettorali consacrati nella Costituzione con tutte le garanzie e comprendendo la necessità che si revochino le sanzioni internazionali”.
Nella delegazione governativa è stato incorporato il diplomatico venezuelano Alex Saab, irregolarmente detenuto dal governo di Capo Verde mentre realizzava manovre per aggirare le misure imposte dagli USA contro il Venezuela. Questa è stata respinta dal PUD, affermando che si trattava di “una strategia di difesa del regime prima del processo giudiziario tra due paesi con separazione dei poteri e democrazia, i cui organi giurisdizionali stanno seguendo un processo di estradizione”.
Il Tribunale di Giustizia della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), organismo a cui appartiene Capo Verde, ha ordinato la liberazione immediata di Saab e la conclusione del processo di estradizione, il 15 marzo dello stesso anno, la giustizia del paese africano lo ha ignorato.
I round di dialogo sono proseguiti e si sono stabiliti accordi parziali mentre Saab permaneva detenuto a Capo Verde, tuttavia, alla vigilia del quarto round di accordi di dialogo che da realizzarsi il 17 ottobre, Rodríguez ha annunciato la sospensione della riunione del tavolo di dialogo in Messico per protesta per l’estradizione e trasferimento di Alex Saab negli USA. A novembre, il presidente Maduro ha dichiarato che non c’erano le condizioni per tornare al dialogo a causa del caso Saab, mentre il PUD si riuniva con il Dipartimento di Stato USA facendo un appello al governo affinché riprendesse il dialogo in Messico.
Un anno dopo, nel novembre 2022, sono tornati a dialogare in Messico e, come risultato, è stato firmato il Secondo Accordo Parziale per la Protezione del Popolo Venezuelano avendo come mediatori il governo norvegese, rappresentato da Dag Nylander, e con la presenza dell’allora ministro messicano degli esteri, Marcelo Ebrard. Questo meccanismo cercava di “affrontare bisogni sociali vitali e affrontare problemi di servizi pubblici, basati sul recupero di risorse legittime, proprietà dello Stato venezuelano, che oggi sono bloccate nel sistema finanziario internazionale”.
La concretizzazione del suddetto accordo consisteva nella liberazione dei fondi venezuelani illegalmente sequestrati dalle “sanzioni” USA, circa 3,2 miliardi di $, che ad oggi continuano ad essere trattenuti. L’opposizione, che fin dall’inizio ha guidato l’appropriazione illegale degli attivi venezuelani, ha rilasciato molteplici dichiarazioni incolpando il governo per il suo inadempimento.
Ogni portavoce ha esposto una scusa diversa, dal non sapere dove sono depositati i fondi sino alla non liberazione di politici incarcerati per reati comuni.
Inoltre, gli USA mantengono sequestrato un asset venezuelano come Citgo, ciò facilitato dal settore dell’opposizione rappresentato da Guaidó. Continua inoltre a riconoscere l’AN eletta nel 2015, il cui mandato è scaduto nel gennaio 2021. Di questa entelechia fa parte un Comitato per l’Amministrazione e Protezione degli Attivi del Paese all’Estero, che continua a manovrare per usufruttare i beni nazionali che dispone a discrezione della Casa Bianca.
Washington è apparsa in tutti i tentativi di dialogo per scalciare il tavolo o rompere con gli accordi firmati da un’opposizione senza direzione propria. Stanno cercando di prolungare gli effetti sociali ed economici negativi causati dalle loro misure interventiste per aumentare il malcontento della popolazione e catalizzare pressioni e ricatti contro il governo venezuelano.
Ad oggi questi effetti, che colpiscono il reddito familiare ed i servizi di base, tra altri fattori economici e sociali nel Paese, sono motivo di capitalizzazione nelle elezioni primarie in cui le dirigenze di alcuni settori dell’opposizione hanno promesso di misurarsi. Il malcontento è nei loro calcoli, invocandolo con attacchi all’economia, ma anche attraverso provocazioni e sabotaggi di ogni tentativo di dialogo in Venezuela.
WASHINGTON HIZO COLAPSAR TODO INTENTO DE DIÁLOGO EN VENEZUELA
Han sido cientos los llamados a diálogo con sectores de la oposición por parte del presidente Nicolás Maduro. Extender la mano y buscar el entendimiento fue también una constante durante la presidencia de Hugo Chávez. Sin embargo, hay que entender que en los distintos procesos de esa índole ha intervenido Estados Unidos en los momentos más cumbres. A continuación un recuento.
SANTO DOMINGO: UNA LLAMADA QUE LO CAMBIÓ TODO
En 2016, el gobierno venezolano realizó un llamado al diálogo. El proceso ya había tenido encuentros exploratorios en República Dominicana durante ese año. En marzo, se encontraron representantes del gobierno y oposición acompañados de la Unión de Naciones Sudamericanas (Unasur) y los expresidentes José Luis Rodríguez Zapatero (España), Martín Torrijos (Panamá) y Leonel Fernández (República Dominicana), quienes sirvieron como intermediarios. En octubre de 2016 se incorporó en el proceso el Vaticano a través del comisionado Emil Paul Tscherrig.
Como válvula de presión ante la avanzada de color de la oposición en 2017, también llamadas guarimbas, se organizó en septiembre una reunión de dos días en Santo Domingo, capital de República Dominicana, para explorar un proceso de diálogo que ayudara a superar la crisis venezolana.
El presidente dominicano Danilo Medina anunció que México, Chile, Bolivia y Nicaragua integrarían una comisión de seguimiento a dichas conversaciones, y fijó la siguiente reunión para el 27 de ese mes. La oposición no acudió en esa fecha y anunció que continuarían con la “fase exploratoria” del diálogo político una vez que “sean removidos los obstáculos” supuestamente colocados por el gobierno venezolano.
En noviembre, se reunieron los cancilleres de los países acompañantes del diálogo y definieron la agenda que se discutiría el 1° y el 2 de diciembre. En esta fecha inició una nueva ronda de diálogo en Santo Domingo con el acompañamiento de México, Paraguay y Chile, a solicitud de la oposición; y Bolivia, Nicaragua y San Vicente y Granadinas, a solicitud del gobierno venezolano. Se concluyó con “significativos avances”, según Medina.
Luego, en diciembre, hubo otra reunión y, el día 23, la Comisión de la Verdad recomendó excarcelar a más de 80 personas que fueron detenidas durante las guarimbas, tal como lo solicitaron los representantes de la oposición. Luego de “importantes avances” logrados entre el 11 y el 12 de enero de 2018, una nueva ronda de conversaciones fue aplazada por la oposición el 18 de ese mes. El argumento fue que el gobierno venezolano ponía “nudos” al proceso de diálogo, entretanto el vocero de la delegación gubernamental, Jorge Rodríguez, explicó que la decisión respondía a presiones de Estados Unidos para que no se alcanzara un acuerdo de paz.
Durante ese mes, los gobiernos de México y Chile, acompañantes solicitados por la oposición, renunciaron a sus roles de “observadores” debido a la convocatoria de elecciones por parte de la Asamblea Nacional Constituyente (ANC) elegida en 2017. Las partes acordaron reunirse en febrero pero, luego de un ambiente enrarecido por divisiones en la oposición, neutralización de un grupo terrorista encabezado por el expolicía Óscar Pérez y la suspensión de la fecha (5 de febrero), se reunieron al día siguiente.
Una llamada del entonces secretario de Estado de Estados Unidos de la administración de Donald Trump, Rex Tillerson, al miembro de la delegación opositora, Julio Borges, lo cambió todo. Aunque ya el gobierno venezolano había firmado el Acuerdo de Paz y de Convivencia Pacífica, la oposición optó por no hacer lo mismo. El texto final contenía los puntos previamente acordados el 31 de enero en el país caribeño y los pactados entre las partes en reuniones en Caracas.
Por la delegación gubernamental, Rodríguez especificó detalles sobre la llamada de Tillerson, quien estaba en Bogotá como parte de una gira para aumentar la presión sobre Venezuela.
El día 7, luego de que Medina informara que el diálogo entraba en receso indefinido porque la delegación opositora desconocía el acuerdo, Maduro suscribió el texto. Además, manifestó su disposición a continuar el diálogo con la oposición y llegar a un acuerdo final.
Por su parte, Zapatero pidió a la Mesa de Unidad Democrática (MUD) mediante una misiva que suscribiera lo pactado, “una vez que el Gobierno se ha comprometido a respetar escrupulosamente lo acordado”.
NORUEGA Y BARBADOS: ¿”EXCUSAS FALACES”?
El año 2019 fue intenso, con más ataques multifactoriales para desalojar al chavismo del gobierno. En mayo de ese año, el presidente Maduro anunció el inicio de un nuevo proceso de diálogo con la oposición y con la mediación de Noruega. El entonces diputado Juan Guaidó, cara visible de la operación de cambio de régimen, informó que tenía “enviados” en Noruega y que la oposición no se prestaría para “falsas negociaciones”.
Las delegaciones negociadoras que viajaron a Oslo (Noruega) estuvieron conformadas por el entonces ministro de Comunicación, Jorge Rodríguez, y el gobernador del estado Miranda, Héctor Rodríguez. Por el sector opositor viajaron el entonces vicepresidente de la Asamblea Nacional (AN), Stalin González, acompañado de los asesores políticos Gerardo Blyde y Fernando Martínez.
Ambos bandos anunciaron un proceso exploratorio iniciado, Maduro explicó que el propósito era entablar una mesa de negociaciones que construyera “acuerdos de paz entre las partes”. González por su parte señaló que no hubo reuniones directas entre ambas delegaciones.
En julio de ese año inició una mesa de negociación en Barbados. Participaron representantes de los dos sectores, y aunque no hubo mayor divulgación de información, los medios especulaban respecto a posibles elecciones.
Mientras alentaba a que se activara el Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca (TIAR) contra Venezuela, Guaidó firmaba en septiembre un comunicado, que fue difundido en Twitter, donde anunciaba que el gobierno constitucional, encabezado por el presidente Maduro, había dejado las conversaciones en Barbados más de 40 días atrás.
Dijo: “El régimen dictatorial de Nicolás Maduro abandonó el proceso de negociación con excusas falaces: tras más de 40 días en los que se han negado a continuar en el mismo, confirmamos que el mecanismo de Barbados se agotó”.
Respecto a las “excusas falaces”: la decisión del presidente Maduro fue debido a que el 5 de agosto de ese año el entonces presidente de Estados Unidos, Donald Trump, había ordenado congelar todos los activos del gobierno de Venezuela en territorio estadounidense, lo que fue calificado por Caracas como “terrorismo económico”.
En el comunicado, el gobierno venezolano afirmó que la suspensión del diálogo se debía a que Guaidó “celebra, promueve y apoya estas acciones lesivas”. Este había dicho que las medidas impuestas por Washington eran “la consecuencia de la soberbia de una usurpación inviable e indolente. Aquellos que la sostienen, beneficiándose del hambre y del dolor de los venezolanos, deben saber que tiene consecuencias”.
La medida se aplicó sobre “todos los bienes e intereses de propiedad del gobierno de Venezuela que se encuentran en Estados Unidos o que se encuentran bajo el poder o control de cualquier persona de Estados Unidos”. La orden dice que los activos “están bloqueados y no pueden ser transferidos, pagados, exportados, retirados o tratados de ninguna otra manera”. El entonces presidente estadounidense justificó el embargo de propiedades del Ejecutivo venezolano “a la luz de la continua usurpación del poder por parte del régimen ilegítimo de Nicolás Maduro”.
Como argumento la orden injerencista aludió a “los abusos a los derechos humanos, arrestos arbitrarios y detención de ciudadanos venezolanos, la reducción de la libertad de prensa, y los intentos por socavar al presidente interino Juan Guaidó y a la Asamblea Nacional elegida democráticamente”.
La medida, como otras, sirvió para incautar empresas venezolanas en el exterior como la filial de Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), Citgo Petroleum Corporation (Estados Unidos) y Monómeros Colombo-Venezolanos (Colombia), se ocuparon embajadas venezolanas en varios países, fueron suspendidos programas de atención sanitaria de alto costo, fueron bloqueadas cuentas que constituían ingresos para las misiones sociales, infraestructura y salarios del sector público.
MÉXICO: WASHINGTON COMO FACTOR DECISIVO, OTRA VEZ
En julio de 2021, el gobierno de Venezuela se declaró preparado para dar inicio a nuevas jornadas de diálogo con la oposición, esta vez se realizarían en México, con el objetivo de lograr acuerdos en pro de la soberanía del país.
El presidente Maduro declaró: “Estamos listos para ir a México a sentarnos en la mesa de diálogo con la oposición, con una agenda realista, venezolana, para que se levanten todas las medidas coercitivas unilaterales, por la paz” y auguró éxito en las elecciones de gobernadores y alcaldes que se realizarían en noviembre de ese año.
Los portavoces oficiales serían Héctor Rodríguez, gobernador del estado Miranda, y Jorge Rodríguez, ya en ese momento presidente de la Asamblea Nacional (AN). El 13 de agosto siguiente tanto Rodríguez como Gerardo Blyde, por la Plataforma Unitaria Democrática (PUD), firmaron en México un “memorando de entendimiento” que formalizaba el inicio del diálogo. Ambas delegaciones mostraron su disposición a “acordar las condiciones necesarias para que se lleven a cabo los procesos electorales consagrados en la Constitución con todas las garantías y entendiendo la necesidad de que sean levantadas las sanciones internacionales”.
A la delegación gubernamental fue incorporado el diplomático venezolano Alex Saab, detenido de manera irregular por el gobierno de Cabo Verde cuando realizaba gestiones para sortear las medidas impuestas por Estados Unidos contra Venezuela. Esto fue rechazado por la PUD expresando que se trataba de “una estrategia de defensa del régimen ante el proceso judicial entre dos países con separación de poderes y democracia, cuyos órganos jurisdiccionales siguen un proceso de extradición”.
El Tribunal de Justicia de la Comunidad Económica de Estados de África Occidental (CEDEAO), organismo al que pertenece Cabo Verde, ordenó la liberación inmediata de Saab y la terminación del proceso de extradición el 15 de marzo de ese año, la justicia del país africano hizo caso omiso.
Las rondas de diálogo continuaron y se establecieron acuerdos parciales mientras Saab permanecía detenido en Cabo Verde, sin embargo, en vísperas de la cuarta ronda de acuerdos de diálogo a realizarse el 17 de octubre, Rodríguez anunció la suspensión de la reunión de la mesa de diálogo en México en protesta por la extradición y traslado de Alex Saab a Estados Unidos. En noviembre, el presidente Maduro manifestó que no existían condiciones para retornar al diálogo debido al caso Saab, mientras la PUD se reunía con el Departamento de Estado de Estados Unidos haciendo un llamado al gobierno para que reanudara el diálogo en México.
Un año después, en noviembre de 2022, regresaron al diálogo en México y, como resultado, se firmó el Segundo Acuerdo Parcial para la Protección del Pueblo Venezolano teniendo como mediadores al gobierno de Noruega representado por Dag Nylander y con la presencia del entonces ministro mexicano de Relaciones Exteriores, Marcelo Ebrard. Este mecanismo buscaba “abordar necesidades sociales vitales y atender problemas de servicios públicos, con base en la recuperación de recursos legítimos, propiedad del Estado venezolano, que hoy se encuentran bloqueados en el sistema financiero internacional”.
La concreción del mencionado acuerdo consistía en la liberación de los fondos venezolanos ilegalmente secuestrados por las “sanciones” estadounidenses, unos 3 mil 200 millones de dólares, que hasta esta fecha continúan retenidos. La oposición, que desde el principio dirigió la apropiación ilegal de los activos venezolanos, ha emitido múltiples declaraciones culpando al gobierno de su incumplimiento.
Cada vocero ha expuesto una excusa distinta, desde que no saben dónde están depositados los fondos hasta la no liberación de políticos presos por delitos comunes.
Además, Estados Unidos mantiene incautado un activo venezolano como Citgo, esto facilitado por el sector opositor representado por Guaidó. También sigue reconociendo a la AN electa en 2015, cuyo período se extinguió en enero de 2021. De esa entelequia forma parte un Comité de Administración y Protección de Activos del país en el Exterior que sigue maniobrando para usufructuar activos nacionales de los que dispone a discreción de la Casa Blanca.
Washington ha aparecido en todos los intentos de diálogo para patear la mesa o romper con los acuerdos firmados por una oposición sin dirección propia. Intentan prolongar los efectos sociales y económicos negativos que han causado sus medidas injerencistas para profundizar el malestar de la población y catalizar presiones y chantajes contra el gobierno venezolano.
Al día de hoy, estos efectos, que afectan el ingreso familiar y los servicios básicos, entre otros factores económicos y sociales en el país, son motivo de capitalización en las elecciones primarias en las que han prometido medirse las dirigencias de algunos sectores opositores. El malestar está en sus cálculos, invocándolo con ataques a la economía, pero también por la vía de provocaciones y sabotajes a todo intento de diálogo en Venezuela.