Un 17 giugno di 113 anni fa moriva Máximo Gómez, cubano per merito e amore
«A cavallo per il cammino, con il campo di mais a un lato e quello delle canne dall’altro, fermandosi a un angolo per comporre la barriera, entrando in una capanna per dare della sua povertà a un infelice; montando a cavallo con un salto, strappando veli come chi ha inchiodato nell’anima un paio di speroni, come chi non vede nel mondo vuoto null’altro che il combattimento e la redenzione.
Come chi non conosce nella vita passeggera maggior gusto che quello di portare gli uomini dall’avvilimento alla dignità, va per la terra di Santo Domingo dal lato di Montecristi un cavaliere pensoso, caduto sulla sua sella come nel sedile naturale, obbedienti i muscoli sotto i vestiti larghi, il fazzoletto al collo, la cravatta contadina e per fare ombra al viso olivastro il feltro veterano.
Alla porta di casa sua che per maggior pulizia domestica si trova dove già comincia la montagna escono a riceverlo, a liberarlo del carico delle sacche, abbracciarlo innamorati, arrampicandosi l’ultima bambina sino ai baffi bianchi, i figli che sono nati quando lui combatteva per fare un popolo libero.
La donna che glieli ha dati e li ha educati al passaggio dei combattimenti nella culla delle sue braccia, lo guarda un po’ indietro in un silenzio che è delizia, bagnato il viso di quella bellezza che la vera grandezza dona alle anime; la figlia reclinata sulla spalla della madre lo guarda come un innamorato: questo è Maximo Gomez.
/Frammento dell’articolo El General Gómez/