Dimensione di Eusebio

Silvio Rodríguez https://nostramerica.wordpress.com

Caro Eusebio, la prima volta che ci siamo incrociati non ero stato in grado di indovinare la tua vera dimensione. Non so se ti ricordi. eravamo nell’ufficio che Aida Santamaría aveva in via San Ignacio e Empedrado. Quella mattina sei entrato un momento, le hai sussurrato qualcosa e poi hai proseguito con il tuo passo silenzioso e la tua camicia come quella di tutti i cubani. Erano state così tenui la tua entrata e la tua uscita che potevo anche essermele sognate. Ma quella donna indimenticabile mi aveva subito raccontato che eri stato oggetto “delle crudeli realtà delle nostre vite”. Tu non l’hai mai saputo, ma da quell’istante sono stato dalla tua parte.

Questo sarà accaduto circa mezzo secolo fa. Non ricordo se Aida mi avesse detto che eri il nuovo Storico della Città. In verità, in quel tempo parlavamo poco di chi eravamo, ci preoccupavamo soprattutto di quello che volevamo essere. In una città in cui ogni giornata è storia vivissima del mondo, uno studioso, una funzionaria geniale e un cantautore potevano essere invisibili.

Poi ho cominciato a individuarti, sempre fugacemente, oltre le terze e le quarte file come se preferissi il basso profilo, come se rifuggissi dalle luci. “Sarà un vampiro”, una volta che ti ho visto al riparo delle ombre, esibendo le tue arti. Poi sono arrivati gli anni settanta e hai presentato quel gruppo di architetti ai quali ho apportato, casualmente, delle foto. Allora ha cominciato a profilarsi quello che stavi ricamando con pazienza cinese e ho avuto un assaggio della tua dimensione. Per questo, un giorno a Camagüey, quando hai inaugurato la targa in memoria di Agramonte, ti ho detto sottovoce: “Fratello, io credo che anche tu avrai la tua targa”.

Non dimenticherò mai quella settimana in cui Alfredo Guevara ci ha fatto coincidere a Venezia e tu raccontavi della giornata in cui fu fondata Venezia, in una piazza San Marco che, con mia sorpresa, si allagava, vicino al Caffè Florian, con Fina García Marrúz e Cintio Vitier sotto il Ponte dei Sospiri, in cui ci siamo fatte delle foto. E poi, la sera, ci siamo ritrovati a girare intorno al Teatro La Fenice, emozionati e imparentati dallo stesso appetito.

Siamo così diversi, caro Eusebio, e allo stesso tempo così uguali che c’è da sorprendersi. Tu sei rimasto vicino a tua madre fino alla fine, io vivo insieme alla mia fino a che uno dei due se ne andrà. Tu, anche quando chi amavi non sempre ti ha corrisposto, contro tutto e tutti hai continuato ad amare. E il bello è che hai saputo farlo lasciando fuori la banalità, meraviglia sempre più rara.

Oggi che la tua opera e la tua dimensione diventano quasi incommensurabili, ti confesso che mi vedo in te, caro Fratello; non nella tua incomparabile statura, benefattrice della città e del paese, ma nel quotidiano lavorio per estrarre dal fondo di noi stessi ciò che ci fa buoni.

Grazie per questo, da e per sempre.

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