“È il capitalismo, stupido”

I fatti, ostinati, dimostrano che Trump ed il “trumpismo” non sono altro che il prodotto della decomposizione del capitalismo e della generazione, nelle sue viscere, del totalitarismo e del fascismo

Jorge Casals LLano  www.granma.cu

Sebbene non siano ancora noti i risultati definitivi dello show mediatico che negli USA chiamano elezioni, in cui due partiti disputano “democraticamente” quale fazione dell’establishment governerà quel paese e spingerà per continuare a governare il mondo nei prossimi quattro anni, risulta opportuno che cerchiamo di capire come si è arrivati ​​alla situazione in cui, fino a tempi molto recenti, era la nazione onnipotente, quella dell’ “eccezionalismo”; quella dell’esempio di tradizione costituzionalista e democratica e, quindi, ispiratrice di tante nel mondo (il più delle volte senza ragione); quella che dopo l’implosione dell’URSS è stata capace, insieme ai suoi stati vassalli, imporsi nel mondo unipolare; oggi convertita in ciò che ha sempre disprezzato, benché ne fosse la sua principale promotrice, in una «Rpubblica delle Banane» che, con queste elezioni, ha definitivamente perso la sua aureola democratica e persino la capacità di guidare il mito della sua stessa creazione: il «mondo libero», l’Occidente.

È essenziale riflettere se Trump ed il “Trumpismo” siano responsabili di quanto accaduto negli ultimi anni negli USA; se lo è anche dell’estensione dei populismi di destra nel mondo e, con essi, dell’imperio della xenofobia, del razzismo, del rifiuto, disprezzo ed odio per l’alterità e persino per chi la pensa diversamente; o se, al contrario, è conseguenza del sistema che esalta l’egoismo, che lo considera sovrano ed unico promotore dell’economia e del progresso, che lo sacralizza fino a rendere, senza nemmeno immaginarlo, l’individuo, responsabile delle relazioni di cui è solo creatura, sebbene si consideri al di sopra di esse.

Per capire cosa è successo nelle “elezioni” negli USA, il loro ambiente e le loro conseguenze per questo mondo, serve la frase scelta come titolo -sebbene corretta- che è stata usata in una campagna elettorale proprio negli USA alla fine del secolo scorso, e che incita a cogliere l’essenza di ciò che accade, ciò che è importante, ciò che identifica il momento e l’epoca.

È noto che la storia del capitalismo è un susseguirsi di crisi in cui si alternano protezionismo e liberalismo, liberalismo e regolazione, ma anche liberalismo e keynesismo, e persino neoliberalismo e neo-keynesismo … e fascismo. Inoltre, che la caotica era in cui viviamo ha il suo antecedente più vicino (un altro più lontano si identifica con Hitler) in quella che è stata chiamata la crisi delle «tigri asiatiche», iniziata con la flottazione del Bath, la moneta thailandese, e che si diffuse al resto del mondo. A quel tempo, alle soglie del XXI secolo, il mondo era sull’orlo di una crisi simile a quella del 1929, che possiamo riassumere con questi elementi:

Massiccia crescita della ricchezza, accompagnata dall’emarginazione, sempre maggiori, di strati della popolazione, compresa la parte della classe operaia che vive nei paesi “ricchi”.

Favolose quantità di denaro in circolazione, anche se concentrate in un numero sempre minore di grandi proprietari.

Enormi movimenti di capitali che, senza patria, senza bandiera e anche senza proprietari identificati ed in cerca di profitti speculativi, si muovono liberamente, senza alcun tipo di controllo.

Accelerazione del processo di concentrazione dei capitali, già su scala planetaria, con l’apparizione di mega-fusioni -fusioni ed acquisizioni tra le più grandi aziende del mondo- con più potere di molti Stati nazionali e, addirittura, di intere regioni e continenti

Preferenza per gli investimenti in capitale speculativo, come preludio a quella che sarebbe stata chiamata “finanziarizzazione” dell’economia.

Spreco per i meno, sottoconsumo per i più.

Inquinamento, riscaldamento globale, distruzione accelerata dell’ambiente, disastro ecologico in divenire.

L’adattabilità del capitalismo ed il suo mimetismo economico lo hanno fatto evolvere e adattarsi alle mutevoli condizioni, lo hanno reso ancora più efficiente a livello microeconomico, meno a livello macroeconomico e, quindi, più esclusivo ed escludente. Il risultato: l’acuirsi delle contraddizioni e la crisi del 2007-2008.

La ripresa iniziata nel giugno 2009 (prima dell’inizio dell’amministrazione Trump), secondo il National Bureau of Economic Research degli USA, è stata l’espansione più lunga dal suo inizio, battendo il record di 120 mesi prima stabilito, solo che con una crescita accumulata molto più contenuta nel periodo, con una significativa riduzione della produzione industriale, il conseguente aumento della disoccupazione ed una diminuzione dei salari reali, e con un significativo aumento dell’indebitamento estero. E tutto questo senza tener conto di quanto Trump si vanagloriasse dei suoi “successi” (persino prima dell’inizio della sua presidenza), né del fallimento del modello (che era incapace di percepire) che aveva permesso il fatto che giungesse ad essere presidente.

Nel periodo iniziato nel 2009, assolutamente tutte le caratteristiche di cui abbiamo parlato prima, dall’inizio del secolo, sono peggiorate, sono diventate più onerose per l’umanità e pericolose per il capitalismo. Così, già alla fine del 2019, il famoso Forum di Davos, nientemeno che la rivista Fortune, e persino il New York Times, davano per terminato il ciclo e morto il neoliberalismo. Pertanto, la crisi scoppiata all’inizio del 2020 è stata solo accellerata dalla pandemia di coronavirus; solo un risultato, non una causa.

Oggi le “elezioni” si trovano dove dove si prevedeva che stessero “il giorno dopo”. La situazione era prevedibile da molti, da destra e da sinistra, conservatori e progressisti, accademici e giornalisti, simpatizzanti del capitalismo, del socialismo e persino del comunismo; sebbene per buona parte degli analisti il ​​problema sia ancora solo una conseguenza dell’errore dell’ “eccezionalismo”, dell’elitarismo e persino dell’obsolescenza del sistema elettorale stesso, della dittatura bipartisan, della corruzione del sistema, dell’egocentrismo…

Ma i fatti ostinati di mostrano che Trump ed il “trumpismo” non sono altro che il prodotto della decomposizione del capitalismo e della generazione, nelle sue viscere, del totalitarismo e del fascismo, che oggi utilizza le tecnologie per manipolare gli individui, compresi quelli della classe operaia, un tempo beneficiata delle briciole di ciò che veniva sottratto al resto del mondo dai loro padroni; agli immigranti che, dopo aver realizzato il “sogno americano”, sono capaci di convivere con il disprezzo per scaricarlo sui propri connazionali o, come alcuni di loro, arrivano ad odiare il proprio luogo di nascita; quelli che la società dei consumi ha abbastanza istupidito da mettere in dubbio il riscaldamento globale, il cambio climatico e tutta la scienza, persino considerare “semplice influenza” una malattia mortale.

Gli stessi fatti a cui si fa riferimento nel paragrafo precedente dimostrano che anche Biden ed il “bidenismo” sono il prodotto della decomposizione dell’ “economia di mercato” (usiamo il termine per la sua maggiore sottigliezza, ringraziando l’acutezza di Eduardo Galeano, per cui quello che «… in altri tempi si chiamava capitalismo e ora porta il nome artistico di economia di mercato»), poiché sono proprio le sue leggi e tendenze che hanno portato alla globalizzazione neoliberale, al suo fallimento, all’accelerazione del declino USA.

Sono questi fatti gli stessi che spingono l’umanità a scegliere -come ammonì Rosa Luxemburg più di un secolo fa- tra Socialismo o barbarie.


«Es el capitalismo, estúpido»

Los hechos, testarudos, demuestran que Trump y el «trumpismo» no son más que producto de la descomposición del capitalismo y de la generación, en sus entrañas, del totalitarismo y del fascismo

Autor: Jorge Casals LLano

Aunque sin conocerse aún los resultados definitivos del show mediático que en EE. UU. llaman elecciones, en el que dos partidos disputan «democráticamente» qué facción del establishment gobernará ese país y pujará por continuar gobernando al mundo en los próximos cuatro años, resulta oportuno que tratemos de entender cómo se llegó a la situación en la que, hasta hace muy poco, era la todopoderosa nación, la del «excepcionalismo»; la del ejemplo de tradición constitucionalista y democrática y, por ello, inspiradora de tantos en el mundo (la mayoría de las veces sin razón); la que luego de la implosión de la urss fue capaz, junto con sus estados vasallos, de imponerse en el mundo unipolar; hoy convertida en lo que siempre despreció, aunque fuera su principal promotora, en una «República bananera» que, con estas elecciones, ha perdido, definitivamente, su aureola democrática y hasta su capacidad de liderar el mito de su propia creación: el «mundo libre», Occidente.

Se hace imprescindible reflexionar acerca de si Trump y el «trumpismo» son responsables de lo ocurrido en estos últimos años en EE. UU.; si lo es también de la extensión de los populismos de derecha en el mundo y, con ellos, del imperio de la xenofobia, el racismo, el rechazo, desprecio y odio a la otredad y hasta al que piensa distinto; o si, por el contrario, es consecuencia del sistema que exalta el egoísmo, que lo considera soberano y único impulsor de la economía y del progreso, que lo sacraliza hasta hacer, sin siquiera imaginarlo, al individuo, responsable de las relaciones de las que es solo criatura, aunque se considere por encima de ellas.

Para comprender lo sucedido en las «elecciones» de EE. UU., su entorno y sus consecuencias para este mundo, sirve la frase elegida como título –aunque corregida–, que fuera utilizada en una campaña electoral en los propios EE. UU., a fines del pasado siglo, y que incita a aprehender la esencia de lo que ocurre, lo importante, lo que identifica al momento y a la época.

Conocido es que la historia del capitalismo es una sucesión de crisis en las que se alternan proteccionismo y liberalismo, liberalismo y regulación, y también liberalismo y keynesianismo, y hasta neoliberalismo y neokeynesianismo… y fascismo. También, que la caótica era que vivimos tiene su más cercano antecedente (otro más lejano se identifica con Hitler) en la que fuera llamada crisis de los «tigres asiáticos», iniciada con la flotación del Bath, la moneda tailandesa, y que se extendió al resto del mundo. Por aquel entonces, umbrales del siglo XXI, el mundo se encontraba al borde de una crisis similar a la de 1929, que podemos resumir con estos elementos:

Descomunal crecimiento de la riqueza, acompañado de la marginación de cada vez mayores capas de la población, incluyendo la parte de la clase obrera radicada en los países «ricos».

Fabulosas cantidades de dinero circulando, aunque concentradas en cada vez menos grandes propietarios.

Ingentes movimientos de capitales que, sin patria, sin bandera y aun sin dueños identificados y en busca de ganancias especulativas, se mueven libremente, sin ningún tipo de control.

Aceleración del proceso de concentración de los capitales, ya a escala planetaria, con la aparición de megafusiones –fusiones y absorciones entre las mayores empresas mundiales– con más poder que muchos Estados nacionales y, aun, que regiones y continentes enteros.

Preferencia de inversiones en capital especulativo, como preludio de lo que se llamaría «financierización» de la economía.

Despilfarro por los menos, subconsumo en los más.

Contaminación, calentamiento global, destrucción acelerada del medioambiente, desastre ecológico en ciernes.

La capacidad de adaptación del capitalismo y su mimetismo económico, lo hicieron evolucionar y adaptarse a las cambiantes condiciones, lo hizo aún más eficiente a nivel microeconómico, menos en el macroeconómico y, por ello, más exclusivo y excluyente. El resultado: la agudización de las contradicciones y la crisis de 2007-2008.

La recuperación iniciada en junio de 2009 (antes del inicio de la administración Trump), según la Oficina Nacional de Investigación Económica de EE. UU., fue la expansión más larga desde su inicio, rompió el récord de 120 meses antes establecido, solo que con un crecimiento acumulado en el periodo mucho menor, con una importante reducción de la producción industrial, el consecuente aumento del desempleo y la disminución de los salarios reales, y con un sensible aumento del endeudamiento externo. Y todo ello sin importar cuánto se vanagloriara Trump de sus «éxitos» (incluso desde antes del inicio de su presidencia), ni tampoco el fracaso del modelo (que era incapaz de percibir) que había hecho posible que llegara a a ser presidente.

En el periodo iniciado en 2009, absolutamente todos los rasgos que antes señalamos, de principios de siglo, empeoraron, se hicieron más onerosos para la humanidad, y peligrosos para el capitalismo. Así, ya a finales de 2019, el afamado Foro de Davos, nada menos que la revista Fortune, y hasta The New York Times, daban por terminado el ciclo y muerto el neoliberalismo. Así pues, la crisis que estallara a inicios de 2020 fue solo precipitada por la pandemia del coronavirus, solo un resultado, no causa.

Hoy las «elecciones» se encuentran donde se preveía que estarían «el día después». La situación era previsible por muchos, de derecha y de izquierda, conservadores y progresistas, académicos y periodistas, simpatizantes del capitalismo, del socialismo y hasta del comunismo; aunque para buena parte de los analistas, el problema todavía sea solo consecuencia de la falacia del «excepcionalismo», del elitismo y hasta de la obsolescencia del sistema electoral mismo, de la dictadura bipartidista, de la corrupción del sistema, del egocentrismo…

Pero los hechos, testarudos, demuestran que Trump y el «trumpismo» no son más que producto de la descomposición del capitalismo y de la generación, en sus entrañas, del totalitarismo y del fascismo, que hoy utiliza las tecnologías para manipular a los individuos, incluyendo a los de la clase obrera, otrora beneficiada con las migajas de lo arrebatado al resto del mundo por sus patrones; a los inmigrantes que, luego de alcanzar el «sueño americano», son capaces de convivir con el desprecio para descargarlo en sus propios connacionales, o, como algunos de ellos, llegar a odiar a su propio lugar de nacimiento; a los que la sociedad de consumo ha estupidizado lo suficiente como para poner en duda el calentamiento global, el cambio climático y la ciencia toda, hasta considerar «simple gripe» una enfermedad mortal.

Los mismos hechos a los que nos referimos en el párrafo anterior, demuestran que también Biden y el «bidenismo» son producto de la descomposición de la «economía de mercado» (utilizamos el término por mayor sutileza, agradeciendo la agudeza de Eduardo Galeano, a lo que «… en otros tiempos se llamaba capitalismo y ahora luce el nombre artístico de economía de mercado»), pues son precisamente sus leyes y tendencias las que condujeron a la globalización neoliberal, a su fracaso, a la aceleración del declive de EE. UU.

Son esos hechos los mismos que urgen a la humanidad a escoger –como ya hace más de un siglo alertara Rosa de Luxemburgo– entre Socialismo o barbarie.

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