La battaglia comunicativa

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Prefazione di Fernando Buen Abad

Qui vengono esposti alcune delle più importanti problematiche comunicative del nostro tempo. Questo libro ha assunto uno dei compiti più ardui, ed allo stesso tempo necessari, per comprendere il panorama diseguale e combinato di un mondo in cui le più sorprendenti conquiste tecnologiche e demografiche convivono con le più alienanti idee sviluppate dal capitalismo. In questo testo, il lavoro che definisce gli scenari della “battaglia comunicativa”, ai suoi livelli più diversi, si converte in strumento di lotta. Taglia i percorsi e va diretto al nucleo conflittuale di ogni tema senza atomizzare i fattori di uno scenario mondiale in cui è vitale identificare la trama tecnologico-strumentale intrecciata con gli aspetti ideologici dominanti. Rende riconoscibile uno scenario di lotta, ed in lotta, dove è imperdonabile perdere di vista gli interessi che danno forma alla base economica della “battaglia comunicativa”, tra l’altro, anche guerra interborghese.

Dall’indice di questo lavoro, che opera, a volte, come elevato punto di osservazione e, talvolta, come prospettiva di trincea “a livello del suolo”, rende visibile il panorama conflittuale che promana dal dibattito capitale-lavoro nei territori della comunicazione. I suoi capitoli funzionano come approcci e come spedizioni nei dettagli delle contraddizioni che vanno dall’ovvio al “subliminale”, sempre montati su quella sconcertante dinamica con cui l’ideologia della classe dominante si arroga il dono dell’ubiquità e della velocità per le loro offensive mediatiche. Molteplicità di scenari invasi simultaneamente ed a livello planetario.

L’autore di questo testo non dimentica di fare un percorso che esamina le forze e le capacità con cui si organizzano le resistenze o i contrattacchi al potere mediatico egemonico. Ciò permette chiarire che, “poiché le guerre sono guerre”, sono stati sviluppati apparati di dominazione ideologica per imporre ai dominati l’insieme di valori e credenze di chi “vince” (anche da prima). Che le invasioni non sono mai rimaste esenti da invasioni etiche, morali o estetiche … tecnologiche, scientifiche o psicologiche. Che il dominio su uno o più popoli sarebbe impossibile senza la “transculturazione” diversificata e stratificata, in cui suole vedersi il paradosso della vittima che adora il suo carnefice, convinta che il giogo sia la cosa migliore che gli possa capitare e che debba ringraziarlo, tra l’altro, ereditandolo alla sua prole come la migliore ricchezza immaginabile. Non importa se si maschera da palazzi, conti bancari, araldiche o proverbi … addirittura corsi universitari.

Nel repertorio delle “forze armate” egemoniche ci sono le “munizioni simboliche” che operano, tenute le proporzione, come baionette o carri armati. I loro arsenali tendono a concentrarsi (non esclusivamente) nei “media”, chiese, istruzione, abitudini di consumo, canzonieri e “programmi informativi” egemonici infiltrati, addirittura, persino nei luoghi più intimi della vita domestica, e da dove si impongono stereotipi politici, economici, sociali, sessuali e amorosi. La guerra dispiegata nei territori simbolici, la battaglia ideologica, la guerra di soppiattamento culturale e le armi per sconfiggere anche psicologicamente i popoli. La lotta di classe dispiegata, simultaneamente, nei “mass media”.

Anche se Pedro Santander avverte che è “un luogo comune sottolineare che i media svolgono un ruolo centrale nella politica, nelle relazioni di potere, nel destabilizzare governi, o addiritttura in ciò che la gente fa, dice e pensa.”…vale la pena insistere, più e più volte, che questo “ruolo centrale” deve essere sottoposto ad un controllo sociale permanente, perché implica un potere non concordato, implica un potere che si è intrufulato negli interstizi della vita per installarsi come “parte di un paesaggio ”per lo più al di fuori della vita, democratica che tanto è costata ai nostri popoli, costruire al prezzo di sangue e fuoco. Il “Rapporto MacBride”, Un solo mondo molteplici voci, (1980) già avvertiva che i processi accelerati di concentrazione monopolistica dei media rappresentavano una minaccia contro le democrazie. Nonostante le sue imperfezioni è ancora in vigore.

Nell’opera di Pedro Santander si evidenzia, soprattutto, che nella “battaglia comunicativa” s’impone la responsabilità di saper come usare armi, tecnologie, modelli narrativi di un nuovo genere, sintassi (tutte) all’altezza delle lotte sociali … produrre massa critica di coscienza insurrezionale, guerriglie semiotiche e metodologia per progettare e produrre contenuti intelligenti in grado di contendere, senza imitare o copiare, i formati egemonici con le agende, i discorsi o l’estetica della classe dirigente. Rischiamo le nostre vite in questa lotta. E l’autocritica è rara.

Nell’epoca in cui la guerra mediatica si muove con noi ed in noi, nelle nostre tasche, nei nostri cervelli e cuori, nei telefoni cellulari, nei marchi che consumiamo per alimentarci, vestirci o divertirci… nell’epoca dello spionaggio “big data” minuto per minuto, di false informazioni che sollecitano ogni tipo di decisioni personali o collettive … non immaginiamo con mediana precisione quante persone siano vittime di qualche missile mediatico sparato per avere un impatto sulla sua volontà o sulla sua coscienza. Ma quando iniziamo a spiegarlo, il dispositivo creato per sfigurare la realtà, in tutte le sue scale, ha realizzato il suo scopo. La nostra lentezza è molto pericolosa. La nostra incomprensione di tali battaglie è anche un pericolo.

Persino i vaccini contro l’ideologia della classe dominante, che i popoli hanno prodotto nel fervore delle loro lotte, sono stati oggetto di scherno, distorsioni e linciaggi affinché perdano efficacia. Questo ci ha anche insegnato a non rispondere in modo lineare, ingenuo, perché non è sufficiente maneggiare informazione valida, smentita o concordata … è insufficiente produrre risposte solo reattive, anche se hanno l’immediatezza del digitale. E’ necessario propagare un metodo di critica che sorga dal basso, che si faccia carne delle lotte, che si assimili metabolicamente alla lotta che emancipa solo quando è parte dell’arsenale vivo della resistenza e dell’avanguardia. Metodo per la lettura dello scenario, per l’anticipazione delle aggressioni e per la costruzione del corpus logico e simbolico che i popoli avrebbero partorito nella loro liberazione dalla dittatura del capitalismo.

Le offensive mediatiche, finanziate dall’imperialismo, si sono infiltrate nella manipolazione dell’informazione così come nella manipolazione delle emozioni. La logica anestetizzata dall’emozione, i contenuti mutati in “passioni” ed irrazionalità. Il tutto facilitato da una “semisfera” di scherno, di pigrizia mentale prefabbricata e disinteresse funzionale. Forme di individualismo, solipsismo ed apatia in formati depressivi indotti. Niente di meglio che la disperazione inoculata con sentimentalismo spazzatura…ma elevata a pensiero con autorità morale. Tutto ciò significa un indebolimento della fede nella collettività, della speranza nell’umanità e nella capacità dei popoli di emanciparsi. La guerra psicologica in pieno.

Nelle pagine di questo lavoro si approfondisce ciascuno delle problematiche della “battaglia comunicativa”, asimmetrica, perversa e mimetizzata … dove correggere errori, velocemente, è un obbligo di sopravvivenza. Ed è che, persino i successi e le vittorie sociali, acquisiscono il rischio dell’effimero e relativo. Per questo motivo è imperativo accompagnarli con dispositivi di riassicurazione e durata dialettici. Tutto è in permanenente movimento ed il quietismo è sempre un pericolo. Per imperizia, ignoranza, letture errate dello scenario di guerra o per burocratismo, si trascura la lotta e la si banalizza con routine errate, mentre il nemico attacca con le sue migliori tecnologie, la sua maggior creatività ed i suoi migliori laboratori.

E’ urgente un metodo emancipatorio di contenuti e arricchimento di esperienze formali, in una dialettica potente che non può essere scannata da alcuna burocrazia, né dall’avventurismo di carrieristi o opportunisti. È urgente una metodologia concordata, dalla semantica alla distribuzione tattica dei compiti. Bisogna finalmente compiere quel passo scientifico, infine, che tanto hanno chiesto i dirigenti più avanzati e le popolazioni in lotta che li hanno partoriti. È necessario prendere la decisione per un Nuovo Ordine Mondiale dell’Informazione e della Comunicazione, per la Pace, per i Diritti Umani…per l’emancipazione della comunicazione che aneliamo, emancipata ed emancipatrice. In questa opera, con prospettiva ampia e profonda, vengono accreditati dati diversi e nuovi che dovranno occupare, presto, il proprio posto nella costruzione di quel metodo invocato per l’analisi, per la trasformazione e per la costruzione della prassi umanistica oggettiva che esige il nostro tempo. Metodo trasformatore che fiorisce nelle mani dei popoli critici.

Fernando Buon Abate Domínguez.


La battalla comunicacional

 

Prólogo de Fernando Buen Abad

Aquí se exponen algunas de las más importantes problemáticas comunicacionales de nuestro tiempo. Este libro asumió una de las tareas más arduas, y al mismo tiempo necesarias, para comprender el paisaje desigual y combinado de un mundo en el que los más sorprendentes logros tecnológicos y demográficos, conviven con las ideas más alienantes desarrolladas por el capitalismo. En este texto, el trabajo que define los escenarios de la “batalla comunicacional” en sus niveles más diversos, se convierte en instrumento de lucha. Corta los caminos y va directo al núcleo conflictivo de cada tema sin atomizar los factores de un escenario mundial en el que es vital identificar la trama tecnológico-instrumental imbricada con las vertientes ideológicas dominantes. Hace reconocible un escenario de disputa, y en disputa, donde es imperdonable perder de vista los intereses que dan forma a la base económica de la “batalla comunicacional”, por cierto, también guerra inter-burguesa.

Desde el índice de esta obra, que opera a veces punto de observación elevado y a veces como perspectiva de trinchera “a ras de tierra”, se hace visible el panorama conflictivo que emana del debate capital-trabajo en los territorios de la comunicación. Sus capítulos funcionan como acercamientos y como expediciones a los entresijos de las contradicciones que van de lo obvio a lo “subliminal”, siempre montados en esa dinámica apabullante con que la ideología de la clase dominante se arroga el don de la ubicuidad y de la velocidad para sus ofensivas mediáticas. Multiplicidad de escenarios invadidos en simultáneo y a nivel planetario.

No se olvida el autor de este texto, de hacer un recorrido que examina a las fuerzas y las capacidades con que se organizan las resistencias o los contraataques al poder mediático hegemónico. Eso permite esclarecer que, “desde que las guerras son guerras”, se desarrollaron aparatos de dominación ideológica para imponer a los dominados el conjunto de los valores y creencias de quien “gana” (incluso desde antes). Que las invasiones jamás han quedado exentas de invasiones éticas, morales o estéticas… tecnológicas, científicas o psicológicas. Que la dominación sobre uno, o muchos pueblos, sería imposible sin la “transculturación” diversificada y estratificada, en la que suele verse la paradoja de la víctima adorando a su verdugo, convencida de que el yugo es lo mejor que pudo ocurrirle y que debe agradecerlo, entre otras formas, heredándolo a su prole como la mejor riqueza imaginable. No importa si se disfraza de mansiones, cuentas bancarias, heráldicas o refraneros… incluso, carreras universitarias.

En el repertorio de las “fuerzas armadas” hegemónicas están las “municiones simbólicas” que operan, guardadas las proporciones, como bayonetas o tanques. Sus arsenales suelen concentrarse (no exclusivamente) en los “medios de comunicación”, en las iglesias, la educación, los hábitos de consumo, los cancioneros y los “informativos” hegemónicos infiltrados, incluso, hasta los lugares más íntimos de la vida doméstica, y desde donde se imponen estereotipos políticos, económicos, sociales, sexuales y amorosos. La guerra desplegada en los territorios simbólicos, la batalla ideológica, la guerra de suplantación cultural y las armas para derrotar, también, psicológicamente a los pueblos. La lucha de clases desplegada, simultáneamente, en los “mass media”.

Aunque Pedro Santander advierte que es “un lugar común señalar que los medios de comunicación juegan un rol central en la política, en las relaciones de poder, en desestabilizar gobiernos, o incluso en lo que la gente hace, dice y piensa.”… bien vale la pena insistir, una y otra vez, en que ese “rol central” debe ser sometido a escrutinio social permanentemente, porque implica un poder no consensuado, implica un poder que se ha deslizado en los intersticios de la vida para instalarse como “parte de un paisaje” mayoritariamente al margen de la vida democrática que tanto ha costado, a nuestros pueblos, construir a precio de sangre y fuego. El “Informe MacBride”, Un Solo Mundo Voces Múltiples, (1980) ya advertía que los procesos acelerados de concentración monopólica de medios de comunicación, representaba una amenaza contra las democracias. A pesar de sus imperfecciones aun vigentes.

En la obra de Pedro Santander se destaca, especialmente, que en la “batalla comunicacional” impone la responsabilidad de saber cómo usar las armas, las tecnologías, los modelos narrativos de nuevo género, las sintaxis (todas) a la altura de las luchas sociales… producir masa crítica de conciencia insurreccional, guerrillas semióticas y metodología para diseñar y producir contenidos inteligentes capaces de disputar, sin imitar ni copiar, los formatos hegemónicos con las agendas, los discursos o las estéticas de la clase dominante. Nos va la vida en esta lucha. Y la autocrítica es escasa.

En horas en que la guerra mediática se mueve con nosotros y en nosotros, en nuestros bolsillos, en nuestros cerebros y corazones, en los teléfonos portátiles, en las marcas que consumimos para alimentarnos, vestirnos o divertirnos… en horas de espionaje “big data” minuto a minuto, de informaciones falsas instando todo tipo de desiciones personales o colectivas… no imaginamos con mediana exactitud cuántas personas están siendo victimadas por algún misil mediático disparado para impactar en su voluntad o su consciencia. Pero para cuando comenzamos a explicarlo, el dispositivo creado para desfigurar la realidad, en todas sus escalas, ha cumplido su cometido. Nuestra lentitud es muy peligrosa. Nuestra incomprensión de tales batallas es, también, un peligro.

Incluso las vacunas contra la ideología de la clase dominante, que los pueblos han producido al calor de sus luchas, han sido blanco de de ridiculizaciones, distorsiones y linchamientos para que pierdan efectividad. Eso, también nos ha enseñado a no responder linealmente, ingenuamente, porque no es suficiente esgrimir información válida, desmentida o consensual… es insuficiente producir respuestas sólo reactivas, incluso si cuentan con la inmediatez de lo digital. Es necesario propagar un método de crítica que surja desde abajo, que se haga carne de las luchas, que se asimile metabólicamente al combate que emancipa sólo cuando es parte del arsenal vivo de la resistencia y de la vanguardia. Método para la lectura del escenario, para la anticipación ante las agresiones y para la construcción del corpus lógico y simbólico que los pueblos parirían en su liberación de la dictadura del capitalismo.

Se ha infiltrado las ofensivas mediáticas, financiadas por el imperialismo, en la manipulación de la información así como en la manipulación de las emociones. La lógica anestesiada por la emoción, los contenidos mutaron en “pasiones” e irracionalidad. Todo eso facilitado por una “semiósfera” de facilísimo, de pereza mental prefabricada y desinterés funcional. Formas del individualismo, del solipsismo y de la apatía en formatos depresivos inducidos. Nada mejor que la desesperanza inoculada con sentimentalismo chatarra… pero elevada a pensamiento con autoridad moral. Todo eso significa debilitamiento de la fe en lo colectivo, de la esperanza en la humanidad y en la capacidad de los pueblos para emanciparse. La guerra psicológica en pleno.

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