Testo pubblicato nel libro: ¿Qué ha pasado en Cuba? Jóvenes de la Isla opinan a partir de los sucesos del 11 y 12 de julio de 2021, (Cosa è successo a Cuba? Giovani dell’isola esprimono la loro opinione a partire dagli eventi dell’11 e 12 luglio 2021), Ocean Sur, 2021.
Non è stata una, bensì dissimili le cause che hanno provocato le proteste avvenute in diverse località di Cuba domenica 11 luglio: il blocco rafforzato a livelli insospettati e senza precedenti – 243 misure coercitive unilaterali contro l’isola sono state approvate durante il mandato presidenziale di Donald Trump, 55 delle quali in piena pandemia, e inamovibili dall’inizio dell’amministrazione democratica di Joe Biden–; carenze e difficoltà di accesso a alimenti e medicine per la popolazione; picco pandemico con aumento del numero di decessi per la malattia; interruzioni di corrente dovute a guasti nelle centrali elettriche; legittime insoddisfazioni in alcuni settori e comunità del Paese; tra altre che si possano citare, che nel loro insieme hanno aggiunto maggiore pressione all’atmosfera sociale, situazione sfruttata e perversamente manipolata dai nemici della Rivoluzione.
Tuttavia, nel nucleo centrale di tutto ciò che è accaduto c’era l’attuazione di un’operazione di guerra di quarta generazione – come quelle affrontate da Venezuela e Nicaragua rispettivamente nel 2017 e nel 2018 – che si andava meticolosamente preparando da molto tempo prima, le cui strutture e articolazioni il nuovo governo USA ha ereditato dal suo predecessore alla Casa Bianca.
Col passare dei giorni si è andato svelando l’intero piano concepito dal territorio USA e dispiegato attraverso numerose azioni di guerra politica, culturale, psicologica, mediatica, cibernetica, sfruttando i vantaggi offerti, oggi, dalle piattaforme digitali. Di recente, il ministro degli Esteri cubano ha denunciato l’uso dell’applicazione Clubhouse [i] per organizzare la controrivoluzione e istruirla da parte di operatori politici con sede nel nord.
Come è stato denunciato anche dal ministero degli Esteri cubano, l’hashtag #SOSCuba era stato lanciato, a giugno, da New York per cercare di ostacolare il pronunciamento dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro il blocco. Dietro la campagna c’era la società ProActivo Miami Incorporations, che “casualmente” aveva ottenuto il certificato di validità per ricevere fondi statali dal Dipartimento di Stato della Florida, il 15 giugno 2021. Tuttavia, dato il poco effetto di questa manovra, operatori mediatici dislocati in Florida hanno poi intensificato la campagna d’ “Intervento Umanitario a Cuba” nei giorni in cui si raggiungeva il maggior numero di morti per covid-19 nell’isola.
Come ha rivelato il ricercatore spagnolo Julián Macías Tovar, il primo account che ha utilizzato l’hashtag #SOSCuba relazionato alla situazione del covid-19 nel Paese è stato uno situato in Spagna, ma gestito dagli USA. Ha pubblicato più di mille tweet sia il 10 che l’11 luglio, con un’automazione di cinque retweet al secondo. Tra il 10 e l’11 luglio sono stati creati più di 1500 account di quelli che hanno partecipato all’operazione con l’hashtag #SOSCuba. [ii]
Gli operatori “hanno utilizzato quelle che chiamano troll farm, che sono utenti coordinati che diffondono automaticamente messaggi su Twitter attraverso account falsi, o account robotizzati, che utilizzano i cosiddetti robot o bot, e che si muovono a una velocità tremenda che può avvenire solo in un modo automatizzato”. [iii]
Parallelamente si è subito scatenata un’intensa campagna mediatica, caratterizzata dalla scaltra manipolazione di immagini e video, nonché dalla riproduzione su larga scala di fake news sia nella rete sociale che nei media tradizionali occidentali e di destra, con l’obiettivo di moltiplicare un unico messaggio nei titoli dei giornali: “la dittatura cubana reprime crudelmente i manifestanti pacifici”. [iv]
Non si sono fatte attendere le urla dei settori d’estrema destra di origine cubana, insediati principalmente in Florida, chiedendo persino un intervento militare USA. In una conferenza stampa, il sindaco di Miami, Francis Suárez, ha chiesto un intervento militare internazionale guidato dagli USA. Giorni dopo avrebbe fatto la stessa richiesta in un’intervista offerta alla catena Fox News.
Le pressioni sull’amministrazione Biden, esigendo pronunciamenti e azioni ferme contro il “regime castrista” hanno anche inondato lo spettro mediatico.
Qual è stata, allora, la reazione ufficiale di Washington?
Il giorno dopo le proteste, dopo le dichiarazioni ostili verso la Rivoluzione cubana dei congressisti di origine cubana, il presidente USA ha rilasciato una dichiarazione di “sostegno” al popolo cubano, incolpando di tutti i mali il governo dell’isola e, con profondo cinismo, invitando il regime cubano ad ascoltare il suo popolo e ad occuparsi dei suoi bisogni, invece di arricchirsi.
Nei giorni successivi ci sono stati pronunciamenti, con la stessa linea di messaggi, dei principali funzionari del governo USA, praticamente quotidiani, come quelli del Segretario di Stato, Antony Blinken, e del direttore per l’emisfero occidentale del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Juan González. Lo stesso presidente Biden, in una conferenza stampa con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, il 15 luglio, si riferiva a Cuba come uno “stato fallito”.
Oltre ad alzare il tono della retorica aggressiva, il 22 luglio la Casa Bianca ha annunciato le seguenti misure interventiste presentate come risposta agli eventi dell’11 luglio: chiedere conto al regime cubano; coinvolgere la comunità internazionale; assicurare che i cittadini cubani abbiano accesso a Internet; ascoltare i capi cubano-americani; revisione della politica sulle rimesse e riassegnazione del personale presso l’ambasciata USA all’Avana.
In ottemperanza a tale annuncio, l’amministrazione Biden ha imposto sanzioni[v] al Ministro delle Forze Armate Rivoluzionarie di Cuba, Generale di Corpo d’Armata, Álvaro López Miera, alla Brigata Speciale Nazionale, nonché alla Polizia Nazionale Rivoluzionaria e ai suoi due principali dirigenti: Oscar Callejas Valcarce e Eddy Sierra Arias; ha dispiegato una forte offensiva di pressione e ricatto nei confronti di paesi terzi per la firma di una dichiarazione congiunta di condanna di Cuba, che è stata denunciata dal ministro degli Esteri cubano.
Nonostante gli sforzi compiuti dalla diplomazia USA a livello internazionale, sono riusciti a far aderire solo 19 paesi, tutti molto dipendenti o subordinati ai propri interessi: Austria, Brasile, Colombia, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Ecuador, Estonia, Guatemala, Grecia, Honduras, Israele, Lettonia, Lituania, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Repubblica di Corea e Ucraina.
Washington ha anche fallito nel suo tentativo d’imporre una riunione del Consiglio Permanente dell’OSA per condannare Cuba. Lungi da quanto gli USA si aspettavano è avvenuto che si è scatenata un’ampia ondata di solidarietà con il popolo e la Rivoluzione Cubana da gran parte della comunità internazionale, che oltre alle parole di sostegno, si è convertita in importanti donazioni di alimenti, medicinali e attrezzature mediche.
Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden continua a mostrare una grande disperazione per ottenere di portare Internet ai cubani, senza il controllo delle autorità cubane e con scopi chiaramente sovversivi. Allo stesso modo, alla ricerca di un colpo ad effetto all’interno dell’elettorato della comunità cubana residente negli USA, il 19 luglio c’è stato un incontro virtuale tra rappresentanti del governo di Washington e “leader cubano-americani” e, il 30 dello stesso mese, presso la Casa Blanca si è tenuto un incontro del presidente Biden con i membri della comunità.
Di sicuro in quegli incontri non si è discusso di come migliorare le relazioni tra i due paesi o di come ritornare all'”approccio di compromesso” messo in atto dall’amministrazione Obama, al contrario, il tema centrale è stato come esercitare, in modo più efficace, ancora più pressione su Cuba e riuscire a spezzare la Rivoluzione. Biden ha approfittato del momento per mostrarsi un dirigente duro contro il comunismo ed il “regime cubano”. Nelle sue parole, ha anche affermato di aver ordinato al Dipartimento di Stato e al Dipartimento del Tesoro di fornire, entro un mese, le loro raccomandazioni su come massimizzare il flusso di rimesse al popolo cubano senza che “i militari cubani prendano la propria parte” e aumentare il personale dell’ambasciata all’Avana, dando priorità alla sicurezza della rappresentanza diplomatica -ciò in allusione ai presunti incidenti acustici avvenuti durante l’amministrazione Trump-.
Tutto sembra indicare che questo sarà il corso della politica USA verso Cuba nel breve e medio termine e che, al di là degli eventi dell’11 luglio sull’isola, che sono serviti da innesco per un pronunciamento più chiaro da parte dell’amministrazione Biden, sembra che l’annunciata revisione della politica verso l’Isola, non vada al di là di lievi allentamenti in merito alle rimesse e all’ampliamento del personale dell’ambasciata all’Avana, azioni molto distanti dalle promesse fatte durante la campagna elettorale presidenziale.
La ragione di fondo risiede nel fatto che la priorità di Biden e dei suoi consiglieri è incentrata sulle elezioni di medio termine e sul mantenimento della maggioranza al Congresso, per cui la Florida continua a essere un punto decisivo e temono di perdere a causa del potente macchinario elettorale –caratterizzata dall’odio anticubano– lì esistente. Quel macchinario è stato rafforzato e organizzato come mai prima sotto Trump. Questo spiega, tra le altre ragioni, perché Biden ha mantenuto intatto l’intero regime di sanzioni e misure di guerra economica contro Cuba approvate dal presidente Trump.
Così, ancora una volta, Cuba si converte in un tema di politica interna USA, dove gli interessi e le ambizioni personali si scontrano con gli autentici interessi nazionali e di sicurezza per quel paese, con l’opinione pubblica USA e mondiale che aspira ad un futuro più promettente nelle relazioni bilaterali.
D’altra parte, se prima il presidente Trump cercava di far felice il senatore Marco Rubio con il tema Cuba, ora Biden ascolta e compiace il senatore Bob Menéndez, presidente della Commissione per le Relazioni Estere del Senato, uno dei più riluttanti rappresentanti della lobby anti-cubana in quel paese. Quindi, ancora una volta si dimostra che la politica USA verso Cuba, e in senso generale la politica estera di quel paese, non può essere analizzata nella logica di ciò che possa essere più vantaggioso per quella nazione e per il mondo, bensì per come si muovono gli interessi e le ambizioni personali, il denaro, le lobby di interesse e la compra-vendita nelle questioni politiche; la politica si converte in un’ulteriore merce.
Un altro fattore che è importante considerare, come una costante storica, è che mai, né durante le amministrazioni repubblicane o democratiche, è capitato che in una fase di vulnerabilità economica e sociale per Cuba, gli USA abbiano cercato un accordo o allentato il soffocamento economico, la sovversione e pressione politica; tutto il contrario, in quel momento si è intensificata l’ostilità di Washington contro Cuba per, opportunisticamente, dare la stoccata finale, sempre agognata, al socialismo cubano.
Tuttavia, riteniamo che il presidente USA si sbagli e sia mal consigliato nel corso che intende dare alla politica verso Cuba, pensando che in questo modo compiaccia e guadagni i settori di estrema destra della Florida nei suoi fini elettorali nella disputa per mantenere il primato democratico in entrambe le camere del legislativo per novembre 2022.
Seguendo questa strada, non otterrà che votino per i democratici i cubano-americani della linea dura contro la Rivoluzione Cubana, poiché questi esigeranno sempre di più da lui, persino un’invasione militare se fosse possibile e, allo stesso tempo, perderà i voti che ha più sicuri della comunità cubana in quel paese –per nulla insignificanti–, coloro che hanno creduto nelle sue promesse durante la campagna elettorale di un migliore rapporto con Cuba e di facilità nei legami familiari su entrambi gli Stretti della Florida. Non è affatto conveniente per l’amministrazione democratica cercare di stimolare, a Cuba, una situazione d’instabilità e caos, che possa generare un flusso migratorio incontrollabile verso il territorio USA. Solo l’audacia, la leadership efficace ed il coraggio politico potrebbero consentire togliere Biden da un tanto impantanato e sbagliato cammino.
D’altra parte, da un ottimismo critico, non nutro il minimo dubbio che Cuba supererà questo momento tanto complesso, non è l’unico momento nella storia in cui il popolo cubano e la sua Rivoluzione hanno saputo convertire i rovesci in vittorie. Al non cambiare posizione, Biden passerà alla storia come l’ennesimo presidente USA che si aggrappa a una politica inumana e fallimentare, che avvantaggia solo un settore che ha convertito il tema Cuba in un affare redditizio e corrotto, screditando sempre più la politica estera USA agli occhi del mondo e danneggiando la vita di milioni di persone.
Texto publicado en el libro: ¿Qué ha pasado en Cuba? Jóvenes de la Isla opinan a partir de los sucesos del 11 y 12 de julio de 2021, Ocean Sur, 2021.
No fue una, sino disímiles las causas que provocaron las protestas ocurridas en diferentes localidades de Cuba el domingo 11 de julio: bloqueo reforzado a niveles insospechados e inéditos –243 medidas coercitivas unilaterales contra la Isla fueron aprobadas durante el mandato presidencial de Donald Trump, 55 de ellas en plena pandemia, e inamovibles desde el comienzo de la administración demócrata de Joe Biden–; desabastecimiento y dificultades para el acceso a alimentos y medicinas de la población; pico pandémico con aumento del número de fallecidos por la enfermedad; cortes de luz eléctrica por averías en centrales eléctricas; insatisfacciones legítimas en determinados sectores y comunidades del país; entre otras que pudieran mencionarse, las cuales en su conjunto, fueron añadiendo más presión a la atmósfera social, situación aprovechada y manipulada de forma perversa por los enemigos de la Revolución.
Sin embargo, en el núcleo central de todo lo ocurrido estuvo la implementación de una operación de guerra de cuarta generación –como las enfrentadas por Venezuela y Nicaragua en los años 2017 y 2018 respectivamente– que se venía preparando minuciosamente desde mucho antes, cuyas estructuras y articulaciones heredó el nuevo gobierno estadounidense de su antecesor en la Casa Blanca.
Al paso de los días se ha ido develando todo el plan concebido desde territorio norteamericano y desplegado a través de numerosas acciones de guerra política, cultural, psicológica, mediática, cibernética, utilizando las ventajas que ofrecen hoy las plataformas digitales. Recientemente el ministro de Relaciones Exteriores de Cuba denunció el uso de la aplicación Clubhouse[i] para organizar a la contrarrevolución e instruirla por operadores políticos radicados en el norte.
Como se denunció también por la cancillería cubana la etiqueta #SOSCuba había sido lanzada en junio desde Nueva York para tratar de obstaculizar el pronunciamiento de la Asamblea General de las Naciones Unidas contra el bloqueo. Detrás de la campaña se encontraba la compañía ProActivo Miami Incorporations, la cual “coincidentemente” había obtenido el certificado de validez para recibir fondos estaduales por parte del Departamento de Estado de la Florida, el 15 de junio de 2021. Sin embargo, ante el poco efecto de esta maniobra, operadores mediáticos situados en la Florida, intensificaron entonces la campaña de “Intervención Humanitaria en Cuba” en los días en que se alcanzaban las mayores cifras de fallecidos por la covid-19 en la Isla.
Como reveló el investigador español Julián Macías Tovar la primera cuenta que usó el hashtag #SOSCuba relacionado con la situación de la covid-19 en el país fue una localizada en España, pero manejada desde Estados Unidos. La misma puso más de mil tuits tanto el 10 como el 11 de julio, con una automatización de cinco retuits por segundos. Más de 1 500 cuentas de las que participaron en la operación con la etiqueta #SOSCuba fueron creadas entre el 10 y el 11 de julio.[ii]
Los operadores “utilizaron lo que llaman granjas de trolls, que son usuarios coordinados que divulgan de manera automatizada mensajes en Twitter a través de cuentas falsas, o cuentas robotizadas, que utilizan los llamados robots o bots, y que se mueven a una velocidad tremenda que solo puede ocurrir de manera automatizada”.[iii]
Junto con ello se desató de inmediato una intensa campaña mediática, caracterizado por la manipulación artera de imágenes y videos, así como la reproducción a gran escala de fake news tanto por las redes sociales como por los medios tradicionales de comunicación occidentales y de derecha, con el objetivo de multiplicar un solo mensaje en los titulares: “la dictadura cubana reprime cruelmente a manifestantes pacíficos”.[iv]
Los alaridos de los sectores de extrema derecha de origen cubano asentados fundamentalmente en la Florida no se hicieron esperar, clamando incluso por una intervención militar de Estados Unidos. En una conferencia de prensa el Alcalde de Miami, Francis Suárez, pidió una intervención militar internacional liderada por Estados Unidos. Días después haría el mismo reclamo en entrevista ofrecida a la cadena Fox News.
Las presiones sobre la administración Biden, exigiendo pronunciamientos y acciones firmes contra el “régimen castrista” también inundaron el espectro mediático.
¿Cuál fue entonces la reacción oficial de Washington?
Al día siguiente de las protestas, luego de los pronunciamientos hostiles hacia la Revolución Cubana de los congresistas de origen cubano, el presidente de Estados Unidos realizó una declaración en “apoyo” al pueblo cubano, culpando de todos los males al gobierno de la Isla y, desde un profundo cinismo, haciendo un llamado al régimen cubano a que escuchara a su pueblo y atendiera sus necesidades, en vez de enriquecerse.
En los días posteriores hubo pronunciamientos con la misma línea de mensajes de los principales funcionarios del gobierno de Estados Unidos, prácticamente de forma diaria, como los realizados por el secretario de Estado Antony Blinken y el director para el hemisferio occidental del Consejo de Seguridad Nacional, Juan González. El propio presidente Biden, en conferencia de prensa junto a la canciller alemana Angela Merkel el 15 de julio se referiría a Cuba como un “estado fallido”.
Además de la subida del tono en la retórica agresiva, la Casa Blanca anunció el 22 de julio las siguientes medidas injerencistas presentadas como una respuesta a los sucesos del 11 de julio: exigir rendición de cuentas al régimen cubano; involucrar a la comunidad internacional; asegurar que los ciudadanos cubanos tengan acceso a Internet; escuchar a los líderes cubano-americanos; revisión de la política sobre remesas y reasignación de personal en la embajada de Estados Unidos en La Habana.
En cumplimiento a ese anuncio la administración Biden impuso sanciones[v] al ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Cuba, General de Cuerpo Ejército, Álvaro López Miera, a la Brigada Especial Nacional, así como a la Policía Nacional Revolucionaria y sus dos principales dirigentes: Oscar Callejas Valcarce y Eddy Sierra Arias; desplegó una fuerte ofensiva de presión y chantaje hacia terceros países para la firma de una declaración conjunta condenatoria de Cuba, lo cual fue denunciado por el canciller cubano.
A pesar de los esfuerzos realizados por la diplomacia estadounidense a nivel internacional solo lograron que se le sumaran 19 países, todos muy dependientes o subordinados a sus intereses: Austria, Brasil, Colombia, Croacia, Chipre, República Checa, Ecuador, Estonia, Guatemala, Grecia, Honduras, Israel, Letonia, Lituania, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Norte, Polonia, la República de Corea y Ucrania.
Washington también fracasó en su intento de imponer una reunión del Consejo Permanente de la OEA para condenar a Cuba. Lejos de lo esperado por Estados Unidos, lo que ocurrió fue que se desató una amplia ola de solidaridad con el pueblo y la Revolución cubana de buena parte de la comunidad internacional, que además de las palabras de respaldo, se convirtió en importantes donativos en alimentos, medicamentos y equipos médicos.
Paralelamente la administración Biden sigue mostrando gran desesperación por lograr llevar Internet a los cubanos, sin el control de las autoridades cubanas y con propósitos claramente subversivos. Asimismo, buscando golpe de efecto dentro del electorado de la comunidad cubana radicada en Estados Unidos, el 19 de julio se produjo un encuentro virtual entre representantes del gobierno de Washington y “líderes cubanoamericanos” y, el día 30 del propio mes, en la Casa Blanca tuvo lugar una reunión del presidente Biden con miembros de la comunidad.
De lo menos que se habló en esos encuentros fue de cómo mejorar las relaciones entre ambos países o de regresar al “enfoque del compromiso” implementado por la administración Obama, todo lo contrario, el tema central fue cómo lograr, de una forma más efectiva, presionar aún más a Cuba y lograr quebrar a la Revolución. Biden aprovechó el momento para mostrarse como un líder duro frente al comunismo y el “régimen cubano”. En sus palabras también expresó que había ordenado al Departamento de Estado y al Departamento del Tesoro que en un mes debía entregar sus recomendaciones sobre cómo maximizar el flujo de remesas al pueblo cubano sin que “los militares cubanos tomen su parte” y aumentar el personal de la embajada en La Habana, priorizando la seguridad de la representación diplomática –eso en alusión a los supuestos incidentes acústicos ocurridos durante la administración Trump–.
Todo parece indicar ese será el curso de política de Estados Unidos hacia Cuba en el corto y mediano plazo y que, más allá de los sucesos del 11 de julio en la Isla, que funcionaron como detonante para un pronunciamiento más claro de la administración Biden, al parecer la anunciada revisión de la política hacia la Isla, no iba más allá de ligeras flexibilizaciones en torno a las remesas y la ampliación del personal en la embajada en La Habana, acciones muy distantes de las promesas realizadas durante la campaña electoral presidencial.
La razón de fondo estriba en que la prioridad de Biden y sus asesores está enfocada en las elecciones de medio término y en mantener la mayoría en el Congreso, para lo cual la Florida sigue siendo un punto decisivo y temen perder ante la poderosa maquinaria electoral –caracterizada por el odio anticubano– allí existente. Esa maquinaria fue reforzada y organizada como nunca antes en tiempos de Trump. Ello explica entre otras razones el por qué Biden ha mantenido incólume todo el régimen de sanciones y medidas de guerra económica contra Cuba aprobadas por el presidente Trump.
Es así que, nuevamente, Cuba se convierte en un tema de política interna en Estados Unidos, donde los intereses y ambiciones personales chocan con los auténticos intereses nacionales y de seguridad para ese país, con la opinión pública estadounidense y mundial que aspira a un futuro más promisorio en las relaciones bilaterales.
Por otro lado, si antes el presidente Trump buscaba hacer feliz al senador Marco Rubio con el tema Cuba, ahora Biden escucha y complace al senador Bob Menéndez, presidente del Comité de Relaciones Exteriores del Senado, uno de los más reacios representantes del lobby anticubano en ese país. De ahí que una vez más se demuestra que la política de Estados Unidos hacia Cuba, y en sentido general la política exterior de ese país, no pueda analizarse bajo la lógica de lo que pueda ser más beneficioso para esa nación y el mundo, sino por cómo se mueven los intereses y ambiciones personales, el dinero, los lobbies de interés y la compra-venta en cuestiones políticas; la política se convierte en una mercancía más.
Otro factor que es importante considerar, como una constante histórica, es que nunca, ni durante las administraciones republicanas o demócratas, ha ocurrido que en una etapa vulnerabilidad económica y social para Cuba, Estados Unidos ha buscado un entendimiento o flexibilizado la asfixia económica, la subversión y presión política, todo lo contrario, en esos momentos se ha recrudecido la hostilidad de Washington contra Cuba, para oportunistamente dar la estocada final siempre añorada al socialismo cubano.
Sin embargo, consideramos que el presidente de Estados Unidos se equivoca y está mal asesorado en el rumbo que pretende darle a la política hacia Cuba, al pensar que de esa manera complace y gana a los sectores de extrema derecha de la Florida en sus propósitos electorales en la disputa por mantener la primacía demócrata en ambas cámaras del legislativo para noviembre del 2022.
Siguiendo ese camino no logrará que voten por los demócratas los cubanoamericanos de línea dura contra la Revolución cubana, pues estos le exigirán siempre más, hasta una invasión militar si es posible y, al propio tiempo, perderá los votos más seguros con los que cuenta de la comunidad cubana en ese país –para nada insignificantes–, esos que confiaron en sus promesas de campaña de una mejor relación con Cuba y de facilidad en los vínculos familiares a ambos estrechos de la Florida. No conviene para nada tampoco a la administración demócrata intentar estimular una situación en Cuba de inestabilidad y caos, que pudiera generar un flujo migratorio incontrolable hacia territorio norteamericano. Solo la audacia, el liderazgo efectivo y la valentía política, podría permitir sacar a Biden de tan empantanado y equívoco camino.
Por otro lado, desde un optimismo crítico, no albergo la menor duda de que Cuba superará este momento tan complejo, no es el único momento en la historia en que el pueblo cubano y su Revolución, han sabido convertir los reveses en victorias. De no cambiar su postura, Biden pasará a la historia como otro presidente estadounidense más que se aferra a una política inhumana y fallida, que beneficia solo a un sector que ha convertido el tema Cuba en un negocio lucrativo y corrupto, desprestigiando cada vez más la política exterior de Estados Unidos ante los ojos del mundo y afectándole la vida a millones de personas.