Le fallite avventure elettorali della ‘società civile’ oppositrice

Dejà vu dopo il disastro all’UCV

misionverdad.com

 

Il fallimento del processo elettorale per eleggere nuove autorità presso l’Università Centrale del Venezuela (UCV) è stato un dejà vu dei recenti rovesci di un settore che si è arrogato lo status di “società civile” nel Paese. Tra discorsi di dialogo e tolleranza, la classe politica dell’opposizione ha cercato di screditare le istituzioni dello Stato, insieme ai suoi accademici e media che fungono da portavoce quando la realtà le è avversa, con il discorso elettorale (a favore o contro) come motivo chiave dei propri interessi.

Per questo è paradigmatico che una delle diatribe installate di fronte alle elezioni primarie che la Piattaforma Unitaria Democratica si è promessa realizzare sia l’eventuale accompagnamento del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) durante l’iter. Alcuni pre-candidati come María Corina Machado, Delsa Solórzano e Andrés Velásquez sostengono una consultazione “indipendente” organizzata attraverso la Commissione Nazionale Primaria e con un conteggio manuale. I risultati dei precedenti tentativi di applicare questo metodo sono evidenti.

È noto che l’articolo 70 della Costituzione venezuelana considera l’elezione delle cariche pubbliche, il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, le iniziative legislative, costituzionali e costituenti, il consiglio aperto e l’assemblea dei cittadini come mezzi vincolanti di partecipazione e protagonismo del popolo. Tuttavia, il Potere Elettorale, attraverso il CNE, ha l’attribuzione di organizzare, amministrare, dirigere e controllare le elezioni per le cariche di rappresentanza popolare dei pubblici poteri e i referendum (articolo 293.5).

Ma dalla dirigenza antichavista ci sono state crepe sul ruolo delle istituzioni pubbliche nelle elezioni. Negli ultimi anni si è cercato di delegare a questa “società civile” l’attribuzione di legittimare processi elettorali organizzati da loro stessi al fine di disarticolare lo Stato, cioè i poteri pubblici, mediante l’argomento della “disobbedienza civile” che ha cercato tutela negli articoli 333 e 350 della Magna Carta.

Questa garanzia è stata intesa come un privilegio da alcuni settori legati agli imprenditori, ai media e al settore finanziario avversi al Governo bolivariano. Anche se il sistema elettorale venezuelano ha numerosi processi di automazione e controllo, questi gruppi insistono nel disconoscere gli interessi della maggioranza elettorale, con innumerevoli accuse di “frode” quando i risultati sono stati contrari ai loro interessi.

GARCÍA AROCHA, SÚMATE ED IL PLEBISCITO DEL 2017

Un’escalation violenta (guarimbas) e terroristica, durata da aprile ad agosto 2017, ha prodotto, secondo dati ufficiali, un saldo di 127 morti e migliaia di feriti. È servita da cornice per un settore dell’Assemblea Nazionale, eletta nel 2015 (AN-2015), per convocare un plebiscito nazionale che ha avuto luogo il 16 luglio.

Quello che voleva essere l’equivalente di un referendum revocatorio, è stato catalogato come “atto di disobbedienza civile” e disconosciuto sia dal CNE che dalla Corte Suprema di Giustizia (TSJ); quest’ultimo aveva assunto i poteri del parlamento per il ricorrente disprezzo delle sue funzioni, mentre l’opposizione presiedeva l’emiciclo. La Tavola dell’Unità Democratica (MUD) ha affermato che entrambi i poteri avevano generato la “rottura del filo costituzionale”, sostenuta dall’AN, allora presieduta da Julio Borges (Primero Justicia), e dall’allora Procuratore Generale della Repubblica, Luisa Ortega Díaz.

Nel maggio 2017, il presidente Nicolás Maduro aveva convocato un’Assemblea Nazionale Costituente (ANC) come punto di incontro affinché tutte le espressioni politiche, non solo la “società civile”, convergessero nella ricostruzione del tessuto politico e sociale del paese dopo mesi di azioni insurrezionali attraverso una rivoluzione colorata. L’opposizione ha rifiutato di partecipare alla convocazione (costituzionalmente legittimo) ed ha proseguito nella sua agenda destabilizzatrice fino a quando, due settimane prima delle elezioni dell’ANC, ha realizzato il plebiscito con il sostegno della stampa privata locale e globale.

I requisiti per votare nel plebiscito erano essere maggiori di 18 anni con carta d’identità o passaporto, non era necessario essere registrati nel Registro Elettorale venezuelano e non importava quale fosse il suo centro di voto originale. Hanno stabilito 2030 punti di consultazione in tutto il paese per servire più di 19 milioni di partecipanti o più. Alcuni punti di consultazione sono stati istituiti in piazze, adiacenze a chiese e collegi, altri punti sono stati installati fuori dal paese.

La MUD ha invitato, tra gli altri personaggi, cinque ex presidenti dell’estrema destra emisferica: Laura Chinchilla e Miguel Ángel Rodríguez del Costa Rica, Jorge “Tuto” Quiroga dalla Bolivia, Andrés Pastrana dalla Colombia e Vicente Fox dal Messico, che sono stati dichiarati persona non grate dal governo nazionale.

Le domande del plebiscito sono state:

°Respingi e disconosci la realizzazione di una Costituente proposta da Nicolás Maduro senza la previa approvazione del popolo venezuelano?

°Chiedi alla Forza Armata Nazionale e ad ogni funzionario pubblico di obbedire e difendere la Costituzione del 1999 e appoggiare le decisioni dell’Assemblea Nazionale?

°Approvi che si proceda al rinnovo dei poteri pubblici secondo quanto stabilito dalla Costituzione e alla realizzazione di elezioni libere e trasparenti, nonché la formazione di un governo di unità nazionale per ripristinare l’ordine costituzionale?

Il processo è stato assistito da organizzazioni non governative (ONG) come EsData, Voto Joven, Foro Penal Venezolano e Súmate. Quest’ultima è stata fondata nel 2002 dall’attuale pre-candidata María Corina Machado come veicolo di intervento elettorale che ha cercato di fungere da “CNE parallelo” ed è giunta ad essere la ONG venezuelana con i maggiori finanziamenti esteri in Venezuela. Lo dimostrano i 132 contratti svelati dall’USAID, e tra i suoi donatori ci sono la NED, l’IRI e la NDI.

Un altro dei fondatori di Súmate è stato l’attuale rettore del CNE Roberto Picón, che faceva parte anche dell’ONG Ojo Electoral. Era Coordinatore del Team di Supporto Tecnico della MUD e aveva una società, Consein, con proiezione internazionale. Quell’anno fu arrestato dalle autorità venezuelane per aver cospirato contro le elezioni dell’ANC e rilasciato pochi mesi dopo con misure sostitutive.

I risultati sono stati divulgati dalla stessa Cecilia García Arocha, attuale rettrice dell’UCV, recentemente accusata, da vari settori, del fallimento delle elezioni universitarie del 26 maggio scorso. Senza audit e con un processo manuale, hanno pubblicato che avevano votato poco più di 7 milioni di persone; ci sono state denunce su elettori che hanno partecipato votando in diversi punti e, come è necessario, hanno bruciato i verbali.

Invece della formazione di un “governo di unione nazionale”, l’opposizione si è più divisa. In queste condizioni ha partecipato alle elezioni regionali dell’ottobre successivo; fallendo e vincendo solo 5 dei 23 governatorati e ha fatto affermazioni, non supportate, di frode elettorale.

CONSULTAZIONE 2020: LA PROPAGANDA NEL RANTOLO DELL'”INTERIM”

Nel 2020, l’opposizione ha convocato una “consultazione popolare” in pieno declino dell ‘”interim” guidata dall’ex deputato Juan Guaidó, pochi giorni prima delle elezioni legislative che avrebbero fatto cessare le funzioni dell’AN-2015. Tra il 7 e il 12 dicembre di quell’anno, diversi partiti del MUD hanno deciso di non partecipare alle legislative perché ritenevano che il governo nazionale “non offrisse garanzie” e perché non volevano prendere parte a “una [presunta] frode elettorale. “

Smobilitati, nel bel mezzo di una pandemia globale e cercando di “riattivare il potere di strada”, il 12 dicembre hanno allestito poco più di 7000 tavoli, dentro e fuori il Venezuela. I votanti dovevano scrivere il proprio nome e firmare con la propria rubrica, ma la loro registrazione non veniva verificata rispetto ad altri luoghi abilitati, per evitare frodi. La cosa più controversa è stata l’implementazione di applicazioni digitali per il voto virtuale: Telegram e Voatz. Con esse, ogni votante avrebbe inviato una foto del documento di identità per rispondere alla Consulta.

Nel frattempo, l’ormai estinto Gruppo di Lima, l’International Contact Group, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), l’Unione Europea e l’allora Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, criticavano le elezioni legislative (indette e avallate dalla Costituzione nazionale) per non essere “giuste, libere né trasparenti”.

Le domande sono state:

°Esigi la cessazione dell’usurpazione della presidenza da parte di Nicolás Maduro e la realizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari libere, giuste e verificabili?

°Respingi l’evento del 6 dicembre organizzato dal regime di Nicolás Maduro e richiedi alla comunità internazionale di disconoscerlo?

°Ordini che siano fatti i passi necessari presso la comunità internazionale per attivare la cooperazione, l’accompagnamento e l’assistenza che permettano riscattare la nostra democrazia, affrontare la crisi umanitaria e proteggere il popolo dai crimini contro l’umanità?

Secondo Enrique Colmenares Finol, membro del comitato organizzatore, hanno votato circa 6,4 milioni di persone (il 31% delle liste elettorali che non hanno preso in considerazione), suddivisi in una “partecipazione digitale” di 2,4 milioni, di persona, in Venezuela, 3,2 milioni e il resto che, presumibilmente, ha partecipato di persona nei punti installati all’estero. La suddetta “partecipazione”, di poco superiore a quella delle elezioni legislative organizzate dal CNE, non è stata verificata dagli osservatori, né si è saputo quante persone abbiano votato contro o a favore di ciascuna delle tre domande poste e il voto, tanto in presenza che elettronico, ha sollevato dubbi per l’assenza di una verifica.

Le domande, che cercavano legittimare la prosecuzione delle misure coercitive unilaterali contro il Venezuela, e persino l’invasione militare (nell’ambito della strategia USA di “massima pressione”), hanno funzionato come meccanismo di mobilitazione e delegittimazione nei confronti delle istituzioni, con risultati non vincolanti per le autorità statali.

ED ORA L’UCV

Questa piattaforma ha analizzato cosa è successo all’UCV, tuttavia, ci sono alcuni aspetti chiave che è importante evidenziare:

°La Commissione Elettorale dell’UCV è stata designata a maggioranza dal Consiglio Universitario, lo stesso organo che ha deciso un budget di 71mila $ per questo processo, quando il CNE  aveva offerto supporto tecnico.

°Quella stessa commissione, eletta dall’opposizione  maggioritaria in quel Consiglio, ha più volte riconosciuto il sabotaggio al materiale elettorale, quindi il fallimento è di sua responsabilità per non aver garantito la tutela.

°Alcuni portavoce, come il candidato a rettore di Vente Venezuela, Paulino Betancourt, e altri esponenti dell’opposizione come Juan Guaidó, hanno provato a collegare il processo ucevista con il “cambio” che sono tornati a promettere con le elezioni primarie, elevando il profilo delle elezioni universitarie come un affare della dirigenza antichavista radicata nel settore accademico.

Nonostante si sia autoproclamata come classe selezionata, la “società civile” di opposizione continua ad accumulare una collezione di fallimenti e a raddoppiare le puntate attorno ad avventure politiche e paraistituzionali che non hanno un fondamento funzionale ai suoi (apparentemente) confessati interessi, di fronte all’evidente negazione della realtà che soffre.

La curiosa concezione della democrazia di questo settore ha confermato che, indipendentemente dalle vie con cui l’opposizione ha cercato di prendere il potere, ha come fissazione l’insistenza nel disconoscere l’autorità dello Stato venezuelano, accettando solo i risultati che le convengono, mentre insiste nel continuare con esperimenti (tramite ONG, fondazioni, organismi parastatali, organizzazioni politiche, ecc.) che hanno ricadute nello scenario politico non proprio a suo favore.


DEJAVÚ TRAS EL DESASTRE EN LA UCV

LAS FRACASADAS AVENTURAS ELECTORALES DE LA “SOCIEDAD CIVIL” OPOSITORA

El fracaso del proceso electoral para elegir nuevas autoridades en la Universidad Central de Venezuela (UCV) ha sido un dejavú de los recientes reveses de un sector que se ha abrogado la condición de “sociedad civil” en el país. Entre discursos de diálogo y tolerancia, la clase política opositora ha buscado desprestigiar a instituciones del Estado junto a sus académicos y medios que sirven de altavoces cuando la realidad le es adversa, con el discurso electoral (a favor o en contra de) como un móvil clave de sus intereses.

Por eso, resulta paradigmático que una de las diatribas instaladas de cara a las elecciones primarias que ha prometido realizar la Plataforma Unitaria Democrática es el eventual acompañamiento del Consejo Nacional Electoral (CNE) durante el proceso. Algunos precandidatos como María Corina Machado, Delsa Solórzano y Andrés Velásquez abogan por una consulta “independiente” organizada a través de Comisión Nacional de Primaria y con conteo manual. Los resultados de intentos anteriores por aplicar este método son evidentes.

Se sabe que el artículo 70 de la Constitución venezolana considera la elección de cargos públicos, el referendo, la consulta popular, la revocación del mandato, las iniciativas legislativa, constitucional y constituyente, el cabildo abierto y la asamblea de ciudadanos y ciudadanas como medios vinculantes de participación y protagonismo del pueblo. Sin embargo, el Poder Electoral, a través del CNE, tiene la atribución de organizar, administrar, dirigir y vigilar las elecciones de cargos de representación popular de los poderes públicos y los referendos (artículo 293.5).

Pero desde la dirigencia antichavista ha habido fisuras sobre el papel de las instituciones públicas en elecciones. En los últimos años se intentó delegar a esa “sociedad civil” la atribución de legitimar procesos electorales organizados por ellos mismos con el fin de desarticular al Estado, es decir, a los poderes públicos, mediante el argumento de la “desobediencia civil” que ha buscado amparo en los artículos 333 y 350 de la Carta Magna.

Esta garantía ha sido entendida como un privilegio por determinados sectores vinculados al empresariado, medios de comunicación y el sector financiero adversos al Gobierno Bolivariano. Aun cuando el sistema electoral venezolano cuenta con numerosos procesos de automatización y auditoría, dichos grupos insisten en desconocer los intereses de la mayoría electoral, con innumerables acusaciones de “fraude” cuando los resultados han sido adversos a sus intereses.

GARCÍA AROCHA, SÚMATE Y EL PLEBISCITO DE 2017

Una escalada violenta (guarimbas) y terrorista que duró desde abril hasta agosto de 2017 produjo, según cifras oficiales, un saldo de 127 muertos y miles de heridos. Sirvió como marco para que un sector de la Asamblea Nacional electa en 2015 (AN-2015) convocara a un plebiscito nacional que se llevó a cabo ese 16 de julio.

Lo que buscaba ser equivalente a un referendo revocatorio, fue catalogado como “acto de desobediencia civil” y desconoció tanto al CNE como al Tribunal Supremo de Justicia (TSJ); este último había asumido las competencias del parlamento por el recurrente desacato de sus funciones, mientras la oposición presidió el hemiciclo. La Mesa de Unidad Democrática (MUD) alegó que ambos poderes habían generado la “ruptura del hilo constitucional”, apoyado por la AN entonces presidida por Julio Borges (Primero Justicia), y la entonces Fiscal General de la República, Luisa Ortega Díaz.

En mayo de 2017, el presidente Nicolás Maduro había convocado a una Asamblea Nacional Constituyente (ANC) como punto de encuentro para que todas las expresiones políticas, no solo la “sociedad civil”, convergieran en la reconstrucción del tejido político y social del país tras meses de acciones insurreccionales vía revolución de color. La oposición rechazó participar en la convocatoria (legítima constitucionalmente) y prosiguió en su agenda desestabilizadora hasta que, dos semanas antes de las elecciones de la ANC, realizó el plebiscito con el apoyo de la prensa privada local y global.

Los requisitos para votar en el plebiscito eran ser mayor de 18 años con cédula o pasaporte, no se exigía estar inscrito en el Registro Electoral venezolano y no importaba cuál fuese su centro de votación original. Establecieron 2 mil 30 puntos para la consulta en todo el país para atender a más de 19 millones de participantes o más. Algunos puntos de consulta fueron fijados en plazas, adyacencias de iglesias y colegios, otros puntos fueron instalados en el exterior del país.

La MUD invitó, entre otros personajes, a cinco expresidentes de la ultraderecha hemisférica: Laura Chinchilla y Miguel Ángel Rodríguez de Costa Rica, Jorge “Tuto” Quiroga de Bolivia, Andrés Pastrana de Colombia y Vicente Fox de México, quienes fueron declarados personas non gratas por el gobierno nacional.

Las preguntas del plebiscito fueron:

¿Rechaza y desconoce la realización de una Constituyente propuesta por Nicolás Maduro sin la aprobación previa del pueblo venezolano?

¿Demanda a la Fuerza Armada Nacional y a todo funcionario público obedecer y defender la Constitución del año 1999 y respaldar las decisiones de la Asamblea Nacional?

¿Aprueba que se proceda a la renovación de los poderes públicos de acuerdo a lo establecido en la Constitución, y a la realización de elecciones libres y transparentes, así como la conformación de un gobierno de unión nacional para restituir el orden constitucional?

El proceso fue asistido por organizaciones no gubernamentales (ONG) como EsData, Voto Joven, Foro Penal Venezolano y Súmate. Esta última fue fundada en 2002 por la actual precandidata María Corina Machado como vehículo de intervención electoral que ha intentado fungir de “CNE paralelo” y llegó a ser la ONG venezolana con mayor financiamiento extranjero en Venezuela. Así lo demuestran los 132 contratos que reveló la USAID, y entre sus donantes se encuentran la NED, el IRI y el NDI.

Otro de los fundadores de Súmate fue el actual rector del CNE Roberto Picón, quien también formó parte de la ONG Ojo Electoral. Fue Coordinador del Equipo de Apoyo Técnico de la MUD y tuvo una empresa, Consein, con proyección internacional. Fue detenido por las autoridades venezolanas ese año por conspiración contra las elecciones a la ANC y puesto en libertad pocos meses luego bajo medidas sustitutivas.

Los resultados fueron divulgados por la mismísima Cecilia García Arocha, actual rectora de la UCV, a quien recientemente diversos sectores han responsabilizado del fracaso de las elecciones universitarias del pasado 26 de mayo. Sin auditorías y con un proceso manual publicaron que habían votado poco más de 7 millones de personas, hubo denuncias acerca de votantes que asistieron a distintos puntos y, como es menester, quemaron las actas.

En vez de la conformación de un “gobierno de unión nacional”, la oposición quedó más dividida. En esas condiciones participó en las elecciones regionales de octubre siguiente; fracasó ganando solo cinco de 23 gobernaciones e hizo reclamos sin respaldo de fraude electoral.

CONSULTA 2020: PROPAGANDA EN EL ESTERTOR DEL “INTERINATO”

En 2020, la oposición convocó a una “consulta popular” en pleno declive del “interinato” encabezado por el exdiputado Juan Guaidó, a pocos días de las elecciones legislativas que cesarían las funciones de la AN-2015. Entre el 7 y el 12 de diciembre de ese año, varios partidos de la MUD decidieron no participar en las legislativas por considerar que el gobierno nacional “no ofrecía garantías” y porque no querían tomar parte de “un [supuesto] fraude electoral”.

Desmovilizados, en plena pandemia global y buscando “reactivar el poder de calle”, instalaron poco más de 7 mil mesas el día 12 de diciembre, dentro y fuera de Venezuela. Los votantes debían anotar su nombre y firmar con su rúbrica, pero su inscripción no se cotejó con otros lugares habilitados para evitar fraude. Lo más controversial fue que se implementaron aplicaciones digitales para el voto virtual: Telegram y Voatz. Con ellas, cada votante enviaría una foto del documento de identidad para responder la Consulta.

Entretanto, el hoy extinto Grupo de Lima, el Grupo Internacional de Contacto, la Organización de Estados Americanos (OEA), la Unión Europea y la entonces Alta Comisionada de Naciones Unidas para los Derechos Humanos, Michelle Bachelet, criticaban las elecciones legislativas (convocadas y avaladas por la Constitución nacional) por no ser “justas, libres ni transparentes”.

Las preguntas fueron:

¿Exige usted el cese de la usurpación de la presidencia de parte de Nicolás Maduro y convoca la realización de elecciones presidenciales y parlamentarias libres, justas y verificables?

¿Rechaza usted el evento del 6 de diciembre organizado por el régimen de Nicolás Maduro y solicita a la comunidad internacional su desconocimiento?

¿Ordena usted adelantar las gestiones necesarias ante la comunidad internacional para activar la cooperación, acompañamiento y asistencia que permitan rescatar nuestra democracia, atender la crisis humanitaria y proteger al pueblo de los crímenes de lesa humanidad?

Según Enrique Colmenares Finol, miembro del comité organizador, votaron aproximadamente 6,4 millones de personas (31% del registro electoral que no tomaron en cuenta), desglosados en una “participación digital” de 2,4 millones, la presencial en Venezuela de 3,2 millones y el resto que supuestamente participó de manera presencial en los puntos instalados en el exterior. La mencionada “participación”, que superó por poco a la de las elecciones legislativas organizadas por el CNE, no fue constatada por observadores, tampoco se supo cuánta gente votó en contra o a favor de cada una de las tres preguntas planteadas y el voto, tanto presencial como electrónico, generó dudas por la ausencia de una verificación.

Las preguntas, que buscaban legitimar la continuidad de las medidas coercitivas unilaterales contra Venezuela, e incluso la invasión militar (como parte de la estrategia estadounidense de “máxima presión”), fungieron como un mecanismo de movilización y deslegitimación contra las instituciones, con resultados no vinculantes ante las autoridades estatales.

Y AHORA LA UCV

Esta tribuna analizó lo ocurrido en la UCV, sin embargo, hay algunos aspectos claves que son importantes resaltar:

La Comisión Electoral de la UCV fue designada por mayoría del Consejo Universitario, misma instancia que decidió un presupuesto de 71 mil dólares para este proceso, cuando el CNE les había ofrecido el apoyo técnico.

Esa misma comisión, elegida por la oposición mayoritaria en ese Consejo, reconoció el sabotaje al material electoral repetidas veces, por lo que la falla es su responsabilidad al no garantizar el resguardo.

Algunos voceros como el candidato a rector de Vente Venezuela, Paulino Betancourt, y otros personajes de la oposición como Juan Guaidó, intentaron vincular el proceso ucevista con el “cambio” que han vuelto a prometer con las elecciones primarias, elevando el perfil de los comicios universitarios como un asunto de la dirigencia antichavista enquistada en el sector académico.

Aun cuando se ha autoproclamado como clase selecta, la “sociedad civil” opositora sigue acumulando la colección de fracasos y redoblando las apuestas en torno a aventuras políticas y parainstitucionales que no tienen un asidero funcional a sus (en apariencia) confesados intereses, ante la evidente negación de la realidad que sufre.

La curiosa concepción de democracia de ese sector ha confirmado que, no importa las vías por las que la oposición ha buscado hacerse del poder, tiene entre ceja y ceja la insistencia en desconocer la autoridad del Estado venezolano, solo aceptando los resultados que le conviene, mientras insiste en continuar con experimentos (vía ONG, fundaciones, organismos paraestatales, organizaciones políticas, etc.) que repercuten en el escenario político no precisamente a su favor.

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