Luttuoso anniversario

José Ramón Cabañas Rodríguez

Il 26 febbraio 1982, l’allora presidente Ronald Reagan diede istruzioni al suo Segretario di Stato che includesse Cuba nella cosiddetta lista di paesi che sponsorizzavano il terrorismo, in corrispondenza con quanto stipulato in una legislazione approvata tre anni prima, chiamata Law Export Administration (Sezione 6).

Questo e altri testi del Legislativo che videro la luce in quel momento erano il risultato dell’analisi introspettiva che era stata fatta nel Congresso USA, a partire dalla schiacciante sconfitta sofferta in Vietnam, il coinvolgimento delle agenzie federali di quel paese in una catena di colpi di Stato che ebbero luogo in America Latina e nell’assassinio di diversi dirigenti politici stranieri, tra altri mali.

Nella relazione della cosiddetta Commissione Church, ad esempio, si riconobbero, per la prima volta, i tentativi di assassinio organizzati contro il dirigente della Rivoluzione cubana Fidel Castro (8 di oltre 600).

Mentre questo tipo di esercizio di esorcismo aveva luogo in un settore della classe politica USA, all’altro estremo dello spettro la chiamata Nuova Destra si strutturava tra coloro che consideravano che il loro paese non dovesse chiedere perdono per i crimini commessi, che lo scontro contro il campo socialista e le forze progressiste avrebbero dovuto essere ancora più decisivo e che fosse urgente demolire le barriere che impedivano la penetrazione del capitale USA in tutti gli angoli del pianeta.

In termini di America Latina e Caraibi, un generale a quattro stelle divenuto diplomatico, Alexander Haig, propose l’alternativa di “andare alla fonte”, secondo la quale le lotte sociali nella regione non erano dovute al sovra sfruttamento causato dalle transnazionali USA e altri eccessi, bensì dall’esempio che proponeva la lotta di Cuba per preservare la sua sovranità.

Nei documenti governativi dell’epoca non si offrì alcuna giustificazione concreta per considerare l’isola come paese terrorista. Quello spazio vuoto fu riempito, nel corso degli anni, da ipotesi, speculazioni giornalistiche e frammenti di discorsi di Reagan e dei suoi amici, che si riferivano, in modo patologico, alla “influenza cubana”.

Tuttavia, una delle chiavi per capire cosa avvenne allora e come Cuba  apparve, quasi per magia, in quella lista, la offrì, anni dopo, un ex membro della Brigata 2506 che invase Playa Girón, ex ufficiale della Marina da Guerra USA ed alto dirigente della Fondazione Nazionale Cubana-Americana (FNCA). In un libro che può essere considerato parte delle sue memorie, l’avvocato di origine cubana Antonio (Tony) Zamora spiegò quanto successe nel volume ‘Ciò che appresi su Cuba visitando Cuba’ (2013).

Zamora era stato testimone di eccezione agli scambi avvenuti tra alti funzionari del governo repubblicano di allora e il suo capo alla direzione della FNCA, Jorge Mas Canosa. Come parte di quelli, venne chiesto a quest’ultimo nucleare ex operativi della CIA, ex mercenari, ex uomini del presidente e altre specie umane in un progetto a carattere elettorale, che garantisse il maggior numero di voti nel sud della Florida a favore dei candidati repubblicani.

Poiché tutti gli accordi politici negli USA hanno un carattere transazionale, quando a Canosa venne notificato il suo prossimo lavoro, gli fu chiesto cosa volesse in cambio. La sua reazione fu immediata e breve: “includano Cuba nella lista dei paesi terroristi”, conoscendo in anticipo lo stigma che significava per il paese segnalato e la porta che si sarebbe aperta per aspirare a beneficiarsi, costantemente, dei fondi federali, che sarebbe stati approvati per cercare di cambiare lo stato delle cose sull’isola.

La FNCA impresse il suo sigillo sulle leggi per lanciare i progetti delle chiamate Radio e TV Martí, nella Legge Torricelli, nella Legge Helms Burton e in tutti i programmi approvati dalla National Endowment for Democracy contro le cattive influenze cubane.

A quel tempo gli operativi repubblicani non considerarono che si trattasse di una grande richiesta quella fatta da Mas, dal momento che Cuba era già sotto gli effetti del blocco economico, politico e finanziario impiantato dal 1962. Ma col tempo si andarono perfezionando ed espandendo le sanzioni che soffrivano quelli che apparivano nella menzionata lista.

In teoria era terrorismo ciò che Cuba praticava sulla piccola isola di Granada, nel 1983, dove esperti cubani appoggiavano la costruzione di un aeroporto civile che, secondo la stampa aziendale USA, sarebbe servito da trampolino per il progresso del comunismo nella regione. Forze militari d’elite USA invasero il piccolo paese e assassinarono la popolazione locale e 24 cooperanti cubani.

L’inspiegabile presenza di Cuba in quella lista accompagnò come pretesto ciascuno dei tentativi di sterminio che furono messi in pratica per anni contro l’isola, anche dopo la scomparsa del campo socialista e molto tempo dopo che una guerra irregolare, finanziata dal bilancio federale USA, cancellasse, uno ad uno, tutti i movimenti sociali e armati alternativi in ​​America Centrale.

Il sostegno di Cuba alla sovranità dell’Angola, all’indipendenza della Namibia e alla fine dell’apartheid in Sudafrica fu anche considerata una pratica terrorista dalla Casa Bianca, almeno fino a quando Nelson Mandela (anch’egli indicato come terrorista ai suoi tempi) si convertì in un simbolo mondiale e fu ricevuto negli USA con tutti gli onori.

Il tema dell’inclusione di Cuba nella lista contro ogni evidenza fu un contenzioso nella relazione bilaterale fino al momento di accordarsi sul ripristino delle relazioni diplomatiche bilaterali nel luglio 2015.

Il 14 aprile, il presidente Barack Obama inviò una notifica al Congresso che soddisfaceva la formalità di dichiarazione che Cuba non aveva partecipato a nessuna azione terroristica nei 6 mesi precedenti e affermando che il governo cubano aveva assicurato che non avrebbe partecipato a questo tipo di attività in futuro. Quest’ultima parte, ovviamente, non è stata estratta da alcun documento cubano preparato per l’occasione, bensì dall’impegno permanente di Cuba di fronte a  quel flagello ed al suo ruolo cardine nel processo di pace in Colombia che, a quel tempo, attraversava fasi definitorie.

Ai fini dell’analisi di questo tema, per l’oggi, è sufficiente ricordare che Obama fece tale passo davanti ad un Congresso con predominanza repubblicana, a cui appartenevano diversi legislatori di origine cubana, che minacciarono, in ogni momento, di impedire e limitare le disposizioni esecutive in merito a Cuba. Per qualche ragione le loro esclamazioni non furono ascoltate, né il loro ricatto risultò efficace.

Il 29 maggio dello stesso anno, il Segretario di Stato, John Kerry, realizzò la formalità di ritirare il nome di Cuba dalla lista e il 22 luglio, due giorni dopo la riapertura dell’ambasciata cubana a Washington, il Registro Federale  spiegava che questa decisione emendava i regolamenti dell’Export Administration per attuare la recisione della designazione di Cuba come Stato Sponsorizzatore del Terrorismo, in particolare in quanto alla rimozione dei requisiti delle licenze antiterroristiche e dei riferimenti al paese in tale qualità, sebbene  chiarisse che si mantenevano i requisiti di licenza pre-esistenti per tutti i prodotti previsti nella legge, a meno che non fosse autorizzata una qualche eccezione.

Cinque pacchetti di misure successive contenevano licenze generali o specifiche del governo di Obama per Cuba, che permisero la concrezione di limitate iniziative commerciali tra i due paesi, anche con l’attuale blocco.

Era la prima volta che un paese usciva dalla lista senza scomparire come tale (Yemén del Sud), o senza essere invaso e schiacciato, come i casi dell’Iraq e della Libia.

Il governo di Donald Trump non forzò il tema dall’inizio dei suoi sforzi per retrocedere in tutto ciò che era avanzato nel rapporto con Cuba. Preferì la campagna di presunti attacchi sonici, per giustificare la diminuzione degli scambi bilaterali e la drastica riduzione del personale diplomatico in entrambe le capitali. Quindi passò alla presenza di 20000 soldati cubani invisibili in Venezuela, quando il golpe contro Caracas ottenne la priorità nell’agenda della sua nuova squadra di sicurezza nazionale inaugurata alla fine del 2018.

Fu solo nel 2019 che il governo colombiano di Iván Duque, ora convertito in un cattedratico al Wilson Center a Washington DC, iniziò a ribadire le dichiarazioni contrarie allo spirito degli accordi di pace nel suo paese e indicando Cuba, non per il suo ruolo di garante, ma per accogliere e non consegnare rappresentanti dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), forza ancora belligerante che era in procinto di integrarsi, in quel momento, al colloquio di pace.

Questa indotta bellicosità colombiana coincise, nei tempi, con i processi legali che seguirono il presidente USA per ottenere la sua destituzione su istanza del Congresso (impeachment), azioni che lo costrinsero a stabilire alleanze con qualsiasi politico che lo aiutasse a evitare la catastrofe. Fu allora che in un altro esercizio di carattere transazionale, il senatore di origine cubana Marco Rubio, scambiò il suo sostegno dal Comitato di Intelligence del Senato con la realizzazione di azioni più determinanti contro Cuba, che andarono dal radicale taglio dei viaggi aerei e marittimi tra i due paesi, alla sospensione di tutti i contatti bilaterali ufficiali e l’”opzione nucleare” ai sensi della Legge Helms Burton: eliminare la dispensa (waiver) per la non applicazione del titolo III.

Ma non fu fino a dopo essere stata confermata la sconfitta di Trump nella sua aspirazione a rieleggersi, che lo strumento della lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo fu usata per rendere più difficile qualsiasi azione di riaggiustamento con Cuba da parte delle autorità del nuovo governo democratico che era già stato eletto.

Pochi giorni dopo aver consegnato l’incarico (11 gennaio 2021), l’allora segretario di Stato Mike Pompeo si rinchiuse nel suo ufficio e, senza ascoltare alcuna opinione di altri membri del gabinetto, o subordinati, firmò un documento che riportava il nome di Cuba nella falsa lista. Sebbene la decisione mancasse di ogni fondamento (come nel 1982), l’ambasciata USA all’Avana si affrettò a raccogliere argomenti che sostenessero questo crimine con escalation, notturnità e premeditazione. Ma erroneamente iniziò dicendo “il governo di Trump è stato impegnato fin dall’inizio nel negare risorse necessarie al regime di Castro”, lasciando intravedere gli scopi reali della decisione.

Se questo passo fu assurdo, in violazione di tutte le regole delle sacrosante consultazioni interagenzie, più ancora lo fu la santificazione ufficiale di tale atto quando il recentemente inaugurato governo di Joe Biden affermò che “Cuba non cooperava in forma adeguata agli sforzi contro i terroristi degli USA”, nonostante il fatto che 80 congressisti democratici avessero espresso la loro posizione contraria in una lettera diretta, nel marzo 2021, al Presidente. La riaffermazione di tale assurdità si verificò l’11 maggio 2022 in una nota affrettata di Anthony Blinken.

La realtà è che fino a quest’ultima data la squadra di Biden aveva assunto volentieri l’ipotesi trumpista che una combinazione di crisi economica indotta e l’effetto della pandemia avrebbe consumato l’effetto della legge di gravità sul governo cubano. Ma non avvenne e Biden con i suoi accoliti iniziarono a soffrire un rifiuto dopo l’altro per questo motivo.

Il primo e il più mediatico fu il fallimento del cosiddetto Vertice delle Americhe organizzato nella città di Los Angeles nel giugno 2022. L’intenzione di isolare Cuba, Venezuela e Nicaragua agì come un boomerang sugli organizzatori.

Poi c’è stata una negazione di alti livelli, quando le nuove autorità di Bogotá, poche ore dopo assumere i loro incarichi (12 agosto 22), confermarono il ruolo fondamentale di Cuba per i negoziati di pace e fecero un appello a Washington affinché abbandonasse le sue pratiche di condanna riguardanti l’isola.

E tra molte altre dichiarazioni nello stesso senso, arrivarono le cosiddette elezioni di medio termine, in cui i democratici non solo persero in Florida su tutta la linea, ma per la prima volta furono massacrati nelle tre contee con la più grande presenza di votanti di origine cubana che, fino ad allora, erano state un sicuro bastione democratico. Non bisognava continuare a cercare l’ago nel pagliaio.

Nella rinascita della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici nel suo ultimo vertice (24 gennaio 2023), assolutamente l’intera regione ha ribadito la sua opposizione al blocco, e in particolare nel mantenere Cuba nella “lista”.

Se fossero ancora insufficienti gli appelli esterni alla Casa Bianca per correggere il proprio errore, all’interno degli USA i consigli di diverse città hanno approvato risoluzioni che richiedono indistintamente la cooperazione con Cuba in generale, nell’area della salute, la revoca del blocco e in particolare l’uscita dalla lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo. L’ultima di queste proposte è attualmente discussa nella capitale Washington DC.

A questo punto, anche nei media USA si comprende che il meccanismo per la confezione della lista stessa e la sua manipolazione opportunistica sono dimostrazioni della falsità dell'”impegno” USA contro il terrorismo come flagello internazionale.

Nelle ultime settimane le autorità USA sono state più disposte al dialogo ufficiale con Cuba e si sono incontrate, in entrambe le capitali, delegazioni che sono correlate principalmente al tema dell’applicazione e rispetto della legge, esercizio impensabile con un paese che il governo USA considerasse che effettivamente sponsorizzi il terrorismo.

In sintesi, tutte le condizioni sono create affinché l’attuale governo corregga l’errore che altri commisero in passato e che fu rettificato una volta. Resta inteso che anche con il mantenimento del blocco, un cambio per quanto riguarda questo tema creerebbe nuove opportunità per lo scambio bilaterale. Manca solo l’elemento chiave: la volontà politica del presidente e della sua squadra. A Cuba lo chiamiamo in modo diverso.


Aniversario luctuoso

Por: José Ramón Cabañas Rodríguez

El 26 de febrero de 1982 el entonces presidente Ronald Reagan dio instrucciones a su Secretario de Estado, para que incluyera a Cuba en la llamada lista de países que auspiciaban el terrorismo, en correspondencia con lo estipulado en una legislación aprobada tres años antes, denominada Ley de Administración de Exportaciones (Sección 6).

Este y otros textos del Legislativo que vieron la luz en aquella época eran el resultado del análisis introspectivo que se había hecho en el Congreso estadounidense, a partir de la aplastante derrota sufrida en Vietnam, el involucramiento de las agencias federales de aquel país en una cadena de golpes de Estado que tuvieron lugar en América Latina y en el asesinato de varios líderes políticos foráneos, entre otros males.

En el informe de la llamada Comisión Church, por ejemplo, se reconocieron por primera vez los intentos de magnicidio organizados contra el líder de la Revolución cubana Fidel Castro (8 de más de 600).

Mientras esta especie de ejercicio de exorcismo tenía lugar en un sector de la clase política estadounidense, en el otro extremo del espectro la llamaba Nueva Derecha se estructuraba entre aquellos que consideraban que su país no debía pedir perdón por los crímenes cometidos, que el enfrentamiento contra el campo socialista y las fuerzas progresistas tendría que ser aún más determinante y que urgía derribar las barreras que impedían la penetración del capital estadounidense en todos los rincones del planeta.

En términos de América Latina y el Caribe un general de cuatro estrellas devenido en diplomático, Alexander Haig, planteó la alternativa de “ir a la fuente”, según la cual las luchas sociales en la región no se debían a la sobreexplotación causada por las transnacionales estadounidenses y otros desmanes, sino al ejemplo que planteaba la lucha de Cuba por preservar su soberanía.

En los documentos gubernamentales de la época no se ofreció ninguna justificación concreta para considerar a la Isla como país terrorista. Ese espacio vacío fue llenado a lo largo de los años con suposiciones, especulaciones periodísticas y fragmentos de discursos de Reagan y sus allegados, que se referían de manera enfermiza a la “influencia cubana”.

No obstante, una de las claves para entender lo sucedido entonces y cómo Cuba apareció casi que por arte de magia en aquella lista, la brindó años más tarde un ex miembro de la Brigada 2506 invasora de Playa Girón, ex oficial de la Marina de Guerra estadounidense y ex alto directivo de la Fundación Nacional Cubano Americana (FNCA). En un libro que puede ser considerado parte de sus memorias, el abogado de origen cubano Antonio (Tony) Zamora explicó lo sucedido en el volumen Lo que aprendí sobre Cuba visitando a Cuba (2013).

Zamora había sido testigo de excepción en los intercambios que se produjeron entre altos funcionarios del gobierno republicano de entonces y su jefe al frente de la FNCA, Jorge Mas Canosa. Como parte de aquellos, se le exigió a este último nuclear a ex operativos de la CIA, ex mercenarios, ex hombres del presidente y otras especies humanas en un proyecto de carácter electoral, que garantizara la mayor cantidad de votos en el Sur de la Florida a favor de los candidatos republicanos.

Como absolutamente todos los arreglos políticos en Estados Unidos tienen carácter transaccional, al ser notificado Mas Canosa sobre su próximo empleo, se le preguntó qué pedía a cambio. Su reacción fue inmediata y breve: “incluyan a Cuba en la lista de países terroristas”, sabiendo por adelantado el estigma que significaba para el país señalado y la puerta que se abriría para aspirar a beneficiarse constantemente de fondos federales, que se aprobarían para intentar cambiar el estado de cosas en la Isla.

La FNCA estampó su sello en las legislaciones para lanzar los proyectos de las llamadas Radio y TV Martí, en la Ley Torricelli, la Ley Helms Burton en todos los programas que aprobó la National Endowment for Democracy contra las malas influencias cubanas.

En aquel momento los operativos republicanos no consideraron que se tratara de una gran solicitud la que hacía Mas, pues Cuba ya estaba bajo los efectos del bloqueo económico, político y financiero implantado desde 1962. Pero con el tiempo se fueron refinando  y ampliando las sanciones que sufrían aquellos que aparecían en la mencionada lista.

En teoría era terrorismo lo que practicaba Cuba en la pequeña isla de Granada en el año 1983, donde expertos cubanos apoyaban la construcción de un aeropuerto civil, que según la prensa corporativa estadounidense serviría como trampolín para el avance del comunismo la región. Fuerzas militares élites estadounidenses invadieron el pequeño país y asesinaron población local y a 24 cooperantes cubanos.

La presencia inexplicable de Cuba en aquella lista acompañó como pretexto a cada uno de los intentos de exterminio que se practicaron durante años contra la Isla, aún después de la desapari ción del campo socialista y mucho después de que una guerra irregular financiada desde el presupuesto federal estadounidense fuera borrando uno por uno a todos los movimientos sociales y armados alternativos en Centroamérica.

El apoyo de Cuba a la soberanía de Angola, la independencia de Namibia y al fin del apartheid en Sudáfrica también fue considerado una práctica terrorista por la Casa Blanca, al menos hasta que Nelson Mandela (también señalado como terrorista en su tiempo) se convirtió en un símbolo mundial y fue recibido en Estados Unidos con todos los honores.

El tema de la inclusión de Cuba en la lista a contrapelo de toda realidad fue un contencioso en la relación bilateral hasta el mismo momento de acordarse el restablecimiento de las relaciones diplomáticas bilaterales en julio del 2015.

El 14 de abril el Presidente Barack Obama envió una notificación al Congreso cumpliendo la formalidad de declarar que Cuba no había participado en ninguna acción terrorista en los 6 meses precedentes y afirmando que el gobierno cubano había dado seguridades de que no participaría en este tipo de actividades en el futuro. Esto último obviamente no fue extraído de ningún documento cubano elaborado para la ocasión, sino del compromiso permanente de Cuba ante ese flagelo y de su papel medular en el proceso de paz en Colombia, que en aquellos momentos transitaba por estadíos definitorios.

A los efectos del análisis de este tema en la actualidad baste recordar que Obama dio tal paso ante un Congreso con predominio republicano, al que pertenecían varios legisladores de origen cubano, que amenazaron en todo momento con impedir y limitar las disposiciones ejecutivas respecto a Cuba. Por alguna razón sus exclamaciones no fueron escuchadas, ni su chantaje resultó efectivo.

El 29 de mayo del propio año, el Secretario de Estado John Kerry cubrió la formalidad de retirar el nombre de Cuba de la lisa y el 22 de julio, dos días después de la reapertura de la embajada cubana en Washington, el Federal Register explicaba que esta decisión enmendaba las regulaciones de la administración de exportaciones para implementar la recisión de la designación de Cuba como Estado Patrocinador del Terrorismo, en especial en cuando a la remoción de los requerimientos de licencias anti-terroristas y las referencias al país en tal calidad, aunque aclaraba que se mantenían los requerimientos de licencia preexistentes para todos los productos previstos en la ley, a menos que se autorizara alguna excepción.

Cinco paquetes de medidas posteriores contenían licencias generales o específicas del gobierno de Obama para Cuba, que permitieron la concreción de limitadas iniciativas de carácter comercial entre ambos países, aún con el bloqueo vigente.

Era la primera vez que un país salía de la lista sin necesidad de desaparecer como tal (Yemén del Sur), o sin ser invadido y aplastado, como fueron los casos de Irak y Libia.

El gobierno de Donald Trump no forzó el tema desde un inicio en su empeño por retroceder en todo lo que se había avanzado en la relación con Cuba. Prefirió la campaña de los supuestos ataques sónicos, para justificar la disminución en los intercambios bilaterales y la drástica reducción del personal diplomático en ambas capitales. Después pasó a la presencia de 20 000 soldados cubanos invisibles en Venezuela, cuando el golpe contra Caracas ganó prioridad en la agenda su nuevo equipo de seguridad nacional estrenado a finales del 2018.

No fue hasta el 2019 que el gobierno colombiano de Iván Duque, ahora convertido en catedrático en el Wilson Center a buen recaudo en Washington DC, comenzó a reiterar afirmaciones contrarias al espíritu de los acuerdos de paz en su país y señalando a Cuba, no por su papel de garante, sino por acoger y no entregar a representantes del Ejército de Liberación Nacional (ELN), fuerza aún beligerante que estaba en proceso de integrarse  en aquel momento a la discusión de la paz.

Esta belicosidad colombiana inducida coincidió en tiempo con los procesos legales que se siguieron al presidente estadounidense para lograr su destitución a instancias del Congreso (impeachment), acciones que lo obligaron a establecer alianzas con cualquier político que ayudara a evitar la catástrofe. Fue entonces que en otro ejercicio de carácter transaccional, el senador de origen cubano Marco Rubio intercambió su apoyo desde el Comité de Inteligencia del senado por la realización de acciones más determinantes contra Cuba, que fueron desde el corte radical de los viajes aéreos y marítimos entre ambos países, la suspensión de todos los contactos bilaterales oficiales y la “opción nuclear” bajo la Ley Helms Burton: eliminar la dispensa (waiver) para la no aplicación del título III.

Pero no fue hasta después de confirmada la derrota de Trump en su aspiración a reelegirse, que la herramienta de la lista de países que auspician el terrorismo fue utilizada para hacer más difícil cualquier acción de reacomodo con Cuba por las autoridades del nuevo gobierno demócrata que ya había sido electo.

A pocos días de entregar el cargo (11 de enero del 2021), el entonces Secretario de Estado Mike Pompeo se encerró en su despacho y, sin escuchar opinión alguna de otros miembros del gabinete, o de subordinados, firmó un documento que regresaba el nombre de Cuba a la espuria lista. Aunque la decisión carecía de todo fundamento (como en 1982) la embajada estadounidense en La Habana se apresuró a reunir argumentos que fundamentaran este crimen con escalamiento, nocturnidad y alevosía. Pero erróneamente comenzó diciendo “el gobierno de Trump ha estado comprometido desde un inicio con negarle recursos necesarios al régimen de Castro”, dejando entrever los propósitos reales de la decisión.

Si absurdo fue este paso, en violación de todas las reglas de las sacrosantas consultas interagenciales, más aún lo fue la santificación oficial de tal acto, cuando el recién estrenado gobierno de Joe Biden afirmó que “Cuba no cooperaba de forma adecuada en los esfuerzos contra terroristas de Estados Unidos”, a pesar de que 80 congresistas demócratas habían expresado su posición contraria en una carta dirigida en marzo del 2021 al primer mandatario. La reafirmación de tal sin sentido se produjo el 11 de mayo del 2022 en una nota apresurada de Anthony Blinken.

La realidad es que hasta esta última fecha el equipo de Biden había asumido con gusto el supuesto trumpista de que una combinación de crisis económica inducida y el efecto de la pandemia consumarían el efecto de la ley de la gravedad sobre el gobierno cubano. Pero no sucedió, y Biden junto a sus acólitos comenzaron a sufrir un desplante tras otro por esa razón.

El primero y más mediático fue el fracaso de la llamada Cumbre de las Américas organizada en la ciudad de Los Angeles en junio del 2022. La intención de aislar a Cuba, Venezuela y Nicaragua actuó como un boomerang sobre los organizadores.

Después se produjo un desmentido de altos quilates, cuando las nuevas autoridades en Bogotá, a pocas horas de instalarse en sus oficinas (12 agosto 2022), confirmaron el papel fundamental de Cuba para las negociaciones de paz e hicieron un llamado directo a Washington para que abandone sus prácticas condenatorias respecto a la Isla.

Y entre muchas otras declaraciones en el mismo sentido llegaron las llamadas elecciones de medio término, en las que los demócratas no sólo perdieron en Florida en toda la línea, sino que por primera vez fueron masacrados en los tres condados con mayor presencia de votantes de origen cubano, que hasta la fecha eran bastión seguro demócrata. Ya no había que seguir buscando la aguja en el pajar.

En el renacer de la Comunidad de Estados Latino Americanos y Caribeños en su última cumbre (24 enero 2023), absolutamente toda la región reafirmó su oposición al bloqueo, y específicamente a mantener a Cuba en la “lista”.

Si fueran aún insuficientes los llamados externos a la Casa Blanca para corregir su error, al interior de Estados Unidos los concejos de varias ciudades han aprobado resoluciones que solicitan indistintamente cooperación con Cuba en general, en el área de la salud, el levantamiento del bloqueo y específicamente la salida de la lista de países que auspician el terrorismo. La última de esas propuestas se debate en estos momentos en la ciudad capital Washington DC.

A estas alturas, incluso en medios estadounidenses se comprende que que el mecanismo para la confección de la lista en si misma y su manipulación oportunista son demostración de la falsedad del “compromiso” de Estados Unidos frente al terrorismo como flagelo internacional.

En las últimas semanas las autoridades estadounidenses han estado más dispuestas al diálogo oficial con Cuba y se han reunido en ambas capitales delegaciones que están relacionadas sobre todo con el tema de aplicación y cumplimiento de la ley, ejercicio impensable con un país que el gobierno estadounidense considerara que efectivamente auspicia el terrorismo.

En resumen, todas las condiciones están creadas para que el actual gobierno corrija el error que cometieron otros en el pasado y que fue rectificado una vez. Se comprende que aún con el mantenimiento del bloqueo, un cambio respecto a este tema crearía nuevas oportunidades para el intercambio bilateral. Sólo falta el elemento clave: la voluntad política del presidente y su equipo. En Cuba lo llamamos de otra manera.

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