ExxonMobil vuole iniziare una guerra in America Latina

Vijay Prashad – Peoples Dispatch

Il 3 dicembre 2023, un gran numero di elettori registrati in Venezuela ha votato in un referendum sulla regione dell’Esequibo, contesa con la vicina Guyana. Quasi tutti i votanti hanno risposto sì ai cinque quesiti. Queste domande chiedevano al popolo venezuelano di affermare la sovranità del proprio Paese sull’Esequibo.

“Oggi”, ha dichiarato il presidente venezuelano Nicolas Maduro, “non ci sono né vincitori né vinti”. L’unico vincitore, ha detto, è la sovranità del Venezuela. Il principale perdente, ha detto Maduro, è la ExxonMobil.

Camminando per i vari centri elettorali di Caracas il giorno delle elezioni, è stato chiaro che le persone che hanno votato sapevano esattamente per cosa stavano votando: non tanto contro il popolo della Guyana, un Paese con una popolazione di poco più di 800.000 abitanti, ma stavano votando per la sovranità venezuelana contro compagnie come la ExxonMobil. L’atmosfera che si respirava in questa votazione – coniugata con il patriottismo venezuelano – era più che altro il desiderio di eliminare l’influenza delle multinazionali e di permettere ai popoli del Sud America di risolvere le loro controversie e di dividere le loro ricchezze tra di loro.

Quando Hugo Chávez vinse le elezioni per la presidenza del Venezuela nel 1998, disse quasi subito che le risorse del Paese – soprattutto il petrolio, che finanzia lo sviluppo sociale del Paese – dovevano essere nelle mani del popolo e non di compagnie petrolifere come la ExxonMobil. “El petroleo es nuestro” (il petrolio è nostro), era lo slogan. A partire dal 2006, il governo di Chávez ha iniziato un ciclo di nazionalizzazioni, con il petrolio al centro (il petrolio era stato nazionalizzato negli anni ’70, poi privatizzato nuovamente due decenni dopo). La maggior parte delle multinazionali petrolifere ha accettato le nuove leggi per la regolamentazione dell’industria petrolifera, ma due si sono rifiutate: ConocoPhillips e ExxonMobil. Entrambe le società hanno chiesto decine di miliardi di dollari di risarcimento, anche se nel 2014 il Centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti (ICSID) ha stabilito che il Venezuela doveva pagare alla ExxonMobil solo 1,6 miliardi di dollari.

Un pessimo affare per la Guyana

Nel 2015 la ExxonMobil ha annunciato di aver trovato 295 piedi di “giacimenti di arenaria di alta qualità”; si tratta di uno dei più grandi ritrovamenti di petrolio degli ultimi anni. Il gigante petrolifero ha avviato regolari consultazioni con il governo della Guyana, impegnandosi a finanziare tutti i costi iniziali dell’esplorazione petrolifera. Quando è trapelato l’accordo di condivisione della produzione tra il governo della Guyana e la ExxonMobil, è emerso quanto la Guyana non sia stata all’altezza delle trattative. Alla ExxonMobil è stato assegnato il 75% delle entrate petrolifere per il recupero dei costi, mentre il resto è stato diviso al 50% con la Guyana; la compagnia petrolifera, a sua volta, è esente da qualsiasi imposta. L’articolo 32 (“Stabilità dell’accordo”) stabilisce che il governo “non potrà emendare, modificare, rescindere, terminare, dichiarare invalido o inapplicabile, richiedere la rinegoziazione, obbligare alla sostituzione o al rimpiazzo, o cercare in altro modo di evitare, alterare o limitare il presente accordo” senza il consenso della ExxonMobil. Questo accordo intrappola tutti i futuri governi della Guyana in un pessimo affare.

Divide et impera della ExxonMobil

 

Il referendum del 3 dicembre in Venezuela e la protesta dei “circoli dell’unità” in Guyana suggeriscono un indurimento della posizione di entrambi i Paesi. Nel frattempo, a margine della riunione della COP-28, il presidente della Guyana Irfaan Ali ha incontrato il presidente di Cuba Miguel Díaz-Canel e il primo ministro di Saint Vincent e Grenadine Ralph Gonsalves per parlare della situazione. Ali ha esortato Díaz-Canel a sollecitare il Venezuela a mantenere una “zona di pace”.

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