L’uribismo contro Cuba, Venezuela e Russia

Maria Fernanda Barreto  https://misionverdad.com

L’oligarchia più violenta del continente ha bisogno di un potente nemico per imporre la paura. Dopo la firma degli accordi di pace con le FARC-EP, nel 2016, lo Stato colombiano, ebbro di trionfalismo, ha iniziato a parlare di un’era postbellica ed è entrato nella NATO, nel 2018. I suoi precipitosi resoconti erano che dopo quella firma sarebbe riuscito a porre fine a qualsiasi forma di resistenza popolare senza riparare le ingiustizie che sono alla radice del conflitto sociale ed armato. Quel trionfo avrebbe fatto del presunto post-conflitto il momento migliore per l’espropriazione che era stata limitato dalla guerra ed avrebbe portato le forze militari a convertirsi in agenti della guerra imperialista nel mondo.

Come sempre, la storia è sorprendente per la sua complessità e niente è risultato così semplice come avevano pianificato. Primo, perché la loro stessa determinazione ad annunciare la fine del principale “nemico interno” ha complicato la giustificazione del terrorismo di Stato senza il quale non sanno come governare. Secondo, perché il popolo, i suoi dirigenti sociali non si sono arresi nonostante il genocidio e la furia con cui li hanno giustiziati.

Hanno quindi deciso di riprendere altre pratiche terroristiche come i massacri che stanno compiendo anche nel cuore di Bogotà. Perseguono indiscriminatamente coloro che protestano, mettono all’angolo, economicamente, il popolo lavoratore, lasciano correre liberamente la pandemia, rafforzano il monopolio delle società di comunicazione per mostrare un paese che non esiste ed anche così, le lotte popolari colombiane, colpite e doloranti per il sangue versato, persistono coraggiosamente.

A peggiorare le cose, come ha fatto Trump negli USA, Uribe ha approfondito la polarizzazione della destra colombiana che ora si trova francamente divisa tra uribisti e non uribisti, e quella disputa ha raggiunto le Forze Militari e, naturalmente, il basi dei loro partiti.

Il dramma di non avere una politica estera sovrana

Un minimo criterio di realtà ha cambiato l’uso del termine “post-conflitto” in “post-accordo”, ma la sfida era come continuare a giustificare la violenza interna, l’uso sempre più pubblico della Colombia come base militare USA, come testa di ponte per aggredire politicamente, economicamente e persino militarmente il Venezuela, come agente del rilancio della Dottrina Monroe sulla regione e come esercito transnazionale.

La risposta è già nei titoli delle multinazionali mediatiche colombiane, secondo cui la Colombia affronta nientemeno che Russia, Cuba e Venezuela che, secondo questi media, hanno cospirato per intervenire nei suoi affari interni, destabilizzarla e collocare alla presidenza un quadro utile ai loro interessi, nelle elezioni del 2022. La spettacolare montatura con presunti documenti di intelligence, che non vengono mai rivelati, sarebbe ridicola se non potesse avere conseguenze così terribili.

In linea di massima, la subordinazione della politica estera colombiana ai progetti USA non solo la porta a rompere le relazioni con i paesi della regione e ad aggredirli, ma la coinvolge anche in un conflitto tra potenze. A differenza dei suoi omologhi alleati, Piñera e Bolsonaro, Duque ha avviato conflitti diplomatici nientemeno che con il potente governo di Vladimir Putin, accusando i funzionari dell’ambasciata russa di spionaggio ed espellendoli dal paese.

All’uso del già logoro fantasma del “castro chavismo” si aggiunge ora l’accusa, a Cuba, di essersi rifiutata di violare i protocolli che ha firmato, con lo stesso Stato colombiano, per ospitare il tavolo di dialogo con l’ELN, con cui il governo di Duque ha dato più argomenti agli USA per intensificare il criminale blocco contro l’isola ed il complotto di cui accusa il Venezuela. Allo stesso modo, sta nuovamente portando i poteri del governo bolivariano a dimensioni fantastiche assegnandogli la responsabilità di tutte le proteste popolari che sono sorte nella regione negli ultimi due anni.

Il governo uribista sta convertendo il paese nell’ariete degli USA contro il mondo, sapendo già quanto gli è costato e quanto ancora potrebbe costare al popolo colombiano; che pretendono eternamente condannare alla guerra dentro e fuori dei suoi confini.

Elezioni presidenziali del 2022

Da quando Álvaro Uribe Vélez è diventato presidente della Repubblica di Colombia, nell’agosto 2002, lui ed i suoi candidati non hanno lasciato la Casa de Nariño. In primo luogo, è riuscito a legalizzare la sua possibilità di rielezione immediata con i suoi consueti metodi che includevano l’acquisto di voti, con cui, successivamente, ha raggiunto la presidenza nel 2006. Nel 2010, ha nominato, come suo successore, il suo ministro della Difesa, Juan Manuel Santos, che è stato eletto per due mandati consecutivi nel mezzo dei quali c’è stata una importante rottura tra loro e gli interessi economico politici che incarnano; diversi ma non contraddittori. Appresa la lezione, per il seguente periodo 2018-2022, Uribe ha scelto qualcuno con meno capacità di sfidarlo che Santos, sollevando sulle sue spalle Iván Duque alla presidenza; un uomo fino ad allora praticamente sconosciuto nella politica colombiana ed il cui principale talento è stato subordinarsi all’ex presidente colombiano fino a convertirsi nell’immagine più debole che ha occupato la presidenza. In sintesi, negli ultimi due decenni Uribe ha occupato o nominato chi occupa la Casa di Nariño, non solo attraverso pressioni ed irregolarità, bensì le sue politiche si sono convertite in dottrina per un settore della destra particolarmente vicino al narcotraffico ed al paramilitarismo. Sarebbe un grave errore negare che abbia anche avuto momenti di altissima popolarità.

Non appena l’uribismo ha vinto le elezioni presidenziali del 2018, abbiamo detto che stava iniziando un periodo di uribismo senza Uribe ed abbiamo avvertito che, se non avesse saputo farsi da parte, gli USA avrebbero finito per scartarlo come già hanno fatto prima, ad esempio, con Noriega. Ma l’ego dell’ex presidente che crede di essere eterno gli ha impedito di farlo e l’uribismo è nel suo peggior momento; ha perso popolarità e la sua legittimità, negli USA, è molto messa in dubbio, soprattutto perché i suoi legami con il narcotraffico e le violazioni dei diritti umani sono sempre più difficili da nascondere sotto il tappeto, nonostante le costosissime lobby che la sua famiglia ha pagato nelle sfere politiche del Nord. Il rinserrare dei ranghi del partito al governo, il Centro Democratico, con Donald Trump lo ha posto nella peggiore posizione davanti al nuovo presidente e, sebbene ciò non infrangerà il consenso fondamentale che ha sulla Colombia, sì potrebbe implicare il sostegno della Casa Bianca per chi assuma la candidatura non uribista.

La Colombia è un paese in cui i poteri de facto come il narcotraffico fanno del Potere Esecutivo un piccolo pezzo del potere reale, tuttavia, ambito. In assenza di un cambio radicale, la cosa prevedibile per le prossime elezioni presidenziali è che alla fine l’uribismo perderà ma, ancora una volta, cercheranno che l’establishment si salvi.

Ciò è stato palpabile il 27 ottobre 2019 quando si sono disputati governatorati, sindaci, assemblee dipartimentali, consigli municipali e consigli amministrativi locali ed il grande sconfitto è stato il Centro Democratico, ma le coalizioni trionfanti sono state, per lo più, alleanze guidate dal partito dell’ex presidente Santos, partito dell’U, Cambio Radicale, Partito Conservatore e Liberale, cioè quelli di sempre.

Hanno talmente paura di concedere ogni possibilità di vicinanza popolare al potere che anche un uomo di centro come Gustavo Petro fa loro paura e schierano, contro di lui, tutte le loro armi ed hanno persino iniziato ad assassinare i dirigenti territoriali della sua organizzazione politica.

La lobby colombiana negli USA si concentrerà, sicuramente, ora nel procurare un sostegno dell’attuale amministrazione ad una coalizione di centro, centrodestra e destra non uribista che possa porre al potere, ad esempio, qualcuno vicino all’ex presidente Santos come il senatore. Roy Barreras.

Ma l’uribismo continua alla presidenza, concentrando inoltre i poteri dello Stato nelle istituzioni dirette dai suoi accoliti. Da lì il governo ha deciso di emulare Trump, cominciando a giustificare, più di un anno prima, la fin qui evidente sconfitta che avrà alle elezioni presidenziali del 2022 con titoli di stampa sensazionalista in cui accusa Cuba e Venezuela di interferire in tale processo, con argomenti senza supporto e favolose storie in cui addirittura si menziona il PSUV ed il Fronte Francisco de Miranda come operatori del fantastico compito.

Con questa nuova operazione di guerra mediatica e psicologica, non solo continuano a cercare di giustificare il proprio ruolo nella difesa degli interessi imperialisti nella regione e nel mondo intero, ma sottovalutano e ancora una volta criminalizzano il popolo colombiano ed il suo deciso desiderio di costruire la vera Pace.


EL URIBISMO CONTRA CUBA, VENEZUELA Y RUSIA

María Fernanda Barreto

La oligarquía más violenta del continente necesita un poderoso enemigo para imponer el miedo. Tras la firma de los acuerdos de paz con las FARC-EP en el 2016, el Estado colombiano, embriagado de triunfalismo, comenzó a hablar de una era posconflicto e ingresó a la OTAN en el 2018. Sus cuentas adelantadas eran que tras esa firma lograría acabar cualquier forma de resistencia popular sin reparar las injusticias que son la raíz del conflicto social y armado. Ese triunfo haría del supuesto posconflicto el mejor momento para el despojo que se había visto limitado por la guerra y conduciría a las fuerzas militares a convertirse en agentes de la guerra imperialista en el mundo.

Como siempre, la historia sorprende por su complejidad y nada resultó tan sencillo como lo tenían planeado. Primero porque su propio empeño en anunciar el fin del principal “enemigo interno” complicó la justificación del terrorismo de Estado sin el que no saben gobernar. Segundo porque el pueblo, sus líderes y lideresas sociales no se rindieron a pesar del genocidio y la saña con la que los han venido ejecutando.

Decidieron entonces retomar otras prácticas terroristas como las masacres que han venido ejecutando incluso en plena Bogotá. Judicializan indiscriminadamente a quienes protestan, acorralan económicamente al pueblo trabajador, dejan correr libremente la pandemia, fortalecen el monopolio de las empresas de comunicación para mostrar un país que no existe y aun así las luchas populares colombianas, golpeadas y adoloridas por el desangre, persisten valerosamente.

Para colmo de sus males, tal como lo hizo Trump en Estados Unidos, Uribe profundizó la polarización de la derecha colombiana que ahora se encuentra francamente dividida entre uribistas y no uribistas, y esa disputa llegó hasta las Fuerzas Militares y, por supuesto, a las bases de sus partidos.

El drama de no poseer una política exterior soberana

Un mínimo criterio de realidad cambió el uso del término “posconflicto” a “post-acuerdo”, pero el reto era cómo seguir justificando la violencia interna, el uso cada vez más público de Colombia como base militar estadounidense, como cabeza de playa para agredir política, económica y hasta militarmente a Venezuela, como agente del relanzamiento de la Doctrina Monroe sobre la región y como ejército trasnacional.

La respuesta ya está en los titulares de las corporaciones mediáticas colombianas, según los cuales Colombia enfrenta nada menos que a Rusia, Cuba y Venezuela, quienes, según estos medios, se han confabulado para intervenirla, desestabilizarla y colocar en la presidencia a un cuadro útil a sus intereses en las elecciones del 2022. El aparatoso montaje con supuestos documentos de inteligencia, que nunca se evidencian, daría risa si no pudiera tener tan terribles consecuencias.

En principio, la supeditación de la política exterior colombiana a los designios estadounidenses ya no solo la lleva a romper relaciones con países de la región y agredirlos, sino que la involucra en un conflicto entre potencias. A diferencia de sus homólogos aliados, Piñera y Bolsonaro, Duque ha iniciado conflictos diplomáticos nada menos que con el poderoso gobierno de Vladimir Putin, acusando a funcionarios de la embajada rusa de espionaje y expulsándolos del país.

Al uso del ya cansado fantasma del “castro chavismo” se suma ahora la acusación a Cuba por negarse a violar los protocolos que firmó con el mismo Estado Colombiano para acoger la mesa de diálogo con el ELN, con lo que el gobierno de Duque dio más argumentos a los Estados Unidos para agudizar el criminal bloqueo contra la isla y la trama de la que acusa a Venezuela. Asimismo, vuelve a llevar los poderes del gobierno bolivariano a dimensiones fantásticas al adjudicarle la responsabilidad de todas las protestas populares que se suscitaron en la región en los dos últimos años.

El gobierno uribista está convirtiendo al país en el ariete de los Estados Unidos contra el mundo, a sabiendas de lo que eso ya le ha costado y lo que aún le puede costar al pueblo colombiano, al que pretenden condenar eternamente a la guerra dentro y fuera de sus fronteras.

Elecciones presidenciales del 2022

Desde que Álvaro Uribe Vélez llegó a la presidencia de la República de Colombia, en agosto del 2002, él y sus candidatos no han salido de la Casa de Nariño. Logró en primer lugar legalizar su posibilidad de reelección inmediata con sus métodos habituales que incluyeron la compra de votos, con lo cual posteriormente logró de nuevo la presidencia en el 2006. En 2010, nombró como su sucesor a su Ministro de la Defensa, Juan Manuel Santos, quien resultó electo para dos períodos consecutivos en medio de los cuales se dio una importante ruptura entre ellos y los intereses económico políticos que encarnan, distintos pero no contradictorios. Aprendida la lección, para el siguiente periodo 2018-2022, Uribe escogió a alguien con menos capacidad para desafiarlo que Santos, subiendo en sus hombros hasta la presidencia a Iván Duque, un hombre prácticamente desconocido en la política colombiana hasta entonces y cuyo principal talento ha sido subordinarse al ex presidente colombiano hasta convertirse en la imagen más débil que ha ocupado la presidencia. En resumen, durante las dos últimas décadas Uribe ha ocupado o designado a quien ocupe la Casa de Nariño, no solamente a través de presiones e irregularidades, sino que sus políticas se convirtieron en doctrina para un sector de la derecha particularmente cercano al narcotráfico y al paramilitarismo. Sería un gran error negar que ha tenido también momentos de muy alta popularidad.

Tan pronto el uribismo se alzó con el triunfo en las elecciones presidenciales del 2018 dijimos que comenzaba una etapa de uribismo sin Uribe y advertimos que, si no sabía hacerse a un lado los Estados Unidos acabaría por desecharlo como ya lo hizo antes, por ejemplo, con Noriega. Pero el ego del expresidente que se cree eterno se lo impidió y el uribismo se encuentra en el peor momento, ha perdido popularidad y su legitimidad en los Estados Unidos está sumamente cuestionada, sobre todo porque sus vínculos con el narcotráfico y violaciones de derechos humanos cada vez son más difíciles de esconder bajo la alfombra, a pesar de los carísimos lobbis que su familia ha pagado en las esferas políticas del norte. El cierre de filas del partido de gobierno, el Centro Democrático, con Donald Trump lo colocó en la peor posición ante el nuevo presidente y, aunque eso no romperá los consensos fundamentales que tienen sobre Colombia, sí podría implicar el apoyo de la Casa Blanca para quien asuma la candidatura no uribista.

Colombia es un país donde los poderes de facto como el narcotráfico hacen del Poder Ejecutivo una pequeña parcela del poder real, sin embargo, codiciada. De no haber un cambio radical, lo previsible para las elecciones presidenciales por venir es que finalmente perderá el uribismo, pero de nuevo procurarán que el establecimiento quede a salvo.

Esto se hizo palpable el 27 de octubre de 2019 cuando se disputaron gobernaciones, alcaldías, asambleas departamentales, concejos municipales y juntas administradoras locales y el gran derrotado fue el Centro Democrático, pero las coaliciones triunfantes, fueron mayoritariamente alianzas lideradas por el partido del expresidente Santos, partido de la U, Cambio Radical, Partido Conservador y Liberal, es decir, los de siempre.

Tienen tanto temor de permitir cualquier posibilidad de cercanía popular al poder que aún un hombre de centro como Gustavo Petro les causa temor y enfilan contra él todas sus armas e incluso han comenzado a asesinar los liderazgos territoriales de su organización política.

El lobby colombiano en los Estados Unidos seguramente se centrará ahora en procurar un apoyo de la administración actual a una coalición de centro, centro derecha y derecha no uribista que pueda colocar en el poder, por ejemplo, a alguien cercano al expresidente Santos como el Senador Roy Barreras.

Pero el uribismo continúa en la presidencia concentrando además los poderes del Estado en instituciones dirigidas por sus acólitos. Desde ahí, el gobierno ha decidido emular a Trump comenzando a justificar, más de un año antes, la hasta ahora evidente derrota que tendrá en las presidenciales del 2022 con titulares de prensa amarillistas en los que acusa a Cuba y Venezuela de interferir en ese proceso, con argumentos sin sustento y fabulosos relatos en los que incluso se menciona al PSUV y al Frente Francisco de Miranda como operadores de la fantástica tarea.

Con esta nueva operación de guerra mediática y psicológica, no solo continúan tratando de justificar su papel en la defensa de los intereses imperialistas en la región y el mundo entero, sino que además subestiman y de nuevo criminalizan al pueblo colombiano y su decidido deseo de construir la verdadera Paz.

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