Sette pietre miliari del fallito progetto Guaidò

 misionverdad.com

L’ex deputato Juan Guaidó è già in territorio USA, dopo aver annunciato per settimane che le autorità venezuelane si preparavano ad arrestarlo, lunedì 24 ha annunciato di essere arrivato in Colombia a piedi, “nello stesso maniera in cui lo hanno fatto milioni di venezuelani prima di me”.

Con la sua partenza dal Paese si chiude un altro (forse l’ultimo) capitolo del cosiddetto “progetto Guaidó” che ha cercato di rovesciare il governo venezuelano in diversi modi, tutti falliti. Dalla sua autoproclamazione a “presidente ad interim”, sostenuta soprattutto da Unione Europea e USA, come se si trattasse di autorità globali, il bilancio è stato un monumentale furto di beni dello Stato e un deterioramento della qualità della vita della popolazione.

Oltre alle cosiddette “sanzioni”, le élite economiche che lo hanno sostenuto hanno attuato misure di sabotaggio valutario, terrorismo, boicottaggio e accaparramento di alimenti che hanno sconvolto l’economia. Di seguito un top dei peggiori lati ed episodi dell'”interim”:

  1. OFFERTA INGANNEVOLE

Da quell’atto in Plaza Juan Pablo II a Chacao, nel gennaio 2019, l’operatore politico del partito Voluntad Popular (VP) ha stabilito come mantra la “cessazione dell’usurpazione, governo di transizione e libere elezioni”. Con quello slogan ha lasciato nell’immaginario antichavista, e persino in un settore dissidente, l’idea che ciò sarebbe stato raggiunto in modo rapido e definitivo.

La prima difficoltà è stata quella di definire con forza sia l’usurpazione che la legalità di una transizione e la fattibilità di un processo elettorale “libero”, come la stampa allineata al cambio di regime ha cercato di incubare. Ciò non si è concretizzato, per cui lo slogan in questione non è andato oltre l’essere una risorsa narrativa.

Dato il passare del tempo e la poca disponibilità di risultati, nel mondo dell’opposizione è sorto un dibattito tra chi diceva che serviva tempo e chi pretendeva risultati immediati. Coloro che hanno notato le irregolarità del piano non sono stati esclusi ma tutti hanno convenuto che quanto offerto non arrivava mentre l’intorno dell’allora nuovo capo dell’opposizione si arricchiva. All’arcipelago che ha generato la mancanza di risultati si è aggiunto il gruppo più radicale che lo criticava per aver accettato di andare al processo di dialogo nazionale quando ha perso popolarità.

  1. POPOLARITÀ ILLUSORIA

Molte delle decisioni prese dal gruppo che gestiva l’«interim» si sono basate sulla convinzione che agglutinava la volontà delle maggioranze (forse una proiezione del nome del suo partito). Tuttavia, dal suo autogiuramento, ci sono state crepe dovute all’aver criticato la mancanza di consultazione (per l’autogiuramento ndt). Secondo i media dell’opposizione, il giorno prima del 23 gennaio 2019, le élite anti-chavista avevano concordato che Guaidó dichiarasse il presidente Nicolás Maduro usurpatore di funzioni, anche la storia che l’Assemblea Nazionale (AN), da lui (Guaidò ndt) presieduta, fosse legittima e che le sue competenze fossero assaltate.

Si dice che né Primero Justicia (PJ) né Acción Democrática (AD) né Un Nuevo Tiempo (UNT) fossero a conoscenza del giuramento avvenuto durante la manifestazione tenutasi a Chacao. Questa, tra le altre mosse politiche unilaterali di VP, ha costretto i suddetti partiti e la loro costellazione di organizzazioni satellite ad unirsi attorno all'”interim”, anche vedendo arrivare il fallimento.

  1. INCONSISTENZA

Tra il 23 gennaio 2019 e il successivo 22 febbraio, l’ex deputato ha accumulato dubbi all’interno dell’antichavismo. Una delle pietre miliari che hanno eroso la fiducia è stato l’incontro con il primo vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), Diosdado Cabello. Guaidó si è presentato incappucciato all’incontro e poi ha cercato di negare che fosse avvenuo. Tutto è peggiorato quando ha cercato di eludere le domande della presentatrice della CNN, Patricia Janiot, attraverso giochi di parole e frasi sconnesse. Quello stesso mese, lui e sua moglie hanno denunciato una presunta irruzione della polizia nella loro residenza, dove si trovava il loro bambino. Il linguaggio corporale rilassato di entrambi prefigurava la montatura, risorsa che ha sofferto abuso da parte del suo gruppo politico.

Non è stata l’unica denuncia inconsistente, più volte l’ex deputato ha denunciato possibili perquisizioni che non sono state effettuate, nonché manifestazioni che ha indetto e che non hanno soddisfatto le aspettative mediatiche. All’inizio del suo declino, prima della pandemia globale, i suoi atti pubblici erano accompagnati da una scarsa partecipazione e persino da rivendicazioni rabbiose da parte dei suoi seguaci.

  1. CUCUTAZO E PASTICCIO UMANITARIO

Dopo il suo autogiuramento, Guaidó ha annunciato che, il 23 febbraio, sarebbero entrate nel paese tonnellate di aiuti umanitari provenienti dagli USA e da altri alleati, presumibilmente per alleviare la “crisi umanitaria”. Ciò è avvenuto nel bel mezzo di un concerto chiamato Venezuela Aid Live e alla presenza di diversi presidenti dell’estinto Gruppo di Lima come Sebastián Piñera (Cile), Iván Duque (Colombia) e Abdo Benítez (Paraguay). Artisti internazionali come Juanes, Carlos Vives e Alejandro Sanz hanno partecipato al simulacro mediatico per raccogliere fondi per “aiuti umanitari”.

Quando il giorno è arrivato, i suoi “volontari”, che in realtà erano guarimberos (rivoltosi ndt) assoldati, hanno bruciato due degli otto camion con il presunto carico umanitario proveniente dal paese vicino. La giornata si è conclusa con feriti e morti sia nella zona di confine che in altre città del Paese.

Giorni dopo, un articolo investigativo del New York Times ha confermato che i camion sono stati bruciati da manifestanti di estrema destra, che aggiunto alla frase di Guaidó: “distruggere gli aiuti umanitari è un crimine contro l’umanità” ha ulteriormente sbriciolato il suo già debole talento discorsivo.

Come se non bastasse, nei giorni successivi sono starti svelati casi di corruzione intorno ai fondi raccolti. Si è appreso che funzionari incaricati da Guaidó per amministrarli, tra cui Rossanna Barrera e Kevin Rojas, hanno partecipato ad irregolarità amministrative e, in particolare, la signora ha accusato l’”interim” come responsabile della cattiva gestione dei fondi.

Anche 1285 funzionari militari, che si erano posti all’ordine del falso governo, sono stati sloggiati dagli hotel di Cúcuta, dopo uno scandalo con prostitute, alcol e violenze. Nel settembre di quell’anno si sono divulgate foto di Guaidó con capi paramilitari armati e trafficanti di droga di Los Rastrojos, che lo hanno portato in Colombia il giorno dell’evento. Tutto si sommava per dissolvere il sostegno internazionale.

Successivamente, la CNN in lingua spagnola ha pubblicato un lavoro in cui dichiarava che il tentato omicidio, del 4 agosto 2018, contro il presidente Maduro era stato pianificato in Colombia e il pezzo audiovisivo includeva un frammento di un’intervista in cui Guaidó appare affermando che si trattava di un’invenzione del presidente per vittimizzarsi.

  1. GOLPE FALLITO E FUGA DI LEOPOLDO LÓPEZ

La mattina del 30 aprile 2019, Guaidó si è diretto al Paese accompagnato da un gruppo di militari e ha chiesto ai venezuelani di scendere in piazza per rovesciare il governo costituzionale. Nei dintorni della base aerea del Generalísimo Francisco de Miranda, situata a La Carlota (Caracas), era accompagnato da deputati dell’AN, eletta nel 2015, e da diversi politici, tra cui Leopoldo López, appena liberato illegalmente da funzionari del Servizio Bolivariano di Intelligence (SEBIN) coinvolti nel piano di golpe. Quel giorno Guaidó è scomparso da una marcia a cui partecipavano decine di oppositori mentre López si rifugiava nell’Ambasciata del Cile.

Fallita l’impresa ha affermato che “la fase definitiva dell’Operazione Libertà per la cessazione dell’usurpazione”,  sarebbe proseguita il 1 maggio, data per la quale erano già state indette proteste. Successivamente si è saputo che al golpe ha partecipato l’allora direttore del SEBIN, il generale Manuel Cristopher Figuera, che è finito esiliato negli USA, da dove si è espresso contro il governo nazionale protetto da Washington.

  1. FALLIMENTO DELL’OPERAZIONE GEDEON

Domenica 3 maggio 2020 iniziava un’incursione militare guidata dall’ex generale Clíver Alcalá e sostenuta dalla Colombia. È stata operata da un gruppo di disertori venezuelani e due mercenari USA che sono sbarcati negli stati costieri di La Guaira (Macuto) e Aragua (Chuao).

Era coinvolta una società di sicurezza chiamata Silvercorp guidata dallo statunitense ed ex soldato delle forze speciali USA, Jordan Goudreau. Il compito: rovesciare il presidente Maduro.

Nel primo attacco sono morti sei disertori e nel secondo vari altri sono stati catturati sia da pescatori della zona che dalle forze di sicurezza, poi consegnati alla giustizia.

Una notizia di AP News ha mostrato i dettagli di come Alcalá ha accettato di essere responsabile delle armi e ha accusato Guaidó di tradire un contratto che aveva firmato con “consiglieri USA” (Goudreau) per rovesciare il governo. Aggiunge la notizia: “Ad eccezione di un pagamento per spese di $ 50000, Silvercorp non ha mai riscosso l’accordo firmato con gli alleati di Guaidó. Durante il raid, Goudreau ha anche ammesso di essere andato avanti con l’invasione senza il supporto di Guaidó, sebbene sì abbia fatto causa a uno dei suoi aiutanti (di Guaidò ndt), l’analista politico J.J.Rendón, l’anno scorso, per violazione del contratto”.

  1. DISTRUZIONE DI CITGO E MONÓMEROS

Dopo che il Dipartimento del Tesoro ha consegnato il controllo della Citgo Petroleum Corp., di proprietà dello Stato venezuelano, al falso governo, diversi creditori del Venezuela hanno fatto pressione per vendere la società e saldare i debiti. Tra loro c’è Crystallex International Corp., una multinazionale che esige quasi 1 miliardo di $ per una miniera d’oro che è stata nazionalizzata in Venezuela, e la società Owens-Illinois. Inoltre, c’è la compagnia petrolifera ConocoPhillips, che rivendica circa 1,3 miliardi di $ per beni presumibilmente sequestrati e i detentori di obbligazioni PDVSA, non pagate, parzialmente garantite da azioni di Citgo Holding.

Il consiglio ad hoc di Citgo, insediato da Guaidó, ha fatto poco o nulla per evitare che il contenzioso favorisse le multinazionali. Addirittura uno di loro, José Ignacio Hernández, è stato un funzionario di Owens Illinois prima di diventare il “procuratore generale” di Guaidó. L’interim ha speso decine di milioni di $ in avvocati per “proteggere” la società, ma tutto si è concluso con un sistematico trasferimento di beni venezuelani a favore del corporativismo USA; ciò che dicevano di combattere è stato rafforzato dalle loro azioni.

Nel maggio 2019, Guaidó ha assunto il controllo della società di fertilizzanti Monómeros de Venezuela e ha nominato nuovi membri del consiglio di amministrazione, il motivo addotto era quello di recuperare le sue prestazioni di fronte all’impatto delle sanzioni imposte dagli USA e dai paesi suoi alleati contro Venezuela, le stesse che Guaidó si è dedicato, con insistenza, a promuoverle, che andavano influendo sul suo rendimento. A quel punto, Monomeros stava già segnalando problemi nella sua capacità produttiva, lavorava al 10% della sua capacità totale.

Il disastro amministrativo, determinato dalla ripartizione degli incarichi della società da parte dei partiti del G4 (PJ, UNT, VP e AD), è stato svelato dalla denuncia dell’ex ambasciatore di Guaidó in quel paese, Humberto Calderón Berti, sull’ingerenza dei rappresentanti dei partiti politici dell’alleanza di opposizione nella gestione dell’azienda di fertilizzanti. Nemmeno un rapporto è stato emesso al riguardo.

Nel 2021, il governo dell’ex presidente colombiano, Iván Duque, è intervenuto nella società per “sanare una situazione critica di ordine giuridico, contabile, economico e amministrativo”, porre ordine finanziario, correggerne l’andamento e tutelare gli interessi degli investitori che avrebbero potuto essere danneggiati. Calderón Berti ha segnalato, all’inizio del luglio 2022, che Leopoldo López era il principale responsabile dei fatti di corruzione in Monómeros.

Tra errori e fantasie (Guaidò ndt), è progressivamente scomparso dall’agenda delle cronache e anche dal dibattito politico nazionale. Quello arrivato a Miami è l’espressione più concreta di quanto la sua classe politica ha prodotto in questi anni di antipolitica e disprezzo per il Venezuela. Non si tratta solo di un personaggio in fuga dalle proprie responsabilità penali, bensì di un progetto clamorosamente fallito dell’ala più radicale della corporatocrazia USA, che sa di essere stata sconfitta e chiede un nuovo quadro per negoziare.


SIETE HITOS DEL FALLIDO PROYECTO GUAIDÓ

 

El exdiputado Juan Guaidó ya está en territorio estadounidense, luego de anunciar durante semanas que las autoridades venezolanas se preparaban para detenerlo, anunció el pasado lunes 24 que llegó a Colombia a pie, “de la misma manera que lo han hecho millones de venezolanos antes que yo”.

Con su salida del país se cierra otro (quizás el último) capítulo del llamado “proyecto Guaidó” que buscó derrocar al gobierno venezolano por distintas vías, todas fallidas. Desde su autoproclamación como “presidente interino”, apoyada principalmente por la Unión Europea y Estados Unidos, como si de autoridades globales se tratara, el saldo ha sido un robo monumental a bienes del Estado y un desmejoramiento de la calidad de vida de la población.

Además de las llamadas “sanciones”, las élites económicas que lo apoyaron instrumentaron medidas de sabotaje a la moneda, terrorismo, boicot y acaparamiento de alimentos que desconfiguraron la economía. A continuación un top de los peores ángulos y episodios del “interino”:

  1. OFERTA ENGAÑOSA

Desde aquel acto en la plaza Plaza Juan Pablo II de Chacao en enero de 2019, el operador político del partido Voluntad Popular (VP) estableció como mantra el “cese de la usurpación, gobierno de transición y elecciones libres”. Con ese eslogan dejó en el imaginario antichavista, y hasta en un sector disidente, la idea de que ello se lograría de manera rápida y definitiva.

La primera dificultad fue definir con contundencia tanto la usurpación como la legalidad de una transición y la factibilidad de un proceso electoral “libre”, como intentó incubar la prensa alineada al cambio de régimen. Esto no lo llegó a concretar, por lo que el eslogan en cuestión no pasó de ser un recurso narrativo.

Ante el pasar del tiempo y la poca disponibilidad de resultados, se dio en el mundo opositor el debate entre quienes decían que necesitaba tiempo y quienes exigían resultados inmediatos. No quedaron fuera quienes se percataron de las irregularidades del plan, pero todos coincidieron en que lo ofertado no llegaba mientras se enriquecía el entorno del entonces nuevo líder opositor. Al archipiélago que generó la falta de resultados se sumó el grupo más radical que le criticaba haber aceptado ir al proceso de diálogo nacional cuando perdió popularidad.

  1. POPULARIDAD ILUSORIA

Muchas de las decisiones tomadas por el grupo que gestionaba el “interinato” se basaron en la creencia de que aglutinaba la voluntad de las mayorías (quizás una proyección del nombre de su partido). Sin embargo, desde su autojuramentación hubo grietas debido a que se llegó a criticar lo inconsulta de la misma. Según medios opositores, el día anterior al 23 de enero de 2019, las élites antichavistas acordaron que Guaidó declararía al presidente Nicolás Maduro en usurpación de funciones, también el relato de que la Asamblea Nacional (AN) que presidía era legítima y que sus competencias fueron asaltadas.

Se dice que ni Primero Justicia (PJ) ni Acción Democrática (AD) ni Un Nuevo Tiempo (UNT) estaban al tanto de la juramentación que se produjo en la concentración realizada en Chacao. Esta, entre otras jugadas políticas unilaterales de VP, obligó a los mencionados partidos y su constelación de organizaciones satélites a aglutinarse en torno al “interinato”, aun viendo venir el fracaso.

  1. INCONSISTENCIA

Entre el 23 de enero de 2019 y el siguiente 22 de febrero el exdiputado acumuló dudas dentro del antichavismo. Uno de los hitos que erosionó la confianza fue la reunión con el primer vicepresidente del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), Diosdado Cabello. Guaidó se presentó encapuchado al encuentro y luego pretendió negar que hubiese ocurrido. Todo se fue a peor cuando trató de evadir las preguntas de la presentadora de CNN, Patricia Janiot, mediante juegos de palabras y frases inconexas. Ese mismo mes denunció junto a su esposa una presunta incursión de la policía en su residencia, donde se encontraba su bebé. El lenguaje corporal relajado de ambos prefiguró el montaje, recurso que ha sufrido de abuso por parte de su grupo político.

No fue la única denuncia inconsistente, varias veces el exdiputado denunció posibles allanamientos que no se llevaron a cabo, así como manifestaciones que convocó y no cumplieron las expectativas mediáticas. Al comienzo de su declive, antes de la pandemia global, sus actos públicos fueron acompañados de participación exigua y hasta de reclamos airados por parte de sus seguidores.

  1. CUCUTAZO Y GUISO HUMANITARIO

Luego de su autojuramentación, Guaidó anunció que el 23 de febrero ingresarían toneladas de ayuda humanitaria provenientes de Estados Unidos y otros aliados al país, supuestamente para palear la “crisis humanitaria”. Ello ocurrió en medio de un concierto llamado Venezuela Aid Live y la presencia de varios presidentes del extinto Grupo de Lima como Sebastián Piñera (Chile), Iván Duque (Colombia) y Abdo Benítez (Paraguay). En el simulacro mediático participaron artistas internacionales como Juanes, Carlos Vives y Alejandro Sanz con el fin de recolectar fondos para la “ayuda humanitaria”.

Llegado el día, sus “voluntarios”, que en realidad eran guarimberos contratados, quemaron dos de las ocho gandolas con la supuesta carga humanitaria proveniente desde el vecino país. La jornada terminó con lesionados y muertos tanto en la zona fronteriza como en otras ciudades del país.

Días después, un trabajo de investigación de The New York Times confirmó que los camiones fueron quemados por los manifestantes de la ultraderecha, lo que sumado a la frase de Guaidó: “destruir la ayuda humanitaria es un delito de lesa humanidad” desmoronó más su ya endeble talante discursivo.

Por si fuera poco, los días siguientes fueron develados casos de corrupción en torno a los fondos recaudados. Se supo que funcionarios designados por Guaidó para administrarlos, entre ellos Rossanna Barrera y Kevin Rojas, participaron en irregularidades administrativas y, en particular, la dama acusó al “interino” como responsable del mal manejo de los fondos.

También 1 mil 285 funcionarios militares, que se pusieron a la orden del gobierno fake, fueron desalojados de hoteles de Cúcuta, previo escándalo de prostitutas, alcohol y violencia. En septiembre de ese año se divulgaron fotos de Guaidó con líderes armados paramilitares y narcotraficantes de Los Rastrojos quienes le trasladaron a Colombia el día del evento. Todo sumaba a disolver el apoyo internacional.

Posteriormente CNN en Español publicó un trabajo en el que declara que el magnicidio en grado de frustración del 4 de agosto de 2018 contra el presidente Maduro se planificó en Colombia y la pieza audiovisual incluyó un fragmento de una entrevista en la que Guaidó aparece afirmando que fue un invento del mandatario para victimizarse.

  1. GOLPE FALLIDO Y FUGA DE LEOPOLDO LÓPEZ

La mañana del 30 de abril de 2019 Guaidó se dirigía al país acompañado de un grupo de militares y pedían a los venezolanos salir a las calles a derrocar al gobierno constitucional. En los alrededores de la base aérea Generalísimo Francisco de Miranda, ubicada en La Carlota (Caracas), estuvo acompañado de diputados de la AN electa en 2015 y varios políticos, entre ellos Leopoldo López, quien acababa de ser liberado ilegalmente por funcionarios del Servicio Bolivariano de Inteligencia (SEBIN) implicados en el plan de golpe. Ese día Guaidó desapareció de una marcha en la que participaban decenas de opositores mientras López se refugiaba en la Embajada de Chile.

Fracasada la empresa afirmó que “la fase definitiva de la Operación Libertad para el cese de la usurpación”, y que continuaría ese 1º de mayo, fecha para la que ya se habían convocado a protestas. Posteriormente se supo que en el golpe participó el entonces director del SEBIN, el general Manuel Cristopher Figuera, quien terminó asilado en Estados Unidos, desde donde se ha pronunciado en contra del gobierno nacional protegido por Washington.

  1. FRACASO EN LA OPERACIÓN GEDEÓN

Una incursión militar dirigida por el exgeneral Clíver Alcalá y apoyada desde Colombia inició el domingo 3 de mayo de 2020, la operaba un grupo de militares desertores venezolanos y dos mercenarios estadounidenses que desembarcaron en los estados costeros La Guaira (Macuto) y Aragua (Chuao).

Participó una empresa de seguridad llamada Silvercorp liderada por el estadounidense y exsoldado de fuerzas especiales de Estados Unidos, Jordan Goudreau. La tarea: Derrocar al presidente Maduro.

En el primer ataque murieron seis de los desertores y en el segundo varios más fueron capturados tanto por pescadores de la zona como por fuerzas de seguridad, luego entregados a la justicia.

Un reporte de AP News mostró detalles de cómo Alcalá aceptó ser el responsable de las armas y acusó a Guaidó de traicionar un contrato que había firmado con “asesores estadounidenses” (Goudreau) para derrocar al gobierno. Agrega el reporte: “Excepto de un pago de 50 mil dólares por gastos, Silvercorp nunca cobró el acuerdo firmado con los aliados de Guaidó. Durante la redada, Goudreau también admitió seguir adelante con la invasión sin el apoyo de Guaidó, aunque sí demandó a uno de sus ayudantes, el analista político J.J. Rendón, el año pasado, por incumplimiento de contrato”.

  1. DESTRUCCIÓN DE CITGO Y MONÓMEROS

Luego de que el Departamento del Tesoro entregara el control de la empresa Citgo Petroleum Corp., propiedad del Estado venezolano, al gobierno fake, varios acreedores de Venezuela presionaron para vender la empresa y saldar deudas. Entre ellos está Crystallex International Corp., transnacional que exige casi mil millones de dólares por una mina de oro que fue nacionalizada en Venezuela, y la empresa Owens-Illinois. Además está la compañía petrolera ConocoPhillips, que reivindica unos 1 mil 300 millones d e dólares por supuestos activos incautados, y los tenedores de bonos de PDVSA en incumplimiento que están parcialmente garantizados por acciones de Citgo Holding.

La junta ad hoc de Citgo, instalada por Guaidó, hizo poco y nada para que el litigio no favoreciera a las transnacionales. Incluso uno de ellos, José Ignacio Hernández, fue funcionario de Owens Illinois antes de ser “fiscal general” de Guaidó. El interinato gastó decenas de millones de dólares en abogados para “proteger” a la empresa, sin embargo todo terminó en una cesión sistemática de los bienes venezolanos a favor del corporativismo estadounidense; lo que dijeron combatir fue reforzado con sus acciones.

En mayo de 2019, Guaidó tomó el control de la empresa de fertilizantes Monómeros de Venezuela y designó nuevos integrantes de la junta directiva, el motivo exhibido era recuperar su rendimiento ante el impacto de las sanciones impuestas por Estados Unidos y sus países aliados contra Venezuela, mismas que Guaidó se dedicó a promover con insistencia, que venían afectando su rendimiento. Para ese entonces, Monómeros ya reportaba problemas en su capacidad de producción, estaba trabajando a 10% de su capacidad total.

El desastre administrativo, impulsado por la repartición de cargos en la empresa por parte de los partidos del G4 (PJ, UNT, VP y AD), fue develado por la denuncia del exembajador de Guaidó en ese país, Humberto Calderón Berti, sobre la intromisión de representantes de partidos políticos de la alianza opositora en el manejo de la empresa de fertilizantes. Siquiera se emitió un informe al respecto.

En 2021, el gobierno del expresidente colombiano, Iván Duque, intervino la empresa para “subsanar una situación crítica de orden jurídico, contable, económico y administrativo”, poner orden financiero, corregir su rumbo y proteger los intereses de los inversionistas que pudieran salir afectados. Calderón Berti señaló a principios de julio de 2022 que Leopoldo López era el principal responsable en los hechos de corrupción en Monómeros.

Entre errores y fantasías se fue desapareciendo de la agenda noticiosa y también del debate político nacional. Lo que ha llegado a Miami es la expresión más concreta de lo que su clase política ha elaborado en los últimos años de antipolítica y desprecio a Venezuela. No se trata solo de un personaje que huye de sus responsabilidades penales sino de un estruendoso proyecto fallido del ala más radical de la corporatocracia estadounidense, que se sabe derrotada y pide un nuevo marco para negociar.

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