Il lato obamista di Donald Trump in America Latina

Iroel Sánchez http://espanol.almayadeen.net

Donald Trump né innova, né agisce sulla difensiva, neppure ha rinunciato ad uno solo degli scopi che si tracciò da quando era candidato ad occupare l’Ufficio Ovale della Casa Bianca, neppure si distanzia dagli obiettivi strategici in quello che gli USA hanno sempre considerato il loro “cortile”, come lo ha chiamato non Rex Tillerson, ma il segretario di Stato obamista John Kerry.

Le più recenti decisioni del governo di Donald Trump non sembrano andare -né in politica interna né estera- nella direzione di coloro che commettono l’errore sul quale Niccolò Machiavelli avvertiva il Principe: Confondere la realtà con i desideri.

La decisione governativa di armare gli insegnanti nelle scuole, che solo incrementa il business per i venditori di dispositivi mortali, non ha ceduto di fronte alle grandi proteste studentesche. Trump ha già imposto dazi alle importazioni di acciaio e limitazioni al trasferimento tecnologico alla Cina che hanno portato a parlare di “guerra commerciale” con quel paese; ha insistito nella costruzione del muro con il Messico di cui è già giunto a valutare i modelli costruttivi ed è tornato a parlare con il Presidente Peña Nieto affinché sia pagato dal bilancio messicano; ha fatto più cambi nel gabinetto presidenziale a cui sono ascese persone molto compromesse con le politiche più scandalosamente reazionarie dell’amministrazione di W.Bush come la nuova direttrice della CIA, Gina Haspel, ed il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton; ha dato un ultimatum agli europei di imporre condizioni più dure all’accordo nucleare con l’Iran, si è ritirato dall’accordo di Parigi sul cambio climatico ed ha sovra-realizzato le sue promesse in campagna elettorale di lanciare un programma di armamento spaziale contro Russia e Cina che ricorda l’Iniziativa di Difesa Strategica o “Guerre stellari” dei tempi di Ronald Reagan e che porterà grandi profitti alle compagnie del Complesso Militare Industriale.

Il rafforzamento delle politiche anti-immigratorie, il protezionismo commerciale e l’aggressività contro il Venezuela e Cuba hanno segnato la sua agenda verso l’America Latina, che ha toccato il suo punto più alto con la rivendicazione della vecchia Dottrina Monroe (“America agli americani”) da parte dell’ex Segretario di Stato Rex Tillerson.

Alla vigilia del Vertice delle Americhe, Washington ha annunciato un piano di 1200 milioni di $ per la regione che dà priorità al cosiddetto “Triangolo Nord” (Guatemala, El Salvador e Honduras), dove più della metà di quel denaro deve essere destinato, fondamentalmente, a combattere l’emigrazione illegale verso gli USA; il Messico riceve 152 milioni per lo stesso scopo.

La terza parte di questo finanziamento è per la Colombia con l’obiettivo essenziale di combattere il narcotraffico ed anche opere “anti-terrorismo”. Perù, sede del Vertice, e avvolto in una crisi di governabilità e scandali di corruzione che hanno portato alle dimissioni del presidente imprenditore Pedro Pablo Kuczynski dalla presidenza, riceve 34 milioni di cui l’informazione diffusa dall’agenzia di stampa AP non dà l’obiettivo, così come 20 e 15 milioni di $ “per promuovere la democrazia a Cuba ed in Venezuela”. Nel caso cubano questi fondi si sommano a quelli ancora maggiori destinati a Radio e TV Martí. Quel bilancio ha molte più somiglianze che differenze con le assegnazioni che faceva l’amministrazione Obama e condivide i suoi stessi obiettivi: assicurare gli scopi di ciò che Washington intende, nella regione, come necessità di sicurezza nazionale.

Neppure i destinatari del denaro USA sono cambiati, tanto meno a Cuba ed in Venezuela. Se si guarda il Twitter del vicesegretario Francisco Palmieri, di giovedì 22 marzo, si hanno vari dei nomi con cui era solito riunirsi il presidente Barack Obama ed i suoi funzionari per parlare dei due paesi privilegiati dagli USA “per promuovere la democrazia” e stanziare fondi in cui il primo presidente nero ha stabilito il record delle allocazioni monetarie. La differenza starebbe che mentre Obama cercava di indebolire Cuba attraverso la guerra economica contro il suo principale alleato e manteneva in piedi gli aspetti essenziali del blocco e della sovversione, incoraggiava il contatto con tutti i settori della società cubana, compreso il governo, per promuovere il cambio, mentre Trump è tornato all’isolamento come centro della sua strategia, pur mantenendo quelle aree di scambio che contribuiscono agli interessi della sicurezza USA come il controllo delle frontiere, l’ambiente e la persecuzione dei reati.

Almeno nelle sue azioni verso l’America Latina, Donald Trump né innova, né agisce sulla difensiva, neppure ha rinunciato ad uno solo degli scopi che si tracciò da quando era candidato ad occupare l’Ufficio Ovale della Casa Bianca, neppure si distanzia dagli obiettivi strategici in quello che gli USA hanno sempre considerato il loro “cortile”, come lo ha chiamato non Rex Tillerson, ma il segretario di Stato obamista John Kerry.


El lado obamista de Donald Trump en Latinoamérica

Iroel Sánchez

Donald Trump ni innova, ni actúa a la defensiva, tampoco ha renunciado a uno solo de los propósitos que se trazó desde que era candidato a ocupar el Despacho Oval de la Casa Blanca, tampoco se distancia de los objetivos estratégicos en lo que EE.UU. siempre ha considerado su “patio trasero”, como lo denominó no Rex Tillerson, sino el Secretario de Estado obamista John Kerry.

Las más recientes decisiones del gobierno de Donald Trump no parecen ir -ni en la política interna ni en la exterior- en la dirección de quienes cometen el error sobre el que alertaba Nicolás Maquiavelo al Príncipe: Confundir la realidad con los deseos.

La decisión gubernamental de armar maestros en las escuelas, que solo incrementa el negocio para los vendedores de artefactos mortales no ha cedido frente a las grandes protestas estudiantiles. Trump ya impuso los aranceles a las importaciones de acero y las limitaciones de transferencia tecnológica a China que han llevado a hablar de “guerra comercial” con ese país; ha insistido en edificar el muro con México del que ya ha llegado a evaluar los modelos constructivos y ha vuelto a hablar con el Presidente Peña Nieto para que sea pagado por el presupuesto mexicano; ha hecho más cambios en el gabinete presidencial al que han ascendido personas muy comprometidas con las políticas más reaccionariamente escandalosas de la administración de W. Bush como la nueva directora de la CIA, Gina Haspel, y el nuevo asesor de seguridad nacional, John Bolton; dio un ultimatum a los europeos para imponer condiciones más duras en el pacto nuclear con Irán, se retiró del acuerdo de París sobre el cambio cimático y ha sobrecumplido sus promesas de campaña al lanzar un programa armamentístico espacial contra Rusia y China que recuerda la Iniciativa de Defensa Estratégica o “Guerra de las Galaxias” de los tiempos de Ronald Reagan y que traerá grandes ganancias a las empresas del Complejo Militar Industrial.

El fortalecimiento de las políticas antinmigrantes, el proteccionismo comercial y la agresividad contra Venezuela y Cuba han marcado su agenda hacia América Latina, que tocó su punto más alto con la reivindicación de la añeja Doctrina Monroe (“América para los americanos”) por el ex Secretario de Estado Rex Tillerson.

En vísperas de la Cumbre de las Américas, Washington ha anunciado un plan de mil 200 millones de dólares para la región que prioriza al llamado “Triángulo Norte” (Guatemala, El Salvador y Honduras), donde más de la mitad de ese dinero debe ser destinado, fundamentalmente, a combatir la emigración ilegal hacia a EE.UU.; México recibe 152 millones para el mismo propósito.

La tercera parte de ese financiamiento es para Colombia con el objetivo esencial del combate al narcotráfico y también labores “antiterroristas”. Perú, sede de la Cumbre, y envuelto en una crisis de gobernabilidad y escándalos de corrupción que han llevado a la renuncia del empresario Pedro Pablo Kuczynski a la presidencia, recibe 34 millones de los que la información difundida por la agencia de prensa AP no da el objetivo, así como 20 y 15 millones de dólares “para promover la democracia en Cuba y Venezuela”. En el caso cubano estos fondos se suman a los aún mayores destinados a Radio y Tv Martí. Ese presupuesto, tiene muchas más similitudes que diferencias con las asignaciones que hacía la administración Obama y comparte sus mismos objetivos: asegurar los propósitos de lo que Washington entiende en la región como necesidades de seguridad nacional.

Los receptores del dinero estadounidense tampoco han cambiado, mucho menos en Cuba y Venezuela. Si se mira el Twitter Secretario Adjunto Francisco Palmieri el jueves 22 de marzo, se hayan varios de los nombres con los que se solían reunirse el Presidente Barack Obama y sus funcionarios para hablar de los dos países privilegiados por EE.UU. “para promover la democracia”, y asignar fondos en los que el primer presidente negro estableció récord de asignaciones monetarias. La diferencia estaría en que mientras Obama buscaba debilitar a Cuba a través de la guerra económica contra su principal aliado y mantenía los aspectos esenciales del bloqueo y la subversión en pie, estimulaba el contacto con todos los sectores de la sociedad cubana, incluyendo el gobierno, para promover el cambio, mientras Trump ha vuelto al aislamiento como centro de su estrategia, aunque manteniendo aquellas áreas de intercambio que tributan a los intereses de seguridad estadounidenses como control de fronteras, medio ambiente y persecución al delito.

Al menos en sus acciones hacia América Latina, Donald Trump ni innova, ni actúa a la defensiva, tampoco ha renunciado a uno solo de los propósitos que se trazó desde que era candidato a ocupar el Despacho Oval de la Casa Blanca, tampoco se distancia de los objetivos estratégicos en lo que EE.UU. siempre ha considerado su “patio trasero”, como lo denominó no Rex Tillerson, sino el Secretario de Estado obamista John Kerry.

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