Benedetti, compagno e amico

Pedro de la Hoz

Nessuno, salvo forse qualcuno minato dai virus dell’invidia e la mediocrità, mette in dubbio la statura poetica o la profondità della narrativa (La tregua, Montevideanos e Gracias por el fuego, tra i tanti titoli) né la brillantezza dei saggi di Mario Benedetti, lo scrittore uruguaiano o, detto meglio, nostro americano, che abbiamo celebrato il 14 settembre.

Attualmente in Spagna i lettori più giovani sono i primi a sfogliare le pagine dell’antologia poetica preparata, per coincidere con il centenario dell’autore, da Joan Manuel Serrat.

Il cantautore ha introdotto il lavoro con parole che vale la pena citare: «Non è facile scegliere il più rappresentativo tra la vasta opera di Benedetti, ma spero che in questa antologia siano rappresentati tutti i Benedetti che Mario portava nel suo zaino: l’impiegato routinario, il montevideano di classe media, il giornalista impegnato, il viaggiatore curioso, il militante della patria domestica, l’esiliato, il multi esiliato e anche il combattente politico, e ovviamente il poeta minuzioso e il lavoratore che non ha mai smesso d’essere…».

Denominatore comune di tanti molteplici lavori è una parola che il catalano sottolinea: l’impegno.

Alla qual si può aggiungerne un’altra: conseguenza.

Qui diremmo che Mario non è mai cambiato. Nè nelle buone nè nelle cattive. E lo sappiamo noi qui in Cuba che lo abbiamo avuto come uno di noi per anni a lavorare nella Casa de las Americas.

I suoi compagni nell’istituzione lo ricordano e confermano i preziosi apporti della sua vicinanza alla fondatrice Haydée e dei suoi contributi alle investigazioni letterarie.

E al di là, alla formazione dei giovani scrittori, agli albori degli anni ’70, come possono testimoniare e ringraziare Víctor Rodríguez Núñez, Alex Fleites, Norberto Codina, Abilio Estévez, Jesús Barquet e molti altri tra di noi che frequentavamo il seminario letterario Roque Dalton, nella collina universitaria.

Era un uomo semplice, generoso, cordiale, integrato alle trasformazioni di una Rivoluzione sempre assediata, ma resistente, e alle volte il poeta e militante che soffriva al suo interno per gli orrori di una dittatura che allora devastava l’Uruguay, condizione che rivelò in uno dei testi della serie Cotidianas: «Dall’ottavo piano del mio terzo esilio vedo il mare esagerato che mi prestano, penso nella solidale terribile dolcezza di questo popolo che sa avvicinare le sue protezioni senza presentare conti (…) e loro colpendo, ciechi sordi e muti nei crani, praterie e copertine, nei coglioni e negli uteri, ossia cercando di distruggere il futuro in ogni germoglio».

Quando Fidel compì 80 anni, Benedetti inviò un messaggio di felicitazioni e gratitudine a un leader di cui apprezzava «la semplicità dei suoi pensieri (…), la franchezza che mostrava elegantemente di fronte alle nostre obiezioni e la sua indistruttibile volontà di difendere e migliorare il livello del suo popolo», e aveva affermato:«Ho passato vari periodi a Cuba, la prima volta come invitato e poi diverse altre come esiliato. Dalla sua esplosione la Rivoluzione cubana è stata un forte scossone per Nuestra America.

Nel Río de la Plata, i settori culturali si rivolgevano prima all’Europa, ma la Rivoluzione ci ha fatto guardare l’America Latina.

Non solo per interiorizzare i problemi del subcontinente ma anche per calcolare il potere e la pressione degli Stati Uniti ».

Come intendeva l’impegno lo scrittore? Creazione, dovere civico e passione rivoluzionaria. Scommetteva per l’emancipazione della sua patria, che cominciava in Uruguay e si prolungava in altre terre del continente e tra altri popoli del mondo.

Nel 1987 riunì nel volume  «El escritor latinoamericano y la revolución posible», riflessioni su quello su cui conveniva ritornare une e un’altra volta per la loro vigenza.

Resta intatto il richiamo d’assumere un impegno che «non dev’essere una cisti mentale, ma una capacità in sviluppo, una forma di vitalità che senta, comprenda e interpreti la bruciante realtà contemporanea e non s’installi comodamente in uno stato di purezza, soprattutto verbale, dal quale dettare norme, formule, esigenze, giudicare condotte e dettare come devono essere le rivoluzioni e dove si devono dirigere».

Un esercizio di umiltà e vocazione partecipativa che dobbiamo sempre considerare.

Un’altra lezione che ci ha lasciato è in una lettera inviata al critico

Ángel Rama da L’Avana, nella quale discorre sull’impatto della Rivoluzione sugli esseri umani: «Per l’individuo è un addestramento   pauroso, che lo mantiene allerta anche se non vuole, e che nel fondo lo prepara per decisioni rapide, per cambi profondi, per proposte originali. Uno, da sé, non può evitare l’oscillazione temperamentale tra il pessimismo e l’ottimismo, ma ogni volta che torna a quest’ultimo, uno si sente di più a casa».

 

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