Sta calando l’egemonia USA?

La storia contemporanea degli USA si può abbordare da differenti angoli, ma tutto si può riassumere nella sua conversione e la sua permanente lotta per mantenere il suo carattere di nazione egemone.

Il famoso saggista e poeta cinese dell’inizio del secolo scorso, Li Yutang, ha detto una frase appropriata per rispondere a questo interrogativo: «Il massimo del potere è l’inizio della sua decadenza». Forse si tratta di questo nel momento di valutare in che situazione si trova un sistema di potere rappresentato nell’impero nordamericano, che utilizzò giustamente questo carattere, immischiandosi nelle lotte per l’indipendenza di Cuba, al finale del XIX secolo.

Questa circostanza probabilmente ci offre certa autorità per mostrare che ora sì, paragonando ad altri momenti, l’egemonia USA ha iniziato un cammino d’irreversibile declino.

Tutto questo è bene chiarirlo prima di tutto, non ci deve portare all’equivoco che questo deterioramento è consumato.

All’impero restano ancora molte riserve d’indole militare, economica e d’ordine soggettivo, cosi come l’esperienza per farle valere.

La storia contemporanea USA si può analizzare da differenti angoli, ma tutto si può riassumere nella sua conversione e la sua permanente lotta per mantenere il suo carattere di nazione egemone.

Senza dubbio a questa altezza si può affermare senza peccare d’eccesso d’ottimismo diciamo obiettivamente, che stiamo presenziando il tramonto di questa capacità.

Come si sa, il carattere d’imperialismo dello Stato nordamericano si esprime nitidamente nella sua politica estera, permettendo che noi si possa misurare con maggior precisione questa debacle, visto che negli errori che gli autori di questa politica internazionale hanno fatto, almeno negli ultimi anni, senza distinzione di colori dei partiti, anche se ovviamente questa problematica è divenuta più nota con l’amministrazione Biden.

Certo che qui non si tratta di frugare nell’intelligenza dei responsabili dell’ambito estero delle amministrazioni USA.

Ed è anche peggio, tornando a Li Yutang, che il massimo potere e quanto associato a questo hanno condotto all’attuale stato di cose una volta arrivato alla cima, dove riuscirono a ubicarsi dopo la II Guerra Mondiale, momento nel quale ebbero la migliore opportunità e che seppero approfittare enormemente.

L’egemonia dev’essere vista come un sistema che articola fattori d’indole economica, avvia l’espansione delle grandi corporazioni, alla quale si somma l’imposizione di valori ideologici e culturali e specialmente il potere militare, che compie il doppio ruolo di dare più potere all’élite al governo, con il complesso militare industriale come strumento e all’unisono imporre rispetto, pur con la pena di ricevere un forte colpo che è costato non meno di 20 milioni di persone annichilite negli ultimi anni.

Ci vorrebbe molto spazio per dettagliare quegli aspetti che prima in forma segreta e ora apertamente provocano la declinazione di questa egemonia.

Vanno dagli aspetti economici con la crescita di mega economie come quella della Cina, passando per la perdita del predominio tecnologico

nell’ecosistema delle telecomunicazioni, l’informatica, la robotica, e anche nell’ambito aereo spaziale, visto come il volto amabile del complesso militare industriale, che affronta una crescente competenza.

La parte fondamentale del militare si associa al potere nucleare; senza dubbio, la chiamata minaccia nucleare, diciamo il massimo del potere distruttivo, è concepita giustamente per vedere in questa una minaccia, data l’impossibilità del suo uso in virtù dell’impatto catastrofico al quale si associa.

In quanto alla guerra convenzionale, e visto in prospettiva, dopo la fine della Guerra di Corea, gli eserciti statunitensi non hanno potuto accreditarsi nessuna vittoria anche dove hanno assassinato milioni di esseri, essendo paradigmatica la colossale sconfitta sofferta in Vietnam, nella quale si racconta che i B-52 Made in USA, furono affrontati con balestre e altre cose che il pudore impedisce di citare.

Nell’altro universo martirizzato, il Medio Oriente, pieno di combustibili fossili, si è ripetuta un’altra forte sconfitta politica, mostrando che anche se la guerra è un’estensione di quella, ha la sua propria logica e i suoi principi.

Nel tempo, nei paesi attaccati sono sopravvenuti governi relativamente o apertamente ostili agli interessi imperiali, come nei casi più forti dell’Afganistan, dove una volta i marines si ammucchiarono negli aerei e negli elicotteri, stile Saigon. Vediamo quello che è successo in Iraq, il cui parlamento ha espulso reiteratamente gli stessi marines, anche se è stato il luogo nel quale è avvenuta la prima guerra teletrasmessa, per mostrare il potere delle bombe imperiali.

A proposito del Medio Oriente, e del genocidio che Israele perpetra contro il nobile popolo palestinese, si potrebbe dire che, oltre all’epilogo di questo incubo, è probabilmente uno degli esempi più evidenti del calo. L’effetto negativo sull’immagine pubblica che sta soffrendo il Governo di Biden è incommensurabile, a livello internazionale e interno, qualcosa che ci ricorda il Vietnam.

Dalla sua proverbiale superbia, il Governo israeliano ha incitato i detti demagoghi alla moderazione da parte del Dipartimento di Stato.

Come dire, neanche il suo fermo alleato si subordina?

È la domanda puntuale per evacuare.

Se questo non fosse sufficiente, emerge da questo conflitto l’inattesa temerarietà delle milizie yemenite.

Si dice che lo Yemen è uno dei paesi più ritardati del mondo e si dice che è uno dei più deboli e per questo l’inatteso.

Nessuno ha potuto prevedere che l’impero fosse sfidato da una struttura militare sicuramente informale, in un ambiente di povertà. Non conta qui che abbiano appoggio iraniano o qualsiasi teoria cospirativa.

Il caso è che gli yemeniti hanno posto col fiato sospeso il passaggio nello stretto di Bab el Mandeb, ostacolando il flusso mercantile verso la «Palestina occupata», come dicono a Israele, e inoltre si assicura che hanno attaccato con imbarcazioni statunitensi, una temerarietà impensabile sino a pochi anni fa.

Più a sud e più a ovest, in Africa e in America Latina, l’egemone deve combattere con l’irruzione di permanenti mostre d’indisciplina dei popoli e delle élite, che costruiscono la maniera di cominciare a processare probabilmente la loro seconda e definitiva indipendenza.

Nell’altra parte del mondo, in Ucraina, vicino al detto giardino euro occidentale si svolge un altro dei conflitti militari che ragionevolmente avrà un esito a favore della Russia. Confermando questo, lo si potrebbe considerare il colpo più violento per la NATO e soprattutto della sua guida USA.

Alcune messe a fuoco parlano anche di un prima e un dopo, vedremo.

A proposito del precedente, questo conflitto apporta altre conseguenze che cospirano contro l’egemonia USA che, come sappiamo bene in Cuba, appella a un’estesa politica di sanzioni per neutralizzare e dominare i suoi avversari, anche se in certi casi genera un effetto contrario; per caso la Russia, emersa alla fine del 2023, nella quinta economia del mondo.

A questo punto è buono insistere sul carattere genocida di questa politica, specialmente quando si applica a paesi con scarse risorse naturali come, nel caso di Cuba, che somma migliaia di milioni in perdita, nei sei decenni d’esistenza del blocco.

La resistenza della Rivoluzione Cubana è forse l’esempio più evidente delle crepe negli affanni egemonici dell’impero statunitense.

A sole 90 miglia di distanza dalla Florida, con una sproporzionata differenza a favore del vicino in materia demografica, economica e, ovviamente, militare, risulta francamente incomprensibile per un osservatore non prevenuto la capacità di resistenza di Cuba.

De lì proviene, probabilmente, la ragione principale per cui, al di là delle sfumature, la nazione cubana non può sperare un perdono della plutocrazia statunitense. La chiarezza strategica in questo aspetto è primordiale, e il nostro sviluppo e la nostra sovranità dipenderanno dal nostro coraggio dalla nostra intelligenza e mai dall’indulgenza dell’Impero.

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