La dottrina Monroe (parte II e finale)

colonna vertebrale dell’imperialismo USA

 

Dalla fine del XVIII secolo furono espresse le intenzioni del potente vicino nordamericano sull’isola di Cuba per voce delle sue principali figure politiche.

Così, dal 1805, Jefferson espresse le sue intenzioni di impadronirsi di Cuba per ragioni strategiche. Nel 1823, il segretario di stato USA, John Quincy Adams, enunciò la sua teoria della “frutta matura”: “(…) Cuba, separata dalla Spagna, cadrà necessariamente nel grembo USA…”.

Nel dicembre dello stesso anno, si enuncia la Dottrina Monroe, attribuita al presidente James Monroe, “America per gli americani”: gli USA preferiscono che l’isola rimanga una colonia della Spagna prima che cada nelle mani degli inglesi o conquisti la sua indipendenza.

Come abbiamo visto, la dottrina Monroe aveva lo scopo di rendere chiaro ai concorrenti europei che l’America era per gli “americani”, all’esprimere la loro opposizione a che il continente fosse oggetto di futura colonizzazione da parte della potenze dell’altro lato dell’Atlantico.

Da allora, rispetto a Cuba, l’atteggiamento USA si concretò nell’attendere il momento opportuno per impadronirsi dell’isola: la “politica della frutta matura”.

Al calore di queste posizioni fiorì, a Cuba, la cosiddetta tendenza annessionista, un movimento politico che ebbe inizio a Cuba nel primo quarto del XIX secolo e che sosteneva l’annessione di Cuba agli USA.

Nei primi anni di quel secolo stavano acquisendo propri profili, le tre correnti che avrebbero caratterizzato le lotte politiche di tutto il secolo a Cuba: il riformismo, l’annessionismo e l’indipendentismo. All’analizzare il panorama storico si osserva che da quell’epoca, il nostro ambizioso vicino settentrionale, già convertito nella metropoli economica di Cuba, nei suoi tentativi di raggiungere i suoi scopi di annessione cercò sempre l’appoggio di elementi servili e quinte colonne all’interno del paese.

L’annessionismo dai suoi primi passi fu incoraggiato dalle dichiarazioni e dalle azioni di diversi presidenti USA. Gli annessionisti cubani pensavano che il potere USA fosse sufficiente a proteggere il regime schiavista dalle pretese dell’Inghilterra, cosa che non potevano aspettarsi dalla Spagna. Questa era la base fondamentale dell’Annessionismo negli anni ’40.

Tuttavia, c’erano altri tipi di annessionisti: coloro che, ingenuamente, vedevano il nord industriale degli USA in sviluppo, con un sistema di libertà democratiche e pensavano che l’annessione avrebbe unito l’isola al carro della democrazia politica ed al progresso economico-sociale. Va sottolineato che sin dal suo inizio, la Dottrina Monroe e la corrente annessionista, furono decisamente combattute dalle forze più progressiste della nostra nazionalità.

Il padre Félix Varela, professore di filosofia del Seminario San Carlos de L’Avana, di cui è stato detto “che aveva rivoluzionato il pensiero cubano”, “che è stato il nostro vero civilizzatore e che per primo ci ha insegnato a pensare”; fu uno dei pensatori che si distinse, nella prima fase delle lotte indipendentiste, svolgendo un ruolo di primo ordine nella gestazione della nazionalità cubana, sempre opposto alla corrente annessionista. Varela in uno dei suoi documenti più energici aggiunse: “Desidererei vedere Cuba come un’isola, politicamente, come lo è in natura”.

José Antonio Saco, che fu la figura politica di maggior ambito teorico e concettuale del movimento liberale riformista degli anni ’30 del XIX secolo, combatté l’annessionismo dall’esilio e scrisse: “l’annessione, come ultimo risultato non sarebbe annessione, ma assorbimento di Cuba dagli USA”. Non c’è da stupirsi che Saco, classificato come il più brillante oppositore del movimento annessionista di questo poi affermasse: “mai inchinerò la mia fronte davanti alle rutilanti stelle della bandiera americana”, e chiese che sulla sua tomba si collocasse questo epitaffio “Qui giace José Antonio Saco, che non fu annessionista, perché fui più cubano di tutti gli annessionisti “.

Da parte sua Carlos Manuel de Céspedes, in una lettera a Charles Sumner, nel 1871, lo chiarì dicendo: “Alla imparziale storia toccherà giudicare se il governo di quella Repubblica è stato all’altezza del suo popolo e della missione che rappresenta in America; non già rimanendo più semplice spettatore indifferente (…), ma fornendo sostegno indiretto, morale e materiale, all’oppressore contro l’oppresso, al forte contro il debole, alla Monarchia contro la Repubblica, alla Metropoli europea contro la Colonia Americana, allo schiavista recalcitrante contro il liberatore di centinaia di migliaia di schiavi”.

E che dire di Martí, il pensatore più profondo e radicale di Cuba e dell’America Latina del suo tempo. L’uomo che morì in combattimento per il maggior bene dell’uomo, senza poter impedire che gli USA cadessero “con quella forza sulle nostre terre d’America”.

Quando nel 1889, a Washington, si tenne la prima conferenza panamericana, José Martí si riferì a questa dottrina chiedendo:

Per cosa invocare, per estendere il dominio in America, la dottrina che è nata tanto da Monroe quanto da Canning, per impedire in America il dominio straniero, per assicurare alla libertà un continente? O si deve invocare il dogma contro uno straniero per portarne un altro? O si elimina lo straniero, che sta nel diverso carattere, nei diversi interessi, nei diversi scopi, per vestirsi di libertà e privare di essa con i fatti, -o perché viene, con lo straniero, il veleno dei prestiti, dei canali, delle ferrovie? O si deve spingere la dottrina, con tutta la sua forza, sui popoli deboli d’America, quello che ha il Canada al Nord, e le Guyanas ed il Belize al Sud, e comandò mantenere e mantenne la Spagna e le ha permesso di ritornare, ai propri porti, al popolo americano da dove era partito?

Perché fingere paure della Spagna (…)?

Come si può osservare, Martí comprese la sostanza della Dottrina Monroe, quella che divenne nota in un momento in cui, per gli USA, era necessario definire la propria posizione imperialista nel continente in vista del futuro previsto dai suoi dirigenti. In esso c’era anche l’interesse per Cuba in modo incipiente.

Il Titano Antonio Maceo fu molto chiaro quando, in una lettera al colonnello Federico Pérez Carbó, datato 14 luglio 1896, affermò: “Dalla Spagna mai aspettai nulla: ci ha sempre disprezzato e sarebbe indegno che si pensasse altra cosa. (…) Né mi aspetto nulla dagli americani, dobbiamo fidarci dei nostri sforzi; è meglio alzare o cadere, senza il loro aiuto, che contrarre debiti di gratitudine con il potente vicino”.

Nel frattempo, il Generalissimo Màximo Gómez anche calibrò gli americani dicendo che stavano guadagnando troppo dall’occupazione militare del paese, il loro spontaneo intervento nella guerra: “Nessuno si spiega l’occupazione…”, scrisse il Generalissimo

Durante la guerra d’indipendenza del ’95, l’invasione e la fiaccola incendiaria unificarono il paese e sembrarono eliminare per sempre, insieme alla ricchezza che lo sosteneva, il progetto annessionista. Tuttavia, l’intervento USA modificò la situazione ben oltre le prerogative tutoriali imposte dall’Emendamento Platt.

Con arroganza, l’impero usò l’esperimento cubano per gettare le basi del modello neocoloniale che s’inaugurava sull’isola.

Nell’arcipelago filippino, l’occupazione USA senza ostacoli scatenò una sanguinosa, prolungata e costosa lotta di resistenza. Per questa ragione, e in risposta all’esigenza di creare un’immagine rispettabile in relazione ai paesi dell’America Latina, si progettò, per Cuba, una politica di dominio più sottile ed efficace.

Il potere reale si esercitò mediante la presenza di grandi risorse economiche dietro la maschera delle istituzioni repubblicane. I prodotti di esportazione, tabacco e zucchero, soggetti alle richieste del mercato USA, sostenevano l’economia del paese. L’industria dello zucchero era subordinata alle esigenze delle raffinerie stabilite negli USA.

Il Trattato di Reciprocità Commerciale -un precedente dell’ALCA- gettava il destino del paese alle esigenze del vicino del nord. Implicava l’applicazione della legge dell’imbuto e abortiva, con i suoi regolamenti tariffari, il possibile sviluppo di un’industria nazionale. Le circostanze favorirono l’instaurazione di una borghesia dipendente. La cronica disoccupazione impose l’ipertrofia della burocrazia governativa, fonte della prima apparizione del clientelismo politico. Quella deformazione strutturale sarebbe risultata difficile da superare.

La penetrazione del capitale USA a Cuba contò sul sostegno dell’Emendamento Platt e la sua tutela politica attraverso una sovranità mutilata. Le pressioni, espresse nella minaccia di permanenza indefinita delle truppe straniere, diedero origine alla iniziale resistenza dei costituenti cubani, che cedettero poco a poco, rassegnati ad accettare un male minore. In questo modo, cominciò a diffondersi un pensiero plattista sino ad assumere come inevitabili le conseguenze del cosiddetto fatalismo geografico. Prese forma una mentalità integrata da un insieme di componenti.

Le decisioni del governo si sottoponevano al parere dell’Ambasciatore USA. A partire da queste pratiche, le rivendicazioni politiche sovrane si autolimitarono.

Il disegno istituzionale dello Stato fu un trapianto USA, così come l’alternanza al potere dei due partiti fondamentali. Gli eredi della classe dominante frequentarono gli studi universitari negli USA, costituiti come un modello unico di modernità ed efficienza. Apparvero le prime scuole culturalmente bilingue.

I costumi della borghesia si modificarono. I club si collocarono sopra le tradizionali società spagnole. Termini in inglese si diffusero nel parlare dei cubani. Nella società si produsse una chiara regressione nel terreno conquistato dalle guerre di indipendenza rispetto al razzismo e alle diverse forme di esclusione.

La dissoluzione dell’esercito mambí marginalizzò i neri ed i mulatti che raggiunsero gradi militari nel combattimento. Il colore della pelle divenne la frontiera per accedere ai lavori meglio pagati. Condannati alla povertà, i loro figli non beneficiarono della crescita dell’istruzione pubblica. Babbo Natale prese il posto dei Re Magi.

Lentamente, le classi sociali si riconfigurarono. Il proletariato e gli strati medi si rafforzarono. Negli anni venti del secolo scorso, il “decennio critico” si annunciò la frattura della storia repubblicana favorita dalla lotta contro Machado. Ora inutile, l’Emendamento Platt poté essere abrogato. Il potere economico faceva ciò che era necessario. La mentalità Plattista aveva lasciato il segno.

L’impudica presenza delle cannoniere fu sostituita dall’azione diplomatica. L’ambasciatore Caffery subentrò a Welles per l’instaurazione del colonnello Batista come decisivo “uomo forte” nello scenario politico. Gli sforzi di un altro ambasciatore, Earl Smith, tentarono d’impedire il trionfo della Rivoluzione cubana.

Non si sa dove sarebbe arrivato il paese se la Rivoluzione non avesse trionfato il 1 ° gennaio 1959!

Ideologizzato in altri termini, l’annessionismo si mantiene oggi. Una forma di plattismo planetario riconosce all’impero la facoltà di dettare circa il dover essere delle nazioni, prescindendo da tutte le considerazioni storiche o culturali.

Nel suo testo integrale, la legge Helms-Burton formula chiaramente il disegno di una Cuba post-rivoluzionaria. Come è avvenuto sotto l’occupazione USA, alla fine della guerra di indipendenza, un interveniente ripristinerà le istituzioni decadute e stabilirà le fondamenta legali della nazione mutilata.

È il modello applicato in Iraq e le conseguenze sono ben note.

Nel frattempo si tratta di ammorbidire ogni possibile resistenza del nostro popolo ricorrendo ad un’intensificazione della sovversione ideologica, per il quale si creano meccanismi quali la task force su Internet, si rafforzano le misure del genocida blocco economico contro Cuba, e si adottano tutti i tipi di restrizioni diplomatiche per danneggiare il normale flusso migratorio tra i due paesi cercando di fomentare il malessere nella nostra cittadinanza.

Nel calore di questa offensiva imperialista, se prestiamo attenzione all’agire attuale su alcuni media stranieri dei cosiddetti “dissidenti cubani” sembrerebbe che l’annessionismo starebbe rinverdendo gli allori.

Tuttavia, una cosa è chiara per il nostro popolo, gli annessionisti di oggi, che si presentano come “oppositori” o “dissidenti”, “difensori della democrazia”, ​​come quelle di ieri, non sono altro che miserabili marionette create, finanziate e rifornite dai loro padroni imperiali e, come tali, sono condannati alla pattumiera della storia.

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La Doctrina Monroe: columna vertebral del imperialismo norteamericano (Parte II y Final)

Desde finales del siglo XVIII fueron expresadas las intenciones del poderoso vecino norteamericano acerca de la isla de Cuba en voz de sus principales figuras políticas.

Así, desde 1805, Jefferson expresó sus intenciones de adueñarse de Cuba por razones estratégicas. En 1823, el Secretario de Estado de EE.UU., John Quincy Adams, enuncia su teoría de «la fruta madura»: “(…) Cuba, separada de España, caerá necesariamente en el regazo de EE.UU…”.

En diciembre del mismo año se enuncia la Doctrina Monroe, atribuida al Presidente James Monroe, «América para los americanos»: EE.UU. prefiere que la Isla siga siendo colonia de España antes de que caiga en manos de los ingleses o conquiste su independencia.

Como hemos visto, la Doctrina Monroe pretendía dejar claro a los competidores europeos que América era para los “americanos”, al manifestar su oposición a que el continente fuese objeto de futura colonización por las potencias del otro lado del Atlántico.

Desde ese entonces, con respecto a Cuba, la actitud norteamericana se concretó a esperar el momento oportuno para apoderarse de la isla: la “política de la fruta madura”.

Al calor de estas posiciones, floreció en Cuba la llamada tendencia anexionista, un movimiento político que se inició en Cuba en el primer cuarto del siglo XIX y que abogaba por la anexión de Cuba a Estados Unidos.

En los primeros años de ese siglo fueron adquiriendo perfiles propios, las tres corrientes que habrían de caracterizar las luchas políticas de toda esa centuria en Cuba: el reformismo, el anexionismo y el independentismo. Al analizar el panorama histórico se observa que desde esa época, nuestro ambicioso vecino del norte, convertido ya en la metrópoli económica de Cuba, en sus intentos de lograr sus propósitos de anexión buscó siempre el apoyo de elementos serviles y quintacolumnistas en el interior del país.

El anexionismo da sus primeros pasos alentado por los pronunciamientos y gestiones de varios presidentes norteamericanos. Los anexionistas cubanos pensaban que el poderío de Estados Unidos era suficiente para proteger al régimen esclavista contra las pretensiones de Inglaterra, cosa que no podían esperar de España. Esta era la base fundamental del Anexionismo en los años 40.

Sin embargo, había anexionistas de otro tipo: los que ingenuamente veían al norte industrial de Estados Unidos en desarrollo, con un régimen de libertades democráticas, y pensaban que la anexión uniría la Isla al carro de la democracia política y el progreso económico-social. Hay que subrayar que desde sus inicios la doctrina Monroe y la corriente anexionista fueron combatidas resueltamente por las fuerzas más progresistas de nuestra nacionalidad.

El padre Félix Varela, catedrático de filosofía del Seminario San Carlos de La Habana, del que se dijo “que había revolucionado el pensamiento cubano”, “que era nuestro verdadero civilizador y quien nos enseñó primero a pensar”; fue uno los pensadores que más sobresalió en la primera etapa de las luchas independentistas, desempeñando un papel de primer orden en la gestación de la nacionalidad cubana, opuesto siempre a la corriente anexionista. Varela en uno de sus más contundentes documentos apostilló: “Desearía ver a Cuba tan isla en lo político como lo es en la naturaleza”.

José Antonio Saco, que fue la figura política de mayor alcance teórico y conceptual del movimiento liberal reformista de los años 30 del siglo XIX, combatió el anexionismo desde el exilio y escribió: “la anexión, en último resultado no sería anexión, sino absorción de Cuba por los Estados Unidos”. No es de extrañar que Saco, catalogado como el más brillante opositor al movimiento anexionista de ese entonces afirmara: “nunca inclinaré mi frente ante las rutilantes estrellas del pabellón americano” y pidiera que en su tumba se colocara este epitafio “Aquí yace José Antonio Saco, que no fue anexionista, porque fue más cubano que todos los anexionistas”.

Por su parte Carlos Manuel de Céspedes, en carta a Charles Sumner, en 1871, lo dejó claro al expresar: “A la imparcial historia tocará juzgar si el gobierno de esa República ha estado a la altura de su pueblo y de la misión que representa en América; no ya permaneciendo simple espectador indiferente (…) sino prestando apoyo indirecto moral y material al opresor contra el oprimido, al fuerte contra el débil, a la Monarquía contra la República, a la Metrópoli europea contra la Colonia Americana, al esclavista recalcitrante contra el libertador de cientos de miles de esclavos”.

Y qué decir de Martí, el pensador más profundo y radical de Cuba y la América Latina de su tiempo. El hombre que murió en combate por el bien mayor del hombre, sin poder evitar que los Estados Unidos cayesen “con esa fuerza más sobre nuestras tierras de América”.

Cuando en 1889 se celebraba la primera conferencia panamericana en Washington, José Martí se refirió a esta doctrina preguntando:

¿A qué invocar, para extender el dominio en América, la doctrina que nació tanto de Monroe como de Canning, para impedir en América el dominio extranjero, para asegurar a la libertad un continente? ¿O se ha de invocar el dogma contra un extranjero para traer a otro? ¿O se quita la extranjería, que está en el carácter distinto, en los distintos intereses, en los propósitos distintos, por vestirse de libertad, y privar de ella con los hechos, –o porque viene con el extranjero el veneno de los empréstitos, de los canales, de los ferrocarriles? ¿O se ha de pujar la doctrina con toda su fuerza sobre los pueblos débiles de América, el que tiene al Canadá por el Norte, y a las Guayanas y a Belice por el Sur, y mandó mantener, y mantuvo a España y le permitió volver, a sus propias puertas, al pueblo americano de donde había salido?

¿A qué fingir miedos de España (…)?.

Como puede observarse, Martí comprendió el fondo de la Doctrina Monroe, aquella que se dio a conocer en un momento en que para Estados Unidos era necesario definir su posición imperialista en el continente con vistas al futuro que avizoraban sus líderes. En ello estuvo también el interés por Cuba de manera temprana.

El Titán Antonio Maceo fue muy diáfano cuando en carta al coronel Federico Pérez Carbó, fechada el 14 de julio de 1896, afirmó: “De España jamás esperé nada: siempre nos ha despreciado y sería indigno que se pensase en otra cosa. (…) Tampoco espero nada de los americanos, todo debemos fiarlo a nuestros esfuerzos; mejor es subir o caer, sin su ayuda, que contraer deudas de gratitud con el vecino tan poderoso”.

En tanto, el Generalísimo Máximo Gómez calibró también a los americanos al decir que estaban cobrando demasiado caro con la ocupación militar del país, su espontánea intervención en la guerra: “Nadie se explica la ocupación…”, escribió el Generalísimo

Durante la guerra de independencia del 95, la invasión y la tea incendiaria unificaron al país y parecieron eliminar para siempre, junto a la riqueza que lo sustentaba, el proyecto anexionista. Sin embargo, la intervención norteamericana modificó la situación mucho más allá de las prerrogativas tutoriales impuestas por la Enmienda Platt.

Con arrogancia, el imperio se valió del experimento cubano para sentar las bases del modelo neocolonial que se estrenaba en la isla.

En el archipiélago filipino, la ocupación norteamericana sin portapisas desencadenó una sangrienta, prolongada y costosa lucha de resistencia. Por esa razón y atendiendo a la necesidad de conformar una imagen respetable en relación con los países de la América Latina, se diseñó para Cuba una política de dominio más sutil y eficaz.

El poder real se ejerció mediante la presencia de grandes recursos económicos tras la máscara de las instituciones republicanas. Los productos de exportación, tabaco y azúcar, sujetos a las demandas del mercado norteamericano, sostenían la economía del país. La industria azucarera se subordinaba a las exigencias de las refinerías establecidas en Estados Unidos.

El Tratado de Reciprocidad Comercial –antecedente del ALCA- arrojaba el destino del país a los requerimientos del vecino del norte. Implicaba la aplicación de la ley del embudo y abortaba, con sus regulaciones arancelarias, el posible desarrollo de una industria nacional. Las circunstancias favorecieron la implantación de una burguesía dependiente. El desempleo crónico impuso la hipertrofia de la burocracia gubernamental, fuente de la temprana aparición del clientelismo político. Esa deformación estructural resultaría difícil de superar.

La penetración del capital norteamericano en Cuba contó con el respaldo de la Enmienda Platt y su tutelaje político a través de una soberanía mutilada. Las presiones, expresas en la amenaza de permanencia indefinida de las tropas extranjeras, dieron lugar a la resistencia inicial de los constituyentes cubanos, quienes cedieron poco a poco, resignados a aceptar un mal menor. De ese modo, comenzó a extenderse un pensamiento plattista hasta asumir como inevitables las consecuencias del llamado fatalismo geográfico. Tomó cuerpo una mentalidad integrada por un conjunto de componentes.

Las decisiones gubernamentales se sometían a la opinión del Embajador de los Estados Unidos. A partir de esas prácticas, las reivindicaciones políticas soberanas se autolimitaron.

El diseño institucional del Estado fue un trasplante del norteamericano, así como la alternancia en el poder de los dos partidos fundamentales. Los herederos de la clase dominante cursaron los estudios universitarios en Estados Unidos, constituidos en modelo único de modernidad y eficiencia. Aparecieron las primeras escuelas culturalmente bilingües.

Las costumbres de la burguesía se modificaron. Los clubes se colocaron por encima de las tradicionales sociedades españolas. Términos en inglés se esparcieron por el habla de los cubanos. En la sociedad se produjo un franco retroceso en el terreno ganado por las guerras de independencia respecto al racismo y las distintas formas de exclusión.

La disolución del ejército mambí marginó a los negros y mulatos que alcanzaron grados militares en el combate. El color de la piel se constituyó en frontera para el acceso a los trabajos mejor remunerados. Condenados a la pobreza, sus hijos no se beneficiaron del crecimiento de la instrucción pública. Santa Claus ocupó el lugar de los Reyes Magos.

Lentamente, se reconfiguraron las clases sociales. El proletariado y las capas medias se fortalecieron. En los veinte del pasado siglo, la “década crítica” anunció la fractura de la historia republicana favorecida por la lucha contra Machado. Ya innecesaria, la Enmienda Platt pudo abrogarse. El poder económico hacía lo necesario. La mentalidad Plattista había dejado huellas.

La impúdica presencia de las cañoneras fue sustituida por la acción de la diplomacia. El embajador Caffery tomó el relevo de Welles para la instauración del coronel Batista como decisivo “hombre fuerte” en el escenario político. Los trajines de otro embajador, Earl Smith, intentaron impedir el triunfo de la Revolución cubana.

¡No se sabe a donde hubiese llegado el país si la revolución no hubiese triunfado el 1 de enero de 1959!.

Ideologizado en otros términos, el anexionismo se mantiene hoy. Una forma de plattismo planetario reconoce al imperio la facultad de dictaminar acerca del deber ser de las naciones, prescindiendo de toda consideración histórica o cultural.

En su texto íntegro, la ley Helms-Burton formula con toda claridad el diseño de una Cuba posrevolucionaria. Tal y como ocurrió bajo la ocupación norteamericana al término de la guerra de independencia, un interventor restaurará las instituciones periclitadas y establecerá los fundamentos jurídicos de la nación mutilada.

Es el modelo aplicado en Iraq y las consecuencias son bien conocidas.

Mientras tanto se trata de ablandar toda posible resistencia de nuestro pueblo recurriendo a una intensificación de la subversión ideológica, para lo cual se crean mecanismos como la fuerza de tarea en Internet, se refuerzan las medidas del genocida bloqueo económico contra Cuba, y se adoptan todo tipo de restricciones diplomáticas para perjudicar el normal flujo migratorio entre ambos países tratando de fomentar el malestar en nuestra ciudadanía.

Al calor de esta ofensiva imperialista, si prestamos atención al accionar actual en algunos medios de comunicación extranjeros, de los llamados “disidentes” cubanos, pareciera que el anexionismo estaría reverdeciendo laureles.

Sin embargo, hay algo que está bien claro para nuestro pueblo, los anexionistas de ahora, que se presentan como “opositores” o “disidentes”, “defensores de la democracia”, al igual que los de ayer, no son más que miserables marionetas creadas, financiadas y abastecidas por sus amos imperiales, y como tales, están condenados al basurero de la historia.

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